ESAME AVVOCATO 2012 SOLUZIONE ATTO PENALE

Tizio, Caio, Sempronio e Mevio decidono di commettere una rapina ai danni di un negozio di generi alimentari preventivamente individuato come obiettivo del delitto. Si portavano sul posto nella citta gamma a bordo di due ciclomotori: il primo condotto da tizio con a bordo caio, il secondo condotto da sempronio con a bordo mevio. Caio e mevio entravano all’interno del negozio mentre tizio e sempronio restavano all esterno sul piazzale con funzione di pali. mentre caio intima al cassiere di consegnargli il denaro presente in cassa minacciandolo con una pistola mevio si avvia verso l’uscita intimando ai presenti di non muoversi. Raggiunto il piazzale con il bottino i rapinatori subiscono una improvvisa reazione del proprietario del negozio il quale insegue caio e mevio brandendo un bastone, mentre costoro si accingono a salire in sella ai rispettivi motocicli. A questo punto caio estrae una pistola e puntata l arma verso il proprietario del negozio esplode tre colpi di pistola che colpiscono mortalmente l’uomo. Una testimone presente sul piazzale ode distintamente tizio che nella concitazione esorta caio a sparare per guadagnare la fuga. I quattro riescono a fuggire. Le indagini successive anche grazie alle telecamere a circuito chiuso e alle disposizioni dei presenti consentono di pervenire all’individuazione dei quattro soggetti i quali avevano agito a volto scoperto. Sottoposti a processo vengono tutti condannati per reati di rapina e omicidio volontario. Assunte le vesti del legale di Sempronio redigere atto di appello.

si rappresentano i seguenti possibili motivi di appello (assise appello)

1) erronea applicazione dell’art. 110 in rel. agli art. 116, 40, 575 c.p.

Tizio è stato condannato per omicidio, verosimilmente a titolo di concorso eventuale “ordinario”, cioè ai sensi dell’art. 110 c.p., per aver fatto da palo nella rapina dalla quale è scaturito, a seguito di reazione della vittima, l’episodio omicidiario.
Tuttavia, l’applicazione dell’art. 110 è errata. Innanzi tutto, è evidente dalla stessa ricostruzione dei fatti accolta dalla Corte di primo grado che l’accordo originario era per commettere una rapina; su questa base, è evidente che l’omicidio si presenta come reato diverso ed ulteriore, non necessariamente ricompreso nel piano criminoso, comunque – come si argomenterà poco oltre – non necessariamente causato né voluto da Sempronio. Come è noto, il caso di un reato diverso commesso in corso d’esecuzione concorsuale è oggetto della specifica disciplina dell’art. 116 (cd. concorso anomalo), e non rientra nel concorso “ordinario” ex art. 110. L’art. 116 presuppone che il reato diverso sia causato e non sia voluto dal concorrente; ebbene nel nostro caso non risulta nessuno dei requisiti dell’imputazione. In termini oggettivi, invero, non è dato riscontrare nessun contributo causale di Sempronio al segmento di azione criminosa risoltosi nell’omicidio; con la conseguenza che questo non è a lui imputabile (l’art. 116 richiede senz’altro, anche nella sua formulazione letterale ed indipendentemente dalle questioni relative al coefficiente soggettivo, un nesso causale tra la condotta del concorrente ed il reato diverso; e ciò non è contestato in giurisprudenza: cfr. anche, ad es., Cass. I 2652/2012).
Né si obietti che la precedente rapina è (con-)causale rispetto all’omicidio; si tratterebbe infatti di una causa meramente indiretta, perché essa ha determinato bensì la reazione della vittima, ma non certo la condotta, oggetto di determinazione del tutto indipendente ed autonoma dello sparatore Caio. E questo trova conforto nella ricostruzione dei fatti operata dal giudice, secondo la quale la vittima inseguiva solo Tizio e Caio; nonché nella testimonianza di X, pure valorizzata dallo stesso giudice: ella riferisce di aver udito Tizio istigare Caio, dunque di una vicenda che ha visto Sempronio del tutto estraneo, e che rispetto a lui si è svolta in modo assolutamente indipendente ed autonomo.

2) omessa motivazione ed erronea applicazione dell’art. 110 in rel. agli art. 116, 42, 43 e 575 c.p.

Ma anche a ritenere che sia rilevante il precedente contributo di Sempronio alla rapina come elemento concausale della morte della vittima, l’applicazione dell’art. 110 è errata, trattandosi di una normale ipotesi di concorso anomalo, con la conseguente applicabilità dei requisiti soggettivi di imputazione alla stregua dell’art. 116 c.p. [il candidato si sofferma su questo aspetto ricordando soprattutto la sentenza della corte costituzionale 42/1965 e la discussione relativa al concetto di prevedibilità, che la cassazione intende nel senso che l’evento diverso deve presentarsi all’agente come sviluppo logicamente prevedibile del reato voluto].
Ciò, del resto, è del tutto pacifico anche in giurisprudenza: nel segnare la linea discretiva tra le due “forme”di concorso, la Cassazione richiede che l’evento diverso non sia stato voluto neppure a titolo di dolo indiretto (indeterminato, alternativo, eventuale) e dunque «che il reato più grave non sia stato già considerato come possibile conseguenza ulteriore o doverosa della condotta criminosa concordata» (cass. I, 4330/2012; Cass. V, 36135/2011).
Ora, in sentenza non è dato ravvisare nessuna prova del fatto che Sempronio si fosse rappresentato anche indirettamente la possibilità di realizzazione dell’omicidio; e, com’è noto, questa non può essere desunta da presunzioni, spettando invece all’accusa la compiuta prova dell’elemento soggettivo. Né si potrebbe opporre a questa conclusione che la giurisprudenza di legittimità è pacifica nel ritenere che, in caso di rapina commessa con armi, la realizzazione di un omicidio rappresenta in via generale una ragionevole, prevedibile e probabile conseguenza del reato di cui all’art. 628, sicché il concorrente che non ha eseguito il reato risponderebbe pur sempre ex art. 110 c.p.. In realtà, pena la violazione del principio costituzionale di responsabilità colpevole, tale prevedibilità deve essere determinata, come la stessa cassazione peraltro riconosce (sent. ult cit), in relazione alla fattispecie concreta; così, spesso la regolarità fenomenica è stata affermata quando le armi fossero micidiali, l’uso fosse stato effettivo anche prima dell’omicidio (es., erano sparati colpi preventivi in funzione intimidatoria, eccetera).
Ma nel caso di specie nulla di tutto ciò risulta in concreto: né la natura dell’arma, né segnali concreti dell’intenzione di effettivamente utilizzarla per commettere quello specifico reato, né, soprattutto, segnali di una prevedibilità effettiva da parte di Sempronio. Né sarebbe sufficiente la prevedibilità in astratto, perché almeno dal 2006, cioè da quando è stato introdotto nel c.p.p. il principio dell’ ”oltre il ragionevole dubbio”, se sussistono ragioni per dubitare ragionevolmente della colpevolezza, non si può condannare [il candidato si soffermi sul punto]: dunque l’orientamento giurisprudenziale più rigoroso non può essere applicato tout court in assenza di una specifica motivazione in punto di elemento soggettivo.
La Corte di assise avrebbe dovuto dunque applicare l’art. 116, e dunque avrebbe potuto legittimamente condannare Caio per il reato di omicidio solo dimostrando la colpa o quanto meno la prevedibilità da parte di Caio del reato diverso. Ciò non è avvenuto, non foss’altro per effetto dell’errore in cui la Corte è incorsa affermando la volontarietà dell’omicidio.

3) omessa applicazione dell’art. 116 comma 2 c.p.

In relazione al concreto sviluppo di quella parte della vicenda che ha determinato la morte del soggetto rapinato, risulta la totale estraneità di Sempronio, come si è indicato nel primo motivo di appello. Quand’anche non si voglia ritenere la totale irrilevanza causale della sua condotta, essa tuttavia deve essere apprezzata in termini di minima rilevanza, con la conseguente applicazione della diminuente dell’art. 116 comma 2.
Né si potrebbe negare l’attenuante allegando che il ruolo di Sempronio era essenziale, in quanto avrebbe dovuto guidare il mezzo per garantire la fuga. Tale essenzialità concerne semmai il reato di rapina, ma non certo quello di omicidio.

4) omessa applicazione dell’art. 62 bis c.p.

[il candidato svilupperà qui un’argomentazione standard]

Si chiederà pertanto:
in applicazione del primo motivo, l’assoluzione dal reato di cui all’art. 575 per non aver commesso il fatto;
in subordine, in applicazione del secondo motivo, l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato per difetto di colpa;
in subordine, previa applicazione dell’art. 116, la conseguente diminuzione della pena di cui al secondo comma della predetta norma;
l’applicazione in ogni caso delle attenuanti generiche