Esame avvocato 2015 – traccia e soluzione atto processuale penale

Tizio, incensurato, si reca presso un supermercato dove preleva da uno scaffale una bottiglia di vino, che immediatamente nasconde sotto il giubbotto, quindi oltrepassa la barriera della cassa senza pagare ed esce dal supermercato, ma subito dopo viene fermato da un addetto alla sorveglianza che lo aveva seguito sin dal suo ingresso nell’esercizio commerciale e lo aveva visto mentre prelevava e occultava la bottiglia. L’addetto alla sorveglianza chiama la polizia e tizio viene identificato e denunciato. Nessuno presenta querela. Tizio viene sottoposto a processo e all’esito del giudizio, viene condannato, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle aggravanti contestate, alla pena di mesi 6 di reclusione ed euro 200 di multa, condizionalmente sospesa, in ordine al reato di furto aggravato di cui agli artt. 624 e 625 c. 1, n. 2 e 7 cp per l’uso del mezzo fraudolento e l’esposizione del bene sottratto alla pubblica fede. Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, rediga l’atto ritenuto più idoneo alla difesa dello stesso.

CORTE DI APPELLO DI ____

ATTO DI APPELLO

Il sottoscritto avvocato, già difensore dell’imputato Tizio, nato a  .., il ..  residente in …, come da nomina depositata agli atti del giudizio di primo grado

PREMESSO

che viene contestato a Tizio di essersi recato presso un supermercato e di avere prelevato una bottiglia nascondendola sotto il giubbotto, oltrepassando la barriera della cassa dell’esercizio commerciale;

che Tizio è uscito dal supermercato ed è stato fermato da un addetto alla sorveglianza che lo aveva seguito sin dal suo ingresso nel centro commerciale e lo aveva visto mentre prelevava e occultava la bottiglia;

che nessuno ha proposto querela;

che, all’esito del giudizio, l’imputato veniva condannato, ritenute equivalenti le attenuanti generiche rispetto alle aggravanti, alla pena di mesi 6 di reclusione e 200 di multa condizionalmente sospesa in ordine al reato di furto aggravato di cui all’art. 624-625 c. c. 1, n. 2 e 7 c.p. per l’uso del mezzo fraudolento e l’esposizione del bene sottratto alla pubblica fede;

che la suddetta sentenza è ingiusta e gravatoria, nonché risulta viziata sotto una pluralità di profili;

che avverso la stessa lo scrivente difensore, in nome e per conto dell’imputato, intende presentare appello per i motivi di seguito indicati;

tutto ciò premesso, il sottoscritto patrocinatore con il presente atto interpone

APPELLO

avverso la sentenza n. … del Tribunale di …, pronunciata all’udienza del .., e depositata in cancelleria in data .., a definizione del giudizio penale n. ___ r.g.n.r. e n. ___ r.g. Trib., per i seguenti

MOTIVI

I)        Mancata assoluzione dell’imputato per inidoneità ex art. 49 c.p. degli atti compiuti

La sentenza ha immotivatamente escluso l’applicabilità al caso di specie della disposizione di cui all’art. 49 c.p. in materia di reato impossibile.

Come noto, quest’ultima norma, in conformità al principio costituzionale di necessaria offensività, testualmente “esclude” la punibilità dell’autore del fatto, qualora per inidoneità dell’azione, o per inesistenza dell’oggetto di essa, non può verificarsi l’evento dannoso o pericoloso.

Nella fattispecie in disamina, il requisito della “idoneità dell’azione” a cagionare la paventata lesione al bene giuridico patrimonio risulta pacificamente insussistente.

Emerge infatti dalla traccia che l’addetto alla sicurezza del supermercato aveva fin da subito sorvegliato l’imputato, costantemente monitorandone i movimenti fino all’uscita del supermercato, ove lo ha poi fermato.

Da tale circostanza di fatto si evince agevolmente che l’azione compiuta dal prevenuto era ab imis inidonea a cagionare l’evento lesivo che le norme in materia di furto tendono a tutelare, cioè il bene patrimonio, poiché, avendo l’imputato agito sotto la costante sorveglianza del personale di sicurezza, l’azione furtiva perpetrata non avrebbe potuto in alcun modo essere condotta a termine.

Né, si ritiene, può valere ad escludere l’applicabilità dell’art. 49 c.p. il fatto che il controllo degli addetti alla sicurezza fosse ignoto all’autore del furto.

La logica sottesa al principio di offensività (fondamento e scopo della sanzione penale) impone infatti che, al fine di verificare il potenziale lesivo dell’azione tipica rispetto al bene tutelato, si tenga conto di tutte le circostanze del caso concreto  (c.d. prognosi ex ante a base totale), poiché a diversamente opinare si perverrebbe alla conclusione, inammissibile nel sistema costituzionalmente orientato del diritto penale del fatto, di reprimere la mera volontà di infrangere la norma incriminatrice.

La sentenza va dunque riformata e l’imputato prosciolto perché il fatto non costituisce reato.

II)     Erronea applicazione della legge penale: ove ritenuto penalmente rilevante, il fatto è da qualificare come furto tentato e non già consumato - Nella denegata ipotesi di reiezione del motivo che precede, si deve osservare come la sentenza di primo grado abbia erroneamente qualificato il fatto di reato, ritenendo che lo stesso fosse già pervenuto allo stadio della consumazione.

L’assunto giudiziale è infondato, in quanto disattende l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, di recente ribadito anche dal più autorevole consesso nomofilattico.

Il tentativo è, come noto, un’autonoma forma di manifestazione degli illeciti qualificati come delitti dolosi cui  l’art. 56 c.p. conferisce rilevanza penale subordinatamente al ricorrere di una duplice condizione: 1) che il delitto non sia giunto a consumazione (che l’azione cioè “non si compie” o l’evento “non  si verifica”); 2) che gli atti compiuti fossero “idonei” a pervenire alla consumazione del reato contestato e che fossero altresì “diretti in modo non equivoco” a realizzarlo.

Il tentativo si presenta dunque come una norma avente funzione sia incriminatrice, sia di disciplina, e a struttura “aperta”, per la cui concreta applicabilità occorre cioè che essa si “integri” con una fattispecie di parte speciale, che fungerà da modello legale tipico entro il quale sussumere la fattispecie concreta e delibarne così la potenziale rilevanza penale.

Il reato tentato va ricostruito alla luce dei principi di materialità e necessaria offensività della condotta.

Premesso quanto sopra, nella fattispecie si discute se l’azione tipica del delitto di furto (impossessamento, mediante sottrazione, di un bene mobile altrui) possa o meno dirsi “compiuta” nei casi in cui l’ultimo tratto della stessa (l’impossessamento appunto) viene a realizzarsi in termini più “virtuali” che reali, a cagione dell’immediato intervento del personale di sicurezza.

È noto che, sul tema, si confrontino da tempo due opposti indirizzi interpretativi.

Secondo un primo orientamento (di cui è espressione, ex multis, Cass., 09 gennaio 2014, n. 7062), il fatto in esame integra l’ipotesi del delitto consumato, atteso che il soggetto attivo, una volta che abbia oltrepassato le casse, senza aver esibito (e pagato) la merce, definitivamente consegue (non importa se per un considerevole lasso di tempo o per pochi secondi) il “possesso” della res, a nulla rilevando, poiché priva di influenza, la circostanza che l’azione furtiva risulti essersi compiuta sotto il costante controllo della persona offesa.

Di diverso avviso è, invece, il secondo indirizzo giurisprudenziale (cfr. Cass., 27 aprile 2006, n. 24232), in base al quale va affermato che si versa nell’ambito della responsabilità per furto tentato qualora la perdurante sorveglianza della persona offesa determini la possibilità per la stessa di intervenire per evitare l’acquisizione, da parte del soggetto attivo, di una effettiva signoria sulla res illecitamente appresa. Con la conseguenza che, fino a quando tale possibilità è effettivamente esercitabile, il possesso non si può configurare.

A comporre il contrasto giurisprudenziale sopra sinteticamente descritto, sono tuttavia di recente intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza 17.7.2014, n. 52117. I giudici di legittimità hanno aderito all’ultimo dei segnalati orientamenti e hanno risolto la questione di diritto, facendo leva su una premessa generalmente condivisa. Notoriamente, infatti, l’impossessamento coincide con la acquisizione, da parte dell’autore del fatto, di una piena ed effettiva signoria sulla cosa sottratta. Orbene, posta tale premessa, diviene difficilmente contestabile che fino a quando la persona offesa, o il personale di sicurezza, può intervenire con efficacia interruttiva sul divenire criminoso tipico, l’impossessamento non ha luogo, poiché la signoria sulla cosa non ha ancora acquisito i caratteri della definitività e dell’autonomia. Dal che si desume, quale naturale conseguenza, che il delitto non può dirsi consumato.

In applicazione del suddetto principio di diritto, la sentenza qui appellata si ritiene meritevole di riforma in punto qualificazione del fatto che, da furto consumato, dovrà essere derubricato a furto tentato.

III) Erronea individuazione delle circostanze aggravanti del furto rubricate ai n. 2 e 7 del c. I dell’art. 625 c.p.

Non sono configurabili nel caso di specie le contestate aggravanti. Circa la contestazione a Tizio di essersi avvalso di un mezzo fraudolento, giova fare richiamo alla pronuncia delle Sezioni Unite 18.7.2013, n. 40354 che ha composto il contrasto in ordine alla corretta interpretazione dell’art. 625 c.1, n. 2, c.p.. A giudizio della Corte perché sussista il mezzo fraudolento occorre l’utilizzo di uno stratagemma diretto ad aggirare gli ostacoli che si frappongono fra l’agente e la cosa. Le Sezioni Unite hanno osservato che il semplice nascondimento sulla stessa persona dell’autore del furto della merce prelevata dai banchi di vendita costituisce un mero accorgimento, peraltro banale e ordinario, che appare privo dei connotati di efficienza aggressiva che caratterizza l’aggravante in esame.

Parimenti non è configurabile la circostanza dell’esposizione del bene sottratto alla pubblica fede. L’esposizione deve essere intesa non in senso assoluto, bensì relativo, ossia in relazione alla possibilità o meno della custodia della cosa da parte del titolare del bene. Nel caso di specie è emerso che la sorveglianza da parte di personale detentore della res era tuttaltro che saltuaria. Il sistema di vigilanza assicurava un controllo costante e diretto incompatibile con la situazione di affidamento alla pubblica fede di avventori e clienti.

IV) Improcedibilità dell’azione penale per difetto di querela.

Assenti le circostanze aggravanti che rendevano procedibile d’ufficio il reato contestato, la fattispecie, laddove ritenuta penalmente rilevante, è riconducibile al cosiddetto furto semplice di cui all’art. 624 c.p. che presenta un regime di procedibilità a querela. Pertanto, assente la querela, dovrà essere emessa sentenza di non doversi procedere.

V) Applicabilità nel caso di specie della particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p.

Con un recente intervento riformatore il legislatore ha introdotto l’istituto della particolare tenuità del fatto. L’art. 131 bis c.p. è stato qualificato da un indirizzo maggioritario in giurisprudenza come causa di esclusione della punibilità in senso stretto. La norma assume una portata sostanziale che ne consente l‘applicazione anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, con conseguente retroattività della legge più favorevole  secondo quanto stabilito dall’art. 2 c. 4 c.p. ( cfr. Cass. pen. 13.7.2015 n. 29897).

Nel caso di specie, sussistono le condizioni per il riconoscimento dell’istituto de quo atteso che il furto semplice rientra nei limiti edittali di cui alla disposizione richiamata ed evidenziato che Tizio era incensurato e, dunque, il contegno realizzato assume le dimensioni della occasionalità, escludendo il motivo ostativo della abitualità menzionata dal legislatore.

VI) Riconoscimento dell’attenuante dell’art. 62, c. 1, n. 4 c.p.; prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti e rideterminazione della pena.

Si richiede che la sentenza di primo grado sia riformata in punto pena mediante l’applicazione dell’attenuante ex art. 62 n. 4 c.p. emerge con evidenza che, qualora il reato fosse stato consumato, avrebbe nel caso di specie cagionato un pregiudizio di particolare tenuità. Giova rilevare che le Sezioni Unite, con sentenza n. 28243 del 28.3.2013, hanno enunciato che nei reati contro il patrimonio, la circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità può applicarsi anche al delitto tentato, sempre che la sussistenza dell’attenuante in questione sia desumibile con certezza dalle modalità del fatto, in base a un preciso giudizio ipotetico che, stimando il danno patrimoniale che sarebbe stato causato alla persona offesa, se il delitto di furto fosse stato portato a compimento, si concluda nel senso che il danno cagionato sia di rilevanza minima. Nella fattispecie viene contestato a Tizio di avere sottratto una bottiglia di vino.

Si chiede, inoltre, alla luce di tutto quanto sopra esposto, la dichiarazione di prevalenza delle riconosciute attenuanti rispetto alle contestate aggravanti, con ogni conseguenza di legge.

Tutto ciò premesso, il sottoscritto difensore, nell’interesse dell’imputato Tizio

chiede

alla Corte di Appello adita di volere, in riforma della sentenza di primo grado, accogliere le seguenti gradate conclusioni

-      assolvere l’imputato perché il fatto non costituisce reato;

-      riqualificare il fatto ascritto all’imputato come delitto tentato senza circostanze aggravanti e, per l’effetto, dichiarare di non doversi procedere per difetto di querela;

-      dichiarare non doversi procedere nei confronti dell’imputato in quanto non punibile per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131 bis c.p.;

-      riconoscere l’attenuante di cui all’art. 62, I c., n. 4 c.p., ammettere la prevalenza delle circostanze attenuanti sulle contestate aggravanti e, per l’effetto, anche tenuto conto della derubricazione in delitto tentato, rideterminare la pena nella misura minima prevista dalla legge.

-      in ogni caso, contenere la pena nel minimo e concedere i doppi benefici ove concedibili.

(luogo e data)

Avv. (firma)