SOLUZIONE ATTO DIRITTO CIVILE ESAME AVVOCATO 2011 E COMMENTO ALLA TRACCIA

ATTO DI DIRITTO PRIVATO
Tizia e Sempronio citano in giudizio l’impresa Gamma esponendo di aver acquistato, con preliminare e successivo contratto definitivo, un appartamento destinato a civile abitazione e di aver versato alla parte venditrice la somma di euro 140.000 mentre il prezzo indicato nei suddetti atti era di 95.000. Chiedono, pertanto la restituzione della somma pagata in eccedenza oltre agli accessori di legge.
L’impresa edile Gamma sostiene, per contro, l’esistenza di un precedente preliminare di compravendita che recava il prezzo effettivo di euro 140.000 e che i contratti successivi erano stati simulati indicandosi il minor prezzo di euro 95.000 e ritiene inoltre di poter fornire prova testimoniale di tale simulazione.
Il candidato, assunte le vesti di avvocato dell’impresa edile Gamma rediga l’atto giudiziario più opportuno illustrando gli istituti e le problematiche sottese alla fattispecie.

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La traccia assegnata come atto di diritto privato ha ad oggetto un’ipotesi (un tempo assai frequente nella prassi della contrattazione immobiliare) di simulazione relativa del prezzo, compiuta attraverso l’indicazione nel contratto definitivo (e, talvolta, anche preliminare) di un prezzo inferiore a quello effettivamente concordato e versato dalle parti.
Il problema della prova di tale simulazione ha diviso la giurisprudenza per lungo tempo, fino alla nota pronuncia delle Sezioni Unite (Cass., sez. un., 26 marzo 2007, n. 7246), secondo la quale la prova per testimoni del prezzo dissimulato di una vendita immobiliare, poiché riguarda un elemento essenziale del contratto, soggiace alle limitazioni previste dall’art. 2722 c.c. ed è, pertanto, inammissibile.
Tale restrittivo orientamento risulta, peraltro, anche recentemente confermato da Cass., sez. II, 5 aprile 2011, n. 7769.
Assumendo, pertanto, le vesti dell’avvocato di Gamma, occorreva sostenere – diversamente, come si è detto, da quanto sancito dalla Suprema Corte (anche a Sezioni Unite) – l’ammissibilità della prova testimoniale della simulazione, così come indicava la traccia, che espressamente faceva riferimento alla possibilità di Gamma di “…fornire prova testimoniale di tale simulazione”.
Il candidato – là dove non ancora sgomento di fronte a una richiesta di difesa in palese contrasto con quanto ormai divenuto ius receptum nella giurisprudenza di legittimità – poteva essere tratto in errore dall’ulteriore riferimento della traccia a “….l’esistenza di un precedente preliminare di compravendita che recava il prezzo effettivo di euro 140.000”.
Il candidato avrebbe potuto pensare, cioè, che la presenza di un documento scritto (il precedente preliminare) potesse valere a rendere ammissibile quella prova testimoniale generalmente vietata dalla diffusa e consolidata interpretazione giurisprudenziale.
E’ noto, infatti, che l’art. 2724 c.c. pone tre eccezioni al divieto di prova testimoniale e, anzitutto, nel caso di principio di prova per iscritto, …costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato (n. 1).
Invero, una simile interpretazione si rivela – rispetto alla soluzione del caso di specie – un equivoco, poiché il successivo art. 2725 c.c. chiarisce che, quando la forma scritta è richiesta a pena di nullità (come nel caso di preliminare immobiliare) la prova per testimoni è ammessa soltanto nel caso indicato dal n. 3 (e non già dal n. 1) dell’art. 2724 c.c.
La correttezza di tale conclusione è confermata dalla giurisprudenza della Suprema Corte (Cass., sez. II, 4 maggio 2007 n. 10240), la quale ha testualmente sancito che:
In tema di simulazione di un contratto di compravendita immobiliare, la prova per testi soggiace a limitazioni diverse a seconda che si tratti di simulazione assoluta o relativa.
 Nel primo caso, l’accordo simulatorio, pur essendo riconducibile tra i patti per i quali opera il divieto di cui all’art. 2722 cod. civ., non rientra tra gli atti per i quali è richiesta la forma scritta “ad substantiam” o “ad probationem”, menzionati dall’art. 2725 cod. civ., avendo natura ricognitiva dell’inesistenza del contratto apparentemente stipulato, sicché la prova testimoniale è ammissibile in tutte e tre le ipotesi contemplate dal precedente art. 2724 cod. civ..
 Nel secondo caso, occorre distinguere, in quanto
 se la domanda è proposta da creditori o da terzi – che, essendo estranei al negozio, non sono in grado di procurarsi le controdichiarazioni scritte – la prova per testi o per presunzioni non può subire alcun limite;
 qualora, invece [come nel caso descritto dalla traccia], la domanda venga proposta dalle parti o dagli eredi, la prova per testi, essendo diretta a dimostrare l’esistenza del negozio dissimulato, del quale quello apparente deve rivestire il necessario requisito di forma, è ammessa soltanto nell’ipotesi di cui al n. 3 dell’art. 2724 citato, cioè quando il contraente ha senza colpa perduto il documento, ovvero quando la prova è diretta fare valere l’illiceità del negozio.
Non v’è dubbio che la simulazione del prezzo integri un’ipotesi di simulazione relativa (al pari della simulazione della causa e della simulazione soggettiva per interposizione fittizia di persona). Anche a proposito della simulazione per interposizione fittizia di persona, la Corte di Cassazione (Cass., sez. II, 12 ottobre 2009, n. 21637) ha stabilito che
Nel caso di allegazione della simulazione relativa per interposizione fittizia di persona di un contratto necessitante la forma scritta ad substantiam, la dimostrazione della volontà delle parti di concludere un contratto diverso da quello apparente incontra non solo le normali limitazioni legali all’ammissibilità della prova testimoniale e per presunzioni, ma anche quella, più rigorosa, derivante dal disposto dell’art. 1414 c.c., comma 2° e art. 2725 cod. civ., di provare la sussistenza dei requisiti di sostanza e di forma del contratto diverso da quello apparentemente voluto e l’esistenza, quindi, di una controdichiarazione, dalla quale risulti l’intento comune dei contraenti di dare vita ad un contratto soggettivamente diverso da quello apparente: di conseguenza, e con riferimento alla compravendita immobiliare, la controversia tra il preteso acquirente effettivo e l’apparente compratore non può essere risolta, fatta salva l’ipotesi di smarrimento incolpevole del relativo documento (art. 2724 c.c., n. 3), con l’interrogatorio formale, non potendo la mancata comparizione della parte all’interrogatorio deferitole supplire alla mancanza dell’atto scritto”
Neppure utile poteva rivelarsi il riferimento a Cass., sez. II, 17 novembre 2011 n. 24100, secondo la quale l’inammissibilità ex art. 2725 c.c. della prova testimoniale non opera quando il contratto venga in considerazione non quale titolo posto a base della domanda, bensì quale “fatto storico” ad altri fini rilevante nel giudizio; secondo tale pronuncia, cioè, il Giudice dovrebbe ammettere la prova testimoniale quando essa sia diretta a provare il “fatto storico” costituito dalla dazione di denaro, che a prescindere dalla sussistenza o meno di un valido negozio giustificativo, la parte richiedente il mezzo di prova assuma comunque aver effettuato, ad esempio in senso funzionale ad una ripetizione di un indebito oggettivo ex art. 2033 c.c.
Orbene, nel caso oggetto della traccia, Gamma non avrebbe potuto invocare la prova testimoniale per pervenire alla prova del “fatto storico del pagamento”, per la semplice ragione che l’esecuzione di tale pagamento è pacifico, al punto che la domanda di restituzione (da potersi interpretare come domanda di ripetizione dell’indebito) è formulata dalla parte acquirente, e non certo da Gamma, nelle anguste vesti del cui legale il candidato avrebbe dovuto calarsi.
In definitiva, non restava al candidato altra via se non quella di far valere le ragioni di Gamma invocando le tesi di quella giurisprudenza disattesa e superata dalle Sezioni Unite, sostenendo, pertanto che:
• allorquando l’accordo simulatorio investe solo uno degli elementi del contratto (quale è il prezzo di una vendita immobiliare), per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam, il contratto simulato non perde la sua connotazione peculiare, ma conserva inalterati gli altri suoi elementi, ad eccezione di quello interessato dalla simulazione;
• non essendo, quindi, in tali termini, il contratto simulato né nullo né annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti, gli elementi negoziali interessati dalla simulazione possono essere sostituiti o integrati con quelli effettivamente voluti dai contraenti;
• la prova per testimoni del prezzo effettivo della vendita, versato o ancora da corrispondere, non incontra, tra alienante e acquirente, i limiti dettati dall’art. 1417 c.c. in tema di simulazione, in contrasto con il divieto posto dall’art. 2722 c.c., in quanto la pattuizione di celare una parte del prezzo non può essere equiparata, per mancanza di una propria autonomia strutturale, all’ipotesi di dissimulazione del contratto, così che la prova relativa ha scopo e materia semplicemente integrativa e può pertanto risultare anche da deposizioni testimoniali (sent. 24 aprile 1996, n. 3857; 23 gennaio 1988, n. 526)
Resta da chiedersi per quale ragione l’esaminatore ministeriale abbia ritenuto di sottoporre – quale prova scritta per l’esame nazionale di abilitazione alla professione forense – un caso in cui il candidato dovesse attingere alla propria preparazione giuridica per confutare giudizialmente il diritto vivente formatosi lungo l’arco di alcuni lustri e finalmente approdato ad una chiarificatrice pronuncia delle Sezioni Unite.
Per quanto ci si possa sforzare di immaginare spiegazioni diverse, la logica costringe alla seguente alternativa:
a) o l’esaminatore ministeriale ritiene che le doti di un aspirante avvocato si misurino attraverso l’elaborazione di argomentazioni giuridiche in contrasto con i frutti del massimo organo della giustizia ordinaria, appositamente deputato alle note funzioni di nomofilachia: nel qual caso, appare quanto meno sorprendente l’implicito atteggiamento di distacco rispetto al diritto vivente e il sotterraneo suggerimento al futuro avvocato di intraprendere azioni o resistere in giudizio anche in aperto contrasto con le statuizioni delle Sezioni Unite;
b) oppure – ma non vogliamo crederlo – la traccia formulata è il risultato di una grave carenza informativa dei più importanti e recenti arresti in materia della Corte di Cassazione: ipotesi che, se malauguratamente si rivelasse fondata, dimostrerebbe ancora una volta l’estrema difficoltà e delicatezza nell’elaborazione delle tracce per esami e concorsi nazionali, compito nel quale non è possibile improvvisarsi senza un’adeguata e profonda conoscenza della lettura giurisprudenziale dei più importanti istituti giuridici.

Mauro Paladini

GIURISPRUDENZA RELATIVA ALL’ATTO DI DIRITTO PRIVATO

INAMMISSIBILE LA PROVA PER TESTIMONI
DEL PREZZO DISSIMULATO DELLA VENDITA IMMOBILIARE

Cass., sez. un., 26 marzo 2007, n. 7246
(Pres. Carbone; rel. Triola)
La prova per testimoni del prezzo dissimulato di una vendita immobiliare non riguarda un elemento accessorio del contratto, in relazione al quale non opera il divieto di cui all’art. 2722 c.c., ma un elemento essenziale, con conseguente applicabilità delle limitazioni in tema di prova previste da tale disposizione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 27 luglio 1992, I.P. e G.D., A.D., S.D. e R.T., questi ultimi quali eredi di F.D., convenivano in giudizio A.C. ed esponevano:
- che, in base a contratto stipulato il 1° giugno 1990, i coniugi F.D. e I.P. avevano promesso di vendere ad A.C., che aveva promesso di acquistare, l’appartamento sito in Bracciano, via Odescalchi n. 13, piano quarto, al prezzo di lire 121.974.651;
- che detto prezzo avrebbe dovuto essere, per una parte, corrisposto dalla C. mediante accollo di due mutui fondiari, gravanti rispettivamente sull’immobile oggetto del contratto (per lire 28.902.836) e su altro immobile di proprietà dei promittenti venditori (per lire 80.757.918);
- che, stipulato il 27 giugno 1990 il contratto di vendita, la compratrice si era accollato il solo mutuo gravante sull’immobile oggetto del contratto, ed aveva corrisposto le rate di entrambi i mutui fino al giugno 1991, omettendo però di pagare le successive rate semestrali del mutuo gravante sull’altro immobile;
- che, richiesta dell’adempimento dagli eredi di F.D., nel frattempo deceduto, A.C. aveva rifiutato il pagamento;
- che la compratrice era decaduta dal beneficio del termine ai sensi dell’art. 1186 c.c. e, pertanto, essi attori avevano diritto alla corresponsione della parte residua del prezzo effettivamente convenuto, pari a lire 69.894.225;
- che, su ricorso di essi attori, il Presidente del Tribunale li aveva, con ordinanza del 17 giugno 1992, autorizzati ad eseguire sequestro conservativo sui beni di A.C. fino alla concorrenza di lire 70.000.000, imponendo cauzione di lire 20.000.000;
- che il sequestro era stato eseguito mediante trascrizione, eseguita il 17 luglio 1992, del provvedimento sui registri immobiliari.
Sulla base di tali premesse, gli attori chiedevano: la convalida del sequestro conservativo concEsso in loro favore con l’ordinanza del 19 giugno 1992; l’accertamento che il prezzo di vendita dell’immobile sopra indicato era pari a lire 121.974.651; l’accertamento dell’inadempimento della convenuta alla obbligazione di pagamento della somma di lire 69.894.225, quale parte residua del prezzo; la condanna della convenuta al pagamento della somma di lire 69.894.225, quale parte residua del prezzo, ed al risarcimento dei danni dipendenti dall’inadempimento, “da quantificare in corso di giudizio, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi come per legge”.
La convenuta si costituiva deducendo:
- che in base ad accordi fra le parti del contratto preliminare del 1° giugno 1990 il prezzo della vendita dell’immobile che ne costituiva l’oggetto era stato parzialmente ridotto e che, pertanto, essa A.C. avrebbe pagato le rate del mutuo gravante sull’immobile oggetto della vendita e si sarebbe accollata le rate del mutuo dell’altro immobile appartenente ai venditori fino alla concorrenza di lire 30.000.000;
- che tale accordo era stato solo in parte trasfuso nel contratto di vendita del 27 giugno 1990, in cui le parti avevano dichiarato, a fini tributari, un prezzo pari a lire 41.000.000, da corrispondersi in parte mediante il solo accollo del mutuo gravante sull’immobile oggetto del contratto;
- che, pertanto, l’esatto contenuto dell’accordo era solo quello risultante dall’atto pubblico di vendita, essendo, ormai, inefficaci, sul punto, le pattuizioni contenute nel contratto preliminare;
- che, pertanto, il sequestro conservativo non avrebbe potuto essere concesso, attesa l’inesistenza del credito vantato dagli attori.
Con sentenza in data 11 marzo 1998 il tribunale di Roma accoglieva le domande degli attori.
A.C. proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di appello di Roma con sentenza in data 20 novembre 2001.
I giudici di secondo grado ritenevano che infondatamente l’appellante si lamentava del fatto che il tribunale di Roma avesse dato ingresso alle prove testimoniali offerte sulla differente entità del prezzo effettivamente pattuito fra le parti (rispetto a quello risultante dall’atto pubblico) sui rilievi che: in tema di simulazione relativa la prova per testi fra le parti è consentita solo per far valere l’illiceità del negozio dissimulato; e che – trattandosi di negozio che richiedeva la forma scritta per la validità – la prova testimoniale avrebbe richiesto la dimostrazione della perdita incolpevole del documento (ex art. 2725 c.c.); il primo giudice aveva, invece, richiamato erroneamente la disposizione dell’art. 2724, n. 1, c.c., attribuendo fra l’altro valore di principio di prova scritta al contratto preliminare, che era stato superato dalle pattuizioni consacrate nell’atto pubblico.
La decisione di primo grado, infatti, era conforme alla giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo la quale la prova, per testimoni o presunzioni, della simulazione del prezzo della vendita immobiliare non incontra, tra le parti, i limiti dettati dall’art. 1417 c.c., né contrasta con il divieto posto dall’art. 2722. La pattuizione di celare una parte del prezzo non è equiparabile, infatti, per mancanza di una propria autonomia strutturale o funzionale, all’ipotesi di dissimulazione del contratto, che conserva inalterati i suoi elementi di validità, inerenti al documento di cui si assume la falsificazione. Alla inefficacia della pattuizione apparente, concernente il prezzo, può dunque ovviarsi con una prova che ha scopo e natura semplicemente integrativa del contratto, e può risultare anche da deposizioni testimoniali o presunzioni.
Presunzioni bene ricavabili anche dal tenore del preliminare, quando non risultino, fra questo e la data del definitivo, fatti che abbiano alterato in maniera sensibile gli interessi delle parti composti nel contratto.
Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione A.C., con cinque motivi, illustratati da memoria.
Resistono con controricorso G.D., A.D., S.D., R.T.
La causa è stata rimessa alle Sezioni unite in ordine al contrasto esistente in giurisprudenza in ordine alla possibilità di provare per testimoni la simulazione del prezzo della vendita.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente ribadisce la tesi secondo la quale la prova per testimoni del prezzo effettivamente pattuito non poteva essere ammessa in considerazione del disposto dell’art. 2722 c.c..
La sentenza impugnata si è rifatta alla giurisprudenza meno recente di questa Suprema Corte.
Si è, in proposito, affermato che, allorquando l’accordo simulatorio investe solo uno degli elementi del contratto (quale è il prezzo di una vendita immobiliare), per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam, il contratto simulato non perde la sua connotazione peculiare, ma conserva inalterati gli altri suoi elementi –ad eccezione di quello interessato dalla simulazione– con la conseguenza che, non essendo il contratto in tali termini simulato né nullo né annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti, gli elementi negoziali interessati dalla simulazione possono essere sostituiti o integrati con quelli effettivamente voluti dai contraenti. Pertanto, la prova per testimoni del prezzo effettivo della vendita, versato o ancora da corrispondere, non incontra, tra alienante e acquirente, i limiti dettati dall’art. 1417 c.c. in tema di simulazione, in contrasto con il divieto posto dall’art. 2722 c.c., in quanto la pattuizione di celare una parte del prezzo non può essere equiparata, per mancanza di una propria autonomia strutturale, all’ipotesi di dissimulazione del contratto, così che la prova relativa ha scopo e materia semplicemente integrativa e può pertanto risultare anche da deposizioni testimoniali (sent. 24 aprile 1996, n. 3857; 23 gennaio 1988, n. 526).
In altra occasione si è più genericamente affermato che il requisito di forma è adempiuto ove sussista nel contratto simulato o in quello dissimulato, in considerazione della sostanziale validità del contratto (sent. 9 luglio 1987, n. 5975).
Da tale orientamento, che non incontra il favore di una parte rilevante della dottrina, si è di recente distaccata la sentenza di questa Suprema Corte in data 19 marzo 2004, n. 5539, la quale ha così motivato: «Per una corretta impostazione del problema è opportuno prendere le mosse dal disposto dell’art. 2722 c.c. Tale norma esclude che tra le parti si possa dare per testimoni la prova di un patto aggiunto o contrario al contenuto di un documento, ove si alleghi che la stipulazione del patto sia stata anteriore o contemporanea alla redazione del documento medesimo. Al pari che in tutte le altre disposizioni sui limiti della prova testimoniale, traspare qui un certo grado di ragionevole diffidenza del legislatore nei riguardi di un tale genere di prova, soprattutto quando essa sia volta a sormontare risultanze assai meno controvertibili quali quelle documentali.
Chiaro, cioè, l’intento di impedire che rapporti giuridici tra le parti, quando documentalmente provati, possano essere alterati da prove per testi, appunto perché queste non offrono la stessa garanzia di veridicità di quella documentale e perché non è logico presumere che, una volta scelta la via della documentazione degli accordi contrattuali tra esse intercorsi, le parti ne abbiano affidato la modifica ad intese meramente verbali. Sicché ben si comprende anche la ragione del superamento del suindicato limite alla prova testimoniale quando, nei casi specificamente contemplati dal successivo art. 2724, quella negativa presunzione possa invece essere superata.
Il limite alla prova testimoniale di cui si sta discutendo, per le ragioni che vi sono sottese, è quindi destinato ad operare in qualsiasi caso si sostenga esservi una divaricazione tra il contenuto di un contratto, formalmente consacrato in un documento, ed una diversa pattuizione, ugualmente pregna di contenuto negoziale, che nel documento medesimo non sia riportata e di cui, tuttavia, si assuma esservi stata una stipulazione anteriore o contemporanea.
Il fenomeno della simulazione contrattuale, sia essa assoluta o relativa, non esaurisce l’area di possibile applicazione di detto art. 2722, ma sicuramente ne occupa una larga parte. Ed, infatti, nel disciplinare ex professo i limiti della prova testimoniale della simulazione, il legislatore non ha dettato una disposizione in sé compiuta ed autosufficiente, ma si è unicamente preoccupato di chiarire, nell’art. 1417 c.c., che quella prova è ammessa senza limiti tanto nel caso di domanda proposta da creditori o da terzi quanto nell’ipotesi in cui, essendo proposta dalle parti, la domanda sia volta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato. I limiti cui il citato art. 1417 allude –e che consente di superare solo nelle suddette particolari situazioni– sono, ovviamente, quelli dettati dagli artt. 2721 e segg., ed in particolare quelli già sopra richiamati a proposito dei patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento.
Stando così le cose, quando la prova tra le parti della simulazione di un contratto documentale non riguardi l’illiceità del contratto dissimulato, è evidente che essa incontra i suaccennati limiti di prova (vedi anche, in tal senso, Cass. n. 16021 del 2002 e n. 4073 del 1992). Ma appare difficile negare che tali limiti operino anche in presenza di una simulazione soltanto parziale, ogni qual volta questa si traduca nell’allegazione di un accordo ulteriore e diverso da quello risultante dal contratto, comunque destinato a modificare l’assetto degli interessi negoziali riportato nel documento sottoscritto dalle parti. Né certo sarebbe ragionevole sostenere che la clausola di determinazione del prezzo non abbia rilevanza centrale nell’economia degli interessi regolati mediante un contratto di compravendita.
D’altronde, affermare che la pattuizione con cui le parti convengano un prezzo diverso da quello indicato nel documento contrattuale da esse sottoscritto non integrerebbe gli estremi di una vera e propria simulazione, avendo scopo meramente integrativo, non risolve in alcun modo il problema. Se anche così fosse, infatti, resterebbe comunque difficilmente eludibile il rilievo per cui una tale pattuizione si pone in contrasto con il contenuto di un documento contrattuale contestualmente stipulato e, come tale, ricade nella previsione dell’art. 2722 c.c.
La differenza che l’orientamento giurisprudenziale qui non condiviso introduce – tra la prova della simulazione, soggetta agli anzidetti limiti legali, e la prova di patti meramente integrativi del contratto, che detti limiti non incontrerebbe perché quei patti difetterebbero di una propria autonomia strutturale o funzionale– non sembra perciò trovare un sufficiente appiglio: né nella lettera del citato art. 2722, che si riferisce ai “patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento”, e quindi anche a quelli di carattere integrativo se essi contengano elementi nuovi o contrastanti con quelli documentati; né nella già richiamata ratio legis, che evidentemente abbraccia ogni ipotesi nella quale si pretenda di dare, per mezzo di testimoni, la prova di obblighi o diritti di portata diversa da quanto risulta da accordi consacrati in un documento e perciò dotati di un grado di certezza non superabile con quel genere di prova».
Ritiene il collegio di condividere tale più recente orientamento.
Va, in proposito, osservato che il fatto che il contratto simulato non sia nullo o annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti non giustifica la conclusione che il contratto dissimulato, il quale è destinato ad avere effetto tra le parti, non debba avere i requisiti di forma necessari per la validità dello stesso, secondo quanto espressamente stabilito dall’art. 1414, secondo comma, c.c.
Né si potrebbe sostenere che il requisito di forma sarebbe soddisfatto dal negozio simulato (come sembra sostenere la sent. 9 luglio 1987, n. 5975).
Una tesi analoga era stata sostenuta questa Suprema Corte anche in tema di interposizione fittizia, ma è stata successivamente abbandonata (cfr. sent. 22 aprile 1986, n. 2816; 22 novembre 1979, n. 6074), in base alla considerazione che l’interposizione deve risultare anch’essa da un patto rivestito della forma solenne.
Né, con riferimento specifico al problema della prova del prezzo, si potrebbe sostenere che la prova per testimoni sarebbe destinata soltanto ad integrare soltanto un elemento negoziale per il quale il requisito di forma è soddisfatto dal contratto simulato.
È facile osservare che il prezzo è un elemento essenziale della vendita, per cui anch’esso deve risultare per iscritto e per intero quando per tale contratto è prevista la forma scritta ad substantiam, non essendo sufficiente che quest’ultima sussista in relazione alla manifestazione di volontà di vendere e di acquistare.
In altri termini, la prova per testimoni del prezzo dissimulato di una vendita immobiliare non riguarda un elemento accessorio del contratto, in relazione al quale non opera il divieto di cui all’art. 2722 c.c., ma un elemento essenziale, con conseguente applicabilità delle limitazioni in tema di prova previste da tale disposizione.
Alla luce delle considerazioni svolte, il primo motivo del ricorso va accolto, con assorbimento degli altri motivi, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che provvederà anche in ordine alle speSe del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso; dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

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Cass., sez. II, 12 ottobre 2009, n. 21637
(Pres. Elefante; rel. Giusti)

Nel caso di allegazione della simulazione relativa per interposizione fittizia di persona di un contratto necessitante la forma scritta ad substantiam, la dimostrazione della volontà delle parti di concludere un contratto diverso da quello apparente incontra non solo le normali limitazioni legali all’ammissibilità della prova testimoniale e per presunzioni, ma anche quella, più rigorosa, derivante dal disposto dell’art. 1414 c.c., comma 2° e art. 2725 cod. civ., di provare la sussistenza dei requisiti di sostanza e di forma del contratto diverso da quello apparentemente voluto e l’esistenza, quindi, di una controdichiarazione, dalla quale risulti l’intento comune dei contraenti di dare vita ad un contratto soggettivamente diverso da quello apparente: di conseguenza, e con riferimento alla compravendita immobiliare, la controversia tra il preteso acquirente effettivo e l’apparente compratore non può essere risolta, fatta salva l’ipotesi di smarrimento incolpevole del relativo documento (art. 2724 c.c., n. 3), con l’interrogatorio formale, non potendo la mancata comparizione della parte all’interrogatorio deferitole supplire alla mancanza dell’atto scritto”.
(…)
Svolgimento del processo
1. – Con atto di citazione notificato il 16 dicembre 1998, R.d. M.M.G. convenne innanzi al Tribunale di Tempio Pausania l’ex coniuge, K.G.G.W., al fine di rivendicare la proprietà di un mezzo di una casa di civile abitazione edificata su un terreno fittiziamente intestato al predetto, ma in realtà acquistato in comunione da entrambi i coniugi.
Nella resistenza del convenuto, il Tribunale adito, con sentenza in data 20 agosto 2002, rigettò la domanda dell’attrice, rilevando:
• che, durante il matrimonio, i coniugi erano in separazione dei beni;
• che le risultanze catastali concernenti l’intestazione della casa non potevano considerarsi probanti in merito alla effettiva proprietà dell’immobile; e che la prova della simulazione dell’originario contratto di acquisto del terreno non poteva considerarsi raggiunta.
2. – La Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 26 settembre 2003, ha rigettato il gravame della R.d.M., confermando la pronuncia impugnata e ponendo a carico dell’appellante le spese processuali sostenute dall’appellato.
2.1. – A tale conclusione la Corte territoriale è giunta sulla base delle seguenti argomentazioni:
certo ed incontestato che i coniugi ebbero a scegliere il regime patrimoniale della separazione dei beni, la “comunione di fatto” invocata dall’appellante non è circostanza che valga a mutare il regime degli acquisti in costanza di matrimonio;
il godimento della casa ed il pagamento di tasse attengono al regime di vita dei coniugi, per cui la moglie poteva sicuramente godere della casa e, nell’ambito del contributo economico alle esigenze familiari, anche sostenere le spese, senza che ciò importasse l’acquisto della proprietà in comunione; stante il divieto di prova orale della simulazione stabilito dall’art. 1417 cod. civ., in difetto della stessa prospettazione dell’intervenuto accordo simulatorio la mancata risposta del convenuto all’interrogatorio formale deferitogli non consente di ritenere raggiunta la prova della simulazione inter partes.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la R. d.M. ha proposto ricorso, sulla base di un unico motivo.
L’intimato ha resistito con controricorso.
In prossimità delle parti entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione
1. – Con l’unico mezzo, la ricorrente censura omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Con esso di censura che la Corte d’appello abbia ritenuto che l’attrice avrebbe dovuto dimostrare, con una convenzione scritta, la simulazione o interposizione fittizia di persona all’atto di acquisto del terreno su cui poi è stata realizzata la causa.
La ricorrente osserva che, se è vero che la costruzione realizzata da entrambi i coniugi sul suolo di proprietà esclusiva di uno di essi non rientra nella comunione dei beni di cui all’art. 159 cod. civ., tuttavia il coniuge formalmente titolare esclusivo dei manufatto così realizzato ben può attribuire all’altro coniuge, con atto unilaterale risultante da scrittura privata, il diritto di proprietà sul 50% della casa, sulla base del contestuale riconoscimento dell’averlo costruito insieme.
Orbene, nel caso in esame, la dichiarazione resa in forma scritta in sede di ricorso per separazione (in cui il marito attestava e riconosceva il diritto di proprietà della moglie nella misura del 50%) ed il contegno processuale (mancata risposta all’interrogatorio formale) consentirebbero di affermare che vi è stato un riconoscimento costitutivo del diritto di proprietà dell’immobile in questione in ragione della metà.
2. – Il motivo –da esaminare nei limiti in cui è proposto nel ricorso, senza che possano avere rilievo censure ulteriori (attinenti alla dedotta instaurazione di un regime di comunione convenzionale in virtù di una intesa tacita tra i coniugi) avanzate con la memoria illustrativa– è infondato, per la parte in cui non è inammissibile.
Nel negare l’idoneità, ai fini della dimostrazione della dissimulata cointestazione ad entrambi i coniugi del terreno su cui è avvenuta la costruzione, della mancata risposta del convenuto all’interrogatorio formale deferitogli, la Corte territoriale si è attenuta al principio –costante nella giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, Sez. 2^, 19 febbraio 2008, n. 4071)– secondo cui, nel caso di allegazione della simulazione relativa per interposizione fittizia di persona di un contratto necessitante la forma scritta ad substantiam, la dimostrazione della volontà delle parti di concludere un contratto diverso da quello apparente incontra non solo le normali limitazioni legali all’ammissibilità della prova testimoniale e per presunzioni, ma anche quella, più rigorosa, derivante dal disposto dell’art. 1414 c.c., comma 2° e art. 2725 cod. civ., di provare la sussistenza dei requisiti di sostanza e di forma del contratto diverso da quello apparentemente voluto e l’esistenza, quindi, di una controdichiarazione, dalla quale risulti l’intento comune dei contraenti di dare vita ad un contratto soggettivamente diverso da quello apparente: di conseguenza, e con riferimento alla compravendita immobiliare, la controversia tra il preteso acquirente effettivo e l’apparente compratore non può essere risolta, fatta salva l’ipotesi di smarrimento incolpevole del relativo documento (art. 2724 c.c., n. 3), con l’interrogatorio formale, non potendo la mancata comparizione della parte all’interrogatorio deferitole supplire alla mancanza dell’atto scritto.
Quanto, poi, alla censura di omessa od insufficiente motivazione, per non essersi la Corte territoriale data carico dell’esistenza di un atto unilaterale –il ricorso per separazione coniugale– nel quale il marito avrebbe attribuito alla moglie il diritto di proprietà sul 50 per cento della casa, sulla base del contestuale riconoscimento dell’averla costruita insieme, si tratta di doglianza inammissibile.
Difatti, la ricorrente è venuta meno all’onere, imposto dal principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di riportare specificamente nel motivo dell’atto di impugnazione il contenuto della risultanza –il ricorso per separazione contenente il dedotto atto negoziale a causa atipica, non liberale ma corrispettiva, dall’effetto costitutivo– asserita come decisiva e non valutata o insufficientemente valutata.
In definitiva, la sentenza impugnata si fonda su una motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici; essa, pertanto, sfugge alle doglianze articolate dalla ricorrente.
3. – Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio per cassazione seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, liquidate in complessivi Euro 1.700, di cui Euro 1.500 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 luglio 2009.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2009.

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Cass., sez. 17 novembre 2011, n. 24100

Svolgimento del processo
Con atto notificato il 20.10.90 la società Moviter Sud s.p.a citò al giudizio del Tribunale di Bari D.G., P. F. e D.L., esponendo: che il primo, con scrittura privata del 26.9.87, gli aveva venduto un appartamento con sovrastante terrazzo, sito in (OMISSIS), di cui disponeva perchè promessogli in vendita da L.A. ed I., per il prezzo di L. 164.480.000, pagato a mezzo di effetti cambiari, con scadenza fino al 28.2.88, con previsione di stipula dell’atto pubblico al 30.6.88 e con trasferimento immediato del possesso; che l’immobile era stato oggetto di opere di miglioramento, anche al fine di unificarlo ad un contiguo appartamento già appartenente all’esponente; che successivamente ed inopinatamente l’immobile suddetto era stato oggetto di un fittizio atto di compravendita del 4.6.90, con il quale P.F. e D.L., moglie la prima e figlia la seconda di D.G., figuravano averne acquistato, per il prezzo di L. 43.000.000, rispettivamente l’usufrutto e la nuda proprietà.
Su tali premesse la società attrice chiese accertarsi la simulazione, per interposizione fittizia, di quest’ultimo negozio e, conseguentemente, di chi ararsi trasferito in proprio favore, o comunque trasferire ex art. 2932 c.c, l’immobile suddetto, con condanna del D. al risarcimento dei danni o comunque a tenerla indenne per l’ipotesi di evizione, o, in subordine, dei convenuti a restituire l’importo del prezzo, al rimborso dell’indennità per i miglioramenti, con diritto dell’attrice alla ritenzione, nonchè al risarcimento dei danni, anche ex art. 96 c.p.c. Costituitisi, prima la P. e la D., poi il D., contestarono, per quanto di rispettivo interesse, ogni avversa domanda, disconoscendo, in particolare, sia la conformità della fotocopia, prodotta dall’attrice, all’assunta scrittura privata da quella invocatala l’autenticità della relativa sottoscrizione;in via riconvenzionale le prime due chiesero la condanna dell’attrice al rilascio dell’immobile, con risarcimento dei danni, lamentandone l’arbitrario e clandestino impossessamento da parte avversa.
L’immobile controverso veniva, su richiesta delle convenute, sottoposto a sequestro giudiziario, ed affidato alla custodia, prima delle istanti e, successivamente dietro cauzione di L. 500.000, dell’attrice. Si procedeva a consulenza tecnica di ufficio ed, a seguito della dichiarazione di fallimento della società attrice, ad interruzione e riassunzione del processo, con conseguente costituzione della curatela, che faceva proprie le posizioni della società fallita. Con sentenza non definitiva del 4/23.3.03 il G.O.A della “sezione stralcio” dell’adito tribunale, rigettata ogni altra domanda della parte attrice, ne accoglieva soltanto, nei confronti del solo D.G., quella di restituzione della somma di L. 164.800.000, e nei confronti di tutti, quella di condanna all’indennità per i miglioramenti e le addizioni, rimettendone la quantificazione al prosieguo del giudizio, accoglieva le riconvenzionali di rilascio, previo ripristino e separazione dell’immobile da quello contiguo, e quella di risarcimento dei danni da parte della curatela in favore della P., liquidandoli in misura di Euro 310, 00 mensili a partire dal 1.10.96, dichiarando tuttavia improcedibile l’analoga domanda per la precedente occupazione da parte della società fallita.
La curatela proponeva appello, cui resistevano gli appellati, proponendo a loro volta rispettivi gravami incidentali;
l’esecutorietà della sentenza impugnata veniva sospesa con ordinanza confermata dal collegio; successivamente, a seguito della chiusura del fallimento e della riassunzione da parte delle appellateci costituiva la società Moviter s.p.a., tornata in bonis, facendo proprie le posizioni assunte dalla curatela.
Con sentenza del 14/28.10.05 la Corte di Bari, respingeva l’appello principale ed, in accoglimento, per quanto di ritenuta ragione di quelli incidentali, in riforma della gravata sentenza, determinava in Euro 798, 89 mensili, oltre interessi e rivalutazione monetaria, a partire dal 27.9.96, la misura del risarcimento dei danni dovuti dalla società Moviter Sud alla P., escludeva dall’indennità per i miglioramenti e le addizioni dovuta alla società le spese per le opere destinate alla demolizione e per quelle meramente voluttuarie, per il resto assolvendo dal relativo obbligo di pagamento il D., rigettava la domanda di condanna di quest’ultimo alla restituzione della somma di L. 164.480.000, condannava, infine, la società Moviter Sud al rimborso delle rispettive spese del grado sostenute dalle controparti.
La corte di merito confermava l’essenziale ragione reiettiva delle domande attrici, nella mancata produzione in originale della scrittura privata, la cui fotocopia era stato oggetto del duplice disconoscimento, ex art. 2719 c.c. e art. 214 c.p.c., omissione che oltre a comportare la mancata prova, richiesta ad substantiam, dell’acquisto o comunque del diritto al trasferimento ex art. 2932 c.c. della proprietà dell’immobile, rendeva priva d’interesse la domanda diretta all’accertamento della simulazione della compravendita intervenuta tra le L., la P. e la D., al cui riguardo, peraltro svolgeva anche considerazioni in ordine alla ritenuta scarsa consistenza degli argomenti di prova addotti.
Tale carenza probatoria, non rimediabile con prove testimoniali o presuntive ex artt. 2725 e 2729 c.c., di cui non venivano ravvisate le condizioni nelle deduzioni e richieste di prova, ritenute generiche, al riguardo esposte, nè con l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., inammissibile in difetto di certezza dell’esistenza del documento, induceva i giudici di appello a respingere anche la richiesta, in primo grado accoltaci restituzione del prezzo asseritamente pagato, considerando al riguardo insufficiente la produzione sia degli effetti cambiari, attesa l’astrattezza dei titoli, sia l’indicazione degli esborsi nelle scritture contabili della società, non facenti prova contro i terzi e, comunque, non riportanti le causali dei pagamenti. Quanto alle ulteriori questioni, ancora rilevanti nella presente sede, la corte riteneva: di confermare l’esclusione di alcun vincolo di solidarietà, circa le obbligazioni di rimborso, tra il D. e la moglie e la figlia, per insussistenza di alcun elemento comprovante il concorso ed inconsistenza della tesi sull’accordo simulatorio;di confermare, altresì, l’esclusione del diritto della società a ritenere il bene, fino al pagamento delle suddette indennità, per insussistenza della qualità di possessore in buona fede ed impossibilità di applicazione analogica dell’istituto della ritenzione; di dover anche confermare, stante l’assenza di alcun titolo a possedere, la spettanza del diritto dell’usufruttuaria P. al risarcimento del danno, da ritenersi in re ipsa, per il mancato godimento dell’immobile; che, in mancanza delle condizioni per liquidazione equitativa, tale danno andava parametrato, sulla scorta dell’attendibile stima peritale operata in sede fallimentare, al canone in regime di libero mercato e, pertanto, liquidatogli accoglimento dell’appello incidentale, nella maggiore somma di Euro 798, 89 mensili; che, infine, l’obbligo del rimborso per le spese ed i miglioramenti, apportati dalla società all’immobile, dovesse gravare soltanto sulla proprietaria e sull’usufruttuaria, che ne avevano tratto vantaggio, e non anche sul D., che non avendo alcuna diritto sul bene, nessun beneficio ne aveva ricavato.
Avverso la suddetta sentenza la società Moviter Sud ha proposto ricorso per cassazione affidato ad otto motivi, illustrati con successiva memoria.
Hanno resistito con rispettivi controricorsi il D. e, congiuntamente, la P. e la D., depositando questi ultimi memoria illustrativa.
Motivi della decisione
Deve anzitutto essere esaminato, per priorità logico – giuridica rispetto ai rimanenti, il secondo motivo di ricorso, con il quale si censura, per violazione degli artt. 2711, 2724, 2727, 2729 e 1401 e segg. cod. civ., art. 210 c.p.c., art. 94 disp. att. c.p.c., insufficiente e contraddittoria motivazione, la mancata ammissione delle prove orali con le quali si sarebbe voluto dimostrare sia l’esistenza e la perdita incolpevole dell’originale della scrittura privata, la cui prodotta fotocopia era stata oggetto del duplice disconoscimento da parte avversaria la simulazione del contratto di compravendita stipulato tra le L., la P. e la D.
Si sostiene tra l’altro e segnatamente, quanto al primo e pregiudiziale profilo, che l’originale del contratto in questione sarebbe stato depositato dalla società Moviter Sud presso il Comune di (OMISSIS), in occasione della presentazione di un progetto di variante alla concessione edilizia n. (OMISSIS) per l’unificazione di due contigui appartamenti (uno dei quali quello in contestazione), variante che sarebbe stata poi accordata con la concessione n. (OMISSIS), “sulla base dell’atto di vendita 26.9.1987, regolarmente acquisito agli atti”, ma che tale documento successivamente “non fu più reperito nella pratica comunale”; si lamenta, conseguentemente, la mancata ammissione dell’articolata (e riportata) prova testimoniale su tali circostanze, pur in cospetto degli estremi di cui all’art. 2725 in rel. all’art. 2724 c.c., n. 3.
La doglianza è infondata, alla luce del principio costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ad integrare la circostanza contemplata dalla citata disposizione, quale eccezione all’inammissibilità della prova testimoniale, è necessario che la parte istante dimostri che la propria condotta nella conservazione del documento sia stata immune da imprudenza e negligenza e caratterizzata dall’adozione di ogni ragionevole cautela, rapportata alla particolarità del caso (tra le altre, v. Cass. nn. 23288/05, 3059/02, 43/98, 2017/94). Nel caso di specie, ove lo smarrimento si fosse verificato con le modalità e nelle circostanze dedotte nell’articolata prova, risulterebbe anzitutto contrario alle più elementari regole di diligenza nella gestione dei propri affari l’essersi privata dell’unico assunto originale di un documento, di rilevante importanza giuridico – economica, senza averne preventivamente formato una copia autentica, l’averlo poi depositato a corredo di una pratica, sia pure presso un ufficio pubblico, senza farsi rilasciare un’attestazione al riguardo o, quanto meno, una distinta della documentazione allegata all’istanza edilizia, menzionante anche l’atto, ed, infine, a seguito del successivo assunto mancato reperimento (di cui non vengono meglio specificate le circostanze), omesso di presentare una formale istanza di restituzione all’ufficio presso cui lo stesso era stato prodotto, istanza al cui riscontro la P.A. non avrebbe potuto, in un modo o nell’altro, sottrarsi, tanto meno nell’ipotesi in cui – ma la circostanza neppure viene dedotta nel mezzo d’impugnazione – la concessione in variante, che la società assume aver conseguito, avesse contenuto un’espressa menzione del contratto de quo, quale titolo legittimante la relativa richiesta.
Nè può scindersi, come pur pretenderebbe la ricorrente, la posizione della curatela del fallimento (che non avrebbe reperito tra gli atti e la corrispondenza della fallita scrittura in questione) ai fini della valutazione dell’elemento psicologico della dedotta amissio, atteso che la medesima era subentrata nel giudizio (per poi uscirne dopo il ritorno in bonis) alla parte attrice nella medesima posizione processuale e sostanziale, così restando soggetta alle stesse limitazioni probatorie al riguardo.
Correttamente, pertanto, la corte di merito ha disatteso la richiesta di prova orale, diretta alla dimostrazione dell’esistenza di un contratto (fosse esso preliminare o definitivo), comunque esigente, ex art. 1350 c.c., n. 1 o art. 1351 c.c. la forma scritta ad substantiam, non ricorrendo l’ipotesi eccezionale di cui all’art. 2724 c.c., n. 3, la sola richiamata dall’art. 2724 con riferimento a siffatti negozi; conseguentemente rimaneva anche esclusa, attesa l’equiparazione contenuta nell’art. 2729 c.c., anche ogni possibilità di far ricorso ad elementi di prova presuntiva. Le suesposte considerazioni comportano il reiettivo assorbimento delle doglianze, anche contenute nel secondo motivo, relative alla mancata ammissione delle prove orali, ivi compreso l’interrogatorio formale, nella parte diretta a dimostrare l’assunta simulazione della compravendita L. – D. – P., per la carenza, correttamente evidenziata dai giudici di merito, di alcun titolo idoneo a giustificare l’interesse della società attrice, sia pure quale terza, a far dichiarare la natura fittizia dell’atto in questione, dacchè, una volta rimasto indimostrato il diritto di proprietà, o quello di conseguirlo ex art. 2932 c.c., in capo alla società, nessun vantaggio giuridicamente apprezzabile agli effetti dell’art. 100 c.p.c. potrebbe alla medesima derivare dall’accertamento in questione.
Restano, del pari, travolti dalla pronunziata reiezione del secondo mezzo: a) il primo motivo, censurante sotto vari profili ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 la mancata dichiarazione della simulazione, in quanto attinente ad una ratio decidendi palesemente subordinata; b) il terzo, con il quale si lamenta la mancata estensione del contraddittorio alle L., asserite simulate alienanti prevalendo la rilevata carenza d’interesse, radicalmente inficiante l’azione, rispetto alla dedotta non integrità del relativo contraddittorio; c) il quarto, con il quale si lamenta l’esclusione della solidarietà della D. e della P. con il D. ai fini della condanna alla restituzione della somma di L. 164.800.000 che si assume versata, essendo stata la relativa corresponsabilità dedotta quale conseguenza dell’accordo simulatorio; d) il quinto, con cui si lamenta il mancato riconoscimento alla società del diritto alla “ritenzione” dell’immobile, presupponendo la relativa pretesa la qualità di “possessore in buona fede”, sulla base di un titolo rimasto indimostrato (e peraltro, ove costituito da contratto preliminare, comunque non idoneo a trasferire il possesso, a termini di S.U. n. 7930/08); e) il sesto, nella parte in cui censura, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1147 c.c. e per non meglio precisati vizi di motivazione, la subita condanna al risarcimento dei danni per l’indebita occupazione dell’immobile, che si contesta, quanto all’an debeatur, sull’assunto, rimasto tuttavia indimostrato, della sussistenza del possesso in buona fede, derivante dal titolo contrattuale, assenza sulla base della quale correttamente il danno è stato ravvisato in re ipsa, quale conseguenza di una detenzione senza titolo ad oggetto di un bene naturalmente produttivo di reddito, quale deve ritenersi un immobile abitativo, della cui percezione è stata privata la P., titolare del diritto di usufrutto sullo stesso.
Quest’ultimo mezzo d’impugnazione, che per il resto deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., L. n. 392 del 1978, art. 12 e segg., art. 115 c.p.c., insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere ingiustificatamente liquidato detto danno, sulla base della “scienza privata del giudice”, in base ad un “preteso canone di mercato”, va anche in tale parte respinto, considerato che il parametro locatizio è quello più rispondente, per costante giurisprudenza, in tema di quantificazione del pregiudizio derivante dalla mancata percezione di un reddito immobiliare. La stima è stata, nella specie determinato, con riferimento alle quotazioni correnti del mercato, sulla base di specifiche risultanze attinte dal procedimento fallimentare, nel corso del quale si era proceduto alla relativa valutazione, così attingendo la relativa prova non da cognizioni private del giudice o da apodittiche affermazioni della parte – che producendo detta stima non era rimasta inerte sul piano probatorio – bensì da una fonte obiettiva ed attendibile (tenuto conto delle finalità di interesse collettivo perseguite nei procedimenti concorsuali), senza che il giudice fosse necessariamente tenuto all’espletamento di una consulenza tecnica, essendo insindacabile il relativo potere di disporla e ben potendo, in assenza di un principio di tassatività dei mezzi di prova, il medesimo avvalersi di accertamenti peritali svolti in altri giudizi.
Nè merita accoglimento, infine, la doglianza secondo cui il parametro avrebbe dovuto essere necessariamente rapportato al virtuale “equo canone” dovuto “per legge”, attesa la risalenza del possesso ad epoca anteriore all’entrata in vigore delle norme sui cd.
“patti in deroga”, per la sua genericità, non venendo in essa precisato quale sarebbe stata, in concreto e con riferimento allo sviluppo temporale della detenzione de qua, tale diversa misura e quale l’eventuale divario tra la stessa e quella determinata nella recepita stima.
Con il settimo motivo si censura, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1150 c.c., art. 12 disp. gen., art. 115 c.p.c., insufficiente e contraddittoria motivazione, in quanto priva di riscontro “testuale e logico” e basata su “sporadica tesi dottrinaria”, la statuizione escludente dal rimborso delle spese per miglioramenti e addizioni, dovuto alla società dalle controparti dalla P. e dalla D., quelle voluttuarie.
Si assume, in particolare, che limitandosi le disposizioni contenute nell’art. 1150 c.c., commi 1 e 2 a prevedere, rispettivamente, la rimborsabilità delle spese straordinarie e la condizione della sussistenza dei miglioramenti al tempo della restituzione, la distinzione operata dai giudici di appello sarebbe stata ingiustificata.
La tesi è infondata, considerato, che l’articolo citato, al primo comma, non prevede indiscriminatamente tutte le “spese” straordinarie, ma soltanto quelle occorse per le riparazioni che tale carattere rivestano.
Quanto all’indennizzo di cui al secondo comma, lo stesso attiene ai miglioramenti apportati alla cosa posseduta, in buona o in mala federale a dire a quegli interventi che siano tali da incrementarne obiettivamente l’intrinseco valore, sicchè al riguardo non possono assumere alcun rilevanza gli apporti rispondenti a finalità meramente voluttuarie, che in quanto soggettive e correlate al gradimento del possessore, vale a dire a criteri che ben potrebbero essere non condivisi dall’avente diritto alla restituzione, non potendo a quest’ultimo essere imposti, devono ritenersi non meritevoli di tutela indennitaria.
Con l’ottavo motivo vengono censurate, rispettivamente, per violazione e falsa applicazione degli artt. 1417 e 2721 c.c., artt. 116 e 244 c.p.c., artt. 1150 e 1292 c.c., insufficiente e contraddittoria motivazione, le statuizioni di accoglimento dell’appello incidentale del D., relative alla reiezione della domanda di restituzione della somma di L. 164.480.000, previa revoca dell’ordinanza del primo giudice ammissiva della relativa prova, ed all’assoluzione del suddetto dall’obbligo di rimborso delle indennità per le addizioni ed i miglioramenti apportati all’immobile, in solido con le altre due convenute.
Fondata deve ritenersi la prima doglianza, poichè la corte territoriale, nel ritenere inammissibile la prova testimoniale, con la quale la società Moviter aveva chiesto ed ottenuto, in primo grado, di provare il versamento della somma suddetta, osservando che la stessa non avrebbe potuto essere ammessa in quanto correlata alla dimostrazione della sussistenza del contratto in base al quale tale somma l’attrice assumeva aver pagato, non ha considerato che la richiesta non era tanto diretta a provare l’avvenuta stipulazione del negozio esigente la forma scritta, finalità per la quale erano stati articolati distinti capitoli, quanto, essenzialmente, il “fatto storico” costituito da tale dazione, che a prescindere dalla sussistenza o meno di un valido negozio giustificativo, si assumeva comunque aver effettuato. In tale ottica, funzionale ad una ripetizione di un indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., causale subordinata da ritenersi implicita nella richiesta di conseguire la restituzione, comunque ed in ogni caso, della somma suddetta, sulla base dei fatti enunciati nella domanda, la cui qualificazione competeva al giudice, una volta escluso il titolo negoziale (non provabile oralmente o per presunzioni, per l’inammissibilità in precedenza confermata), correttamente il Tribunale aveva ritenuto la prova ammissibile. Tale statuizione era in linea con la costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’inammissibilità ex art. 2725 c.c. della prova testimoniale non opera quando il contratto venga in considerazione non quale titolo posto a base della domanda, bensì quale “fatto storico” ad altri fini rilevante nel giudizio, essendo nella specie quei circostanziati capitoli di prova diretti a provare il fatto oggettivo dell’operato pagamento e le relative ragioni, quale che fosse la sussistenza o validità del negozio in base al quale lo stesso era stato eseguito, e così a superare l’astrattezza dei titoli cambiari emessi al riguardo. Non meritevole di accoglimento, è invece la rimanente censura, considerato che, in assenza della prova della simulazione, le sole persone avvantaggiatesi dei miglioramenti apportati all’immobile dalla detentrice società andavano identificate, come correttamente evidenziato dalla corte di merito, nella D. e nella P., e non anche nel D., in quanto titolari di diritti reali sul bene, senza che potesse attribuirsi, come sostiene la ricorrente, alcun rilievo confessorio in proposito a, non meglio specificate, argomentazioni ammissive di un’assunta solidarietà che sarebbero state formulate nel corso del giudizio di appello, non dal medesimo personalmente, bensì dal suo difensore, in imprecisati atti difensivi Conclusivamente la sentenza impugnata deve essere cassata limitatamente all’unica censura accolta, contenuta nell’ottavo motivo, che va nel resto disatteso, al pari dei precedenti, disponendosi il rinvio ad altra sezione della corte di provenienza, per nuovo esame sul punto cassato e per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglierei limiti di cui in motivazione, l’ottavo motivo del ricorso, che rigetta nel resto, cassa la sentenza impugnata limitatamente alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Bari.

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Cass., sez. II, 4 maggio 2007 n. 10240

In tema di simulazione di un contratto di compravendita immobiliare, la prova per testi soggiace a limitazioni diverse a seconda che si tratti di simulazione assoluta o relativa. Nel primo caso, l’accordo simulatorio, pur essendo riconducibile tra i patti per i quali opera il divieto di cui all’art. 2722 cod. civ., non rientra tra gli atti per i quali è richiesta la forma scritta “ad substantiam” o “ad probationem”, menzionati dall’art. 2725 cod. civ., avendo natura ricognitiva dell’inesistenza del contratto apparentemente stipulato, sicché la prova testimoniale è ammissibile in tutte e tre le ipotesi contemplate dal precedente art. 2724 cod. civ.. Nel secondo caso, occorre distinguere, in quanto se la domanda è proposta da creditori o da terzi – che, essendo estranei al negozio, non sono in grado di procurarsi le controdichiarazioni scritte – la prova per testi o per presunzioni non può subire alcun limite; qualora, invece, la domanda venga proposta dalle parti o dagli eredi, la prova per testi, essendo diretta a dimostrare l’esistenza del negozio dissimulato, del quale quello apparente deve rivestire il necessario requisito di forma, è ammessa soltanto nell’ipotesi di cui al n. 3 dell’art. 2724 citato, cioè quando il contraente ha senza colpa perduto il documento, ovvero quando la prova è diretta fare valere l’illiceità del negozio.

ATTO DI DIRITTO PRIVATO
Tizia e Sempronio citano in giudizio l’impresa Gamma esponendo di aver acquistato, con preliminare e successivo contratto definitivo, un appartamento destinato a civile abitazione e di aver versato alla parte venditrice la somma di euro 140.000 mentre il prezzo indicato nei suddetti atti era di 95.000. Chiedono, pertanto la restituzione della somma pagata in eccedenza oltre agli accessori di legge.
L’impresa edile Gamma sostiene, per contro, l’esistenza di un precedente preliminare di compravendita che recava il prezzo effettivo di euro 140.000 e che i contratti successivi erano stati simulati indicandosi il minor prezzo di euro 95.000 e ritiene inoltre di poter fornire prova testimoniale di tale simulazione.
Il candidato, assunte le vesti di avvocato dell’impresa edile Gamma rediga l’atto giudiziario più opportuno illustrando gli istituti e le problematiche sottese alla fattispecie.

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La traccia assegnata come atto di diritto privato ha ad oggetto un’ipotesi (un tempo assai frequente nella prassi della contrattazione immobiliare) di simulazione relativa del prezzo, compiuta attraverso l’indicazione nel contratto definitivo (e, talvolta, anche preliminare) di un prezzo inferiore a quello effettivamente concordato e versato dalle parti.
Il problema della prova di tale simulazione ha diviso la giurisprudenza per lungo tempo, fino alla nota pronuncia delle Sezioni Unite (Cass., sez. un., 26 marzo 2007, n. 7246), secondo la quale la prova per testimoni del prezzo dissimulato di una vendita immobiliare, poiché riguarda un elemento essenziale del contratto, soggiace alle limitazioni previste dall’art. 2722 c.c. ed è, pertanto, inammissibile.
Tale restrittivo orientamento risulta, peraltro, anche recentemente confermato da Cass., sez. II, 5 aprile 2011, n. 7769.
Assumendo, pertanto, le vesti dell’avvocato di Gamma, occorreva sostenere – diversamente, come si è detto, da quanto sancito dalla Suprema Corte (anche a Sezioni Unite) – l’ammissibilità della prova testimoniale della simulazione, così come indicava la traccia, che espressamente faceva riferimento alla possibilità di Gamma di “…fornire prova testimoniale di tale simulazione”.
Il candidato – là dove non ancora sgomento di fronte a una richiesta di difesa in palese contrasto con quanto ormai divenuto ius receptum nella giurisprudenza di legittimità – poteva essere tratto in errore dall’ulteriore riferimento della traccia a “….l’esistenza di un precedente preliminare di compravendita che recava il prezzo effettivo di euro 140.000”. 
Il candidato avrebbe potuto pensare, cioè, che la presenza di un documento scritto (il precedente preliminare) potesse valere a rendere ammissibile quella prova testimoniale generalmente vietata dalla diffusa e consolidata interpretazione giurisprudenziale. 
E’ noto, infatti, che l’art. 2724 c.c. pone tre eccezioni al divieto di prova testimoniale e, anzitutto, nel caso di principio di prova per iscritto, …costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato (n. 1). 
Invero, una simile interpretazione si rivela – rispetto alla soluzione del caso di specie – un equivoco, poiché il successivo art. 2725 c.c. chiarisce che, quando la forma scritta è richiesta a pena di nullità (come nel caso di preliminare immobiliare) la prova per testimoni è ammessa soltanto nel caso indicato dal n. 3 (e non già dal n. 1) dell’art. 2724 c.c.
La correttezza di tale conclusione è confermata dalla giurisprudenza della Suprema Corte (Cass., sez. II, 4 maggio 2007 n. 10240), la quale ha testualmente sancito che:
In tema di simulazione di un contratto di compravendita immobiliare, la prova per testi soggiace a limitazioni diverse a seconda che si tratti di simulazione assoluta o relativa. 
 Nel primo caso, l’accordo simulatorio, pur essendo riconducibile tra i patti per i quali opera il divieto di cui all’art. 2722 cod. civ., non rientra tra gli atti per i quali è richiesta la forma scritta “ad substantiam” o “ad probationem”, menzionati dall’art. 2725 cod. civ., avendo natura ricognitiva dell’inesistenza del contratto apparentemente stipulato, sicché la prova testimoniale è ammissibile in tutte e tre le ipotesi contemplate dal precedente art. 2724 cod. civ.. 
 Nel secondo caso, occorre distinguere, in quanto 
 se la domanda è proposta da creditori o da terzi – che, essendo estranei al negozio, non sono in grado di procurarsi le controdichiarazioni scritte – la prova per testi o per presunzioni non può subire alcun limite; 
 qualora, invece [come nel caso descritto dalla traccia], la domanda venga proposta dalle parti o dagli eredi, la prova per testi, essendo diretta a dimostrare l’esistenza del negozio dissimulato, del quale quello apparente deve rivestire il necessario requisito di forma, è ammessa soltanto nell’ipotesi di cui al n. 3 dell’art. 2724 citato, cioè quando il contraente ha senza colpa perduto il documento, ovvero quando la prova è diretta fare valere l’illiceità del negozio.
Non v’è dubbio che la simulazione del prezzo integri un’ipotesi di simulazione relativa (al pari della simulazione della causa e della simulazione soggettiva per interposizione fittizia di persona). Anche a proposito della simulazione per interposizione fittizia di persona, la Corte di Cassazione (Cass., sez. II, 12 ottobre 2009, n. 21637) ha stabilito che 
Nel caso di allegazione della simulazione relativa per interposizione fittizia di persona di un contratto necessitante la forma scritta ad substantiam, la dimostrazione della volontà delle parti di concludere un contratto diverso da quello apparente incontra non solo le normali limitazioni legali all’ammissibilità della prova testimoniale e per presunzioni, ma anche quella, più rigorosa, derivante dal disposto dell’art. 1414 c.c., comma 2° e art. 2725 cod. civ., di provare la sussistenza dei requisiti di sostanza e di forma del contratto diverso da quello apparentemente voluto e l’esistenza, quindi, di una controdichiarazione, dalla quale risulti l’intento comune dei contraenti di dare vita ad un contratto soggettivamente diverso da quello apparente: di conseguenza, e con riferimento alla compravendita immobiliare, la controversia tra il preteso acquirente effettivo e l’apparente compratore non può essere risolta, fatta salva l’ipotesi di smarrimento incolpevole del relativo documento (art. 2724 c.c., n. 3), con l’interrogatorio formale, non potendo la mancata comparizione della parte all’interrogatorio deferitole supplire alla mancanza dell’atto scritto”
Neppure utile poteva rivelarsi il riferimento a Cass., sez. II, 17 novembre 2011 n. 24100, secondo la quale l’inammissibilità ex art. 2725 c.c. della prova testimoniale non opera quando il contratto venga in considerazione non quale titolo posto a base della domanda, bensì quale “fatto storico” ad altri fini rilevante nel giudizio; secondo tale pronuncia, cioè, il Giudice dovrebbe ammettere la prova testimoniale quando essa sia diretta a provare il “fatto storico” costituito dalla dazione di denaro, che a prescindere dalla sussistenza o meno di un valido negozio giustificativo, la parte richiedente il mezzo di prova assuma comunque aver effettuato, ad esempio in senso funzionale ad una ripetizione di un indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. 
Orbene, nel caso oggetto della traccia, Gamma non avrebbe potuto invocare la prova testimoniale per pervenire alla prova del “fatto storico del pagamento”, per la semplice ragione che l’esecuzione di tale pagamento è pacifico, al punto che la domanda di restituzione (da potersi interpretare come domanda di ripetizione dell’indebito) è formulata dalla parte acquirente, e non certo da Gamma, nelle anguste vesti del cui legale il candidato avrebbe dovuto calarsi.
In definitiva, non restava al candidato altra via se non quella di far valere le ragioni di Gamma invocando le tesi di quella giurisprudenza disattesa e superata dalle Sezioni Unite, sostenendo, pertanto che:
• allorquando l’accordo simulatorio investe solo uno degli elementi del contratto (quale è il prezzo di una vendita immobiliare), per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam, il contratto simulato non perde la sua connotazione peculiare, ma conserva inalterati gli altri suoi elementi, ad eccezione di quello interessato dalla simulazione;
• non essendo, quindi, in tali termini, il contratto simulato né nullo né annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti, gli elementi negoziali interessati dalla simulazione possono essere sostituiti o integrati con quelli effettivamente voluti dai contraenti;
• la prova per testimoni del prezzo effettivo della vendita, versato o ancora da corrispondere, non incontra, tra alienante e acquirente, i limiti dettati dall’art. 1417 c.c. in tema di simulazione, in contrasto con il divieto posto dall’art. 2722 c.c., in quanto la pattuizione di celare una parte del prezzo non può essere equiparata, per mancanza di una propria autonomia strutturale, all’ipotesi di dissimulazione del contratto, così che la prova relativa ha scopo e materia semplicemente integrativa e può pertanto risultare anche da deposizioni testimoniali (sent. 24 aprile 1996, n. 3857; 23 gennaio 1988, n. 526)
Resta da chiedersi per quale ragione l’esaminatore ministeriale abbia ritenuto di sottoporre – quale prova scritta per l’esame nazionale di abilitazione alla professione forense – un caso in cui il candidato dovesse attingere alla propria preparazione giuridica per confutare giudizialmente il diritto vivente formatosi lungo l’arco di alcuni lustri e finalmente approdato ad una chiarificatrice pronuncia delle Sezioni Unite.
Per quanto ci si possa sforzare di immaginare spiegazioni diverse, la logica costringe alla seguente alternativa:
a) o l’esaminatore ministeriale ritiene che le doti di un aspirante avvocato si misurino attraverso l’elaborazione di argomentazioni giuridiche in contrasto con i frutti del massimo organo della giustizia ordinaria, appositamente deputato alle note funzioni di nomofilachia: nel qual caso, appare quanto meno sorprendente l’implicito atteggiamento di distacco rispetto al diritto vivente e il sotterraneo suggerimento al futuro avvocato di intraprendere azioni o resistere in giudizio anche in aperto contrasto con le statuizioni delle Sezioni Unite;
b) oppure – ma non vogliamo crederlo – la traccia formulata è il risultato di una grave carenza informativa dei più importanti e recenti arresti in materia della Corte di Cassazione: ipotesi che, se malauguratamente si rivelasse fondata, dimostrerebbe ancora una volta l’estrema difficoltà e delicatezza nell’elaborazione delle tracce per esami e concorsi nazionali, compito nel quale non è possibile improvvisarsi senza un’adeguata e profonda conoscenza della lettura giurisprudenziale dei più importanti istituti giuridici.

Mauro Paladini

GIURISPRUDENZA RELATIVA ALL’ATTO DI DIRITTO PRIVATO 

INAMMISSIBILE LA PROVA PER TESTIMONI
DEL PREZZO DISSIMULATO DELLA VENDITA IMMOBILIARE

Cass., sez. un., 26 marzo 2007, n. 7246
(Pres. Carbone; rel. Triola)
La prova per testimoni del prezzo dissimulato di una vendita immobiliare non riguarda un elemento accessorio del contratto, in relazione al quale non opera il divieto di cui all’art. 2722 c.c., ma un elemento essenziale, con conseguente applicabilità delle limitazioni in tema di prova previste da tale disposizione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 27 luglio 1992, I.P. e G.D., A.D., S.D. e R.T., questi ultimi quali eredi di F.D., convenivano in giudizio A.C. ed esponevano:
- che, in base a contratto stipulato il 1° giugno 1990, i coniugi F.D. e I.P. avevano promesso di vendere ad A.C., che aveva promesso di acquistare, l’appartamento sito in Bracciano, via Odescalchi n. 13, piano quarto, al prezzo di lire 121.974.651;
- che detto prezzo avrebbe dovuto essere, per una parte, corrisposto dalla C. mediante accollo di due mutui fondiari, gravanti rispettivamente sull’immobile oggetto del contratto (per lire 28.902.836) e su altro immobile di proprietà dei promittenti venditori (per lire 80.757.918);
- che, stipulato il 27 giugno 1990 il contratto di vendita, la compratrice si era accollato il solo mutuo gravante sull’immobile oggetto del contratto, ed aveva corrisposto le rate di entrambi i mutui fino al giugno 1991, omettendo però di pagare le successive rate semestrali del mutuo gravante sull’altro immobile;
- che, richiesta dell’adempimento dagli eredi di F.D., nel frattempo deceduto, A.C. aveva rifiutato il pagamento;
- che la compratrice era decaduta dal beneficio del termine ai sensi dell’art. 1186 c.c. e, pertanto, essi attori avevano diritto alla corresponsione della parte residua del prezzo effettivamente convenuto, pari a lire 69.894.225;
- che, su ricorso di essi attori, il Presidente del Tribunale li aveva, con ordinanza del 17 giugno 1992, autorizzati ad eseguire sequestro conservativo sui beni di A.C. fino alla concorrenza di lire 70.000.000, imponendo cauzione di lire 20.000.000;
- che il sequestro era stato eseguito mediante trascrizione, eseguita il 17 luglio 1992, del provvedimento sui registri immobiliari.
Sulla base di tali premesse, gli attori chiedevano: la convalida del sequestro conservativo concEsso in loro favore con l’ordinanza del 19 giugno 1992; l’accertamento che il prezzo di vendita dell’immobile sopra indicato era pari a lire 121.974.651; l’accertamento dell’inadempimento della convenuta alla obbligazione di pagamento della somma di lire 69.894.225, quale parte residua del prezzo; la condanna della convenuta al pagamento della somma di lire 69.894.225, quale parte residua del prezzo, ed al risarcimento dei danni dipendenti dall’inadempimento, “da quantificare in corso di giudizio, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi come per legge”.
La convenuta si costituiva deducendo:
- che in base ad accordi fra le parti del contratto preliminare del 1° giugno 1990 il prezzo della vendita dell’immobile che ne costituiva l’oggetto era stato parzialmente ridotto e che, pertanto, essa A.C. avrebbe pagato le rate del mutuo gravante sull’immobile oggetto della vendita e si sarebbe accollata le rate del mutuo dell’altro immobile appartenente ai venditori fino alla concorrenza di lire 30.000.000;
- che tale accordo era stato solo in parte trasfuso nel contratto di vendita del 27 giugno 1990, in cui le parti avevano dichiarato, a fini tributari, un prezzo pari a lire 41.000.000, da corrispondersi in parte mediante il solo accollo del mutuo gravante sull’immobile oggetto del contratto;
- che, pertanto, l’esatto contenuto dell’accordo era solo quello risultante dall’atto pubblico di vendita, essendo, ormai, inefficaci, sul punto, le pattuizioni contenute nel contratto preliminare;
- che, pertanto, il sequestro conservativo non avrebbe potuto essere concesso, attesa l’inesistenza del credito vantato dagli attori.
Con sentenza in data 11 marzo 1998 il tribunale di Roma accoglieva le domande degli attori.
A.C. proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di appello di Roma con sentenza in data 20 novembre 2001.
I giudici di secondo grado ritenevano che infondatamente l’appellante si lamentava del fatto che il tribunale di Roma avesse dato ingresso alle prove testimoniali offerte sulla differente entità del prezzo effettivamente pattuito fra le parti (rispetto a quello risultante dall’atto pubblico) sui rilievi che: in tema di simulazione relativa la prova per testi fra le parti è consentita solo per far valere l’illiceità del negozio dissimulato; e che – trattandosi di negozio che richiedeva la forma scritta per la validità – la prova testimoniale avrebbe richiesto la dimostrazione della perdita incolpevole del documento (ex art. 2725 c.c.); il primo giudice aveva, invece, richiamato erroneamente la disposizione dell’art. 2724, n. 1, c.c., attribuendo fra l’altro valore di principio di prova scritta al contratto preliminare, che era stato superato dalle pattuizioni consacrate nell’atto pubblico.
La decisione di primo grado, infatti, era conforme alla giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo la quale la prova, per testimoni o presunzioni, della simulazione del prezzo della vendita immobiliare non incontra, tra le parti, i limiti dettati dall’art. 1417 c.c., né contrasta con il divieto posto dall’art. 2722. La pattuizione di celare una parte del prezzo non è equiparabile, infatti, per mancanza di una propria autonomia strutturale o funzionale, all’ipotesi di dissimulazione del contratto, che conserva inalterati i suoi elementi di validità, inerenti al documento di cui si assume la falsificazione. Alla inefficacia della pattuizione apparente, concernente il prezzo, può dunque ovviarsi con una prova che ha scopo e natura semplicemente integrativa del contratto, e può risultare anche da deposizioni testimoniali o presunzioni.
Presunzioni bene ricavabili anche dal tenore del preliminare, quando non risultino, fra questo e la data del definitivo, fatti che abbiano alterato in maniera sensibile gli interessi delle parti composti nel contratto.
Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione A.C., con cinque motivi, illustratati da memoria.
Resistono con controricorso G.D., A.D., S.D., R.T.
La causa è stata rimessa alle Sezioni unite in ordine al contrasto esistente in giurisprudenza in ordine alla possibilità di provare per testimoni la simulazione del prezzo della vendita.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente ribadisce la tesi secondo la quale la prova per testimoni del prezzo effettivamente pattuito non poteva essere ammessa in considerazione del disposto dell’art. 2722 c.c..
La sentenza impugnata si è rifatta alla giurisprudenza meno recente di questa Suprema Corte.
Si è, in proposito, affermato che, allorquando l’accordo simulatorio investe solo uno degli elementi del contratto (quale è il prezzo di una vendita immobiliare), per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam, il contratto simulato non perde la sua connotazione peculiare, ma conserva inalterati gli altri suoi elementi –ad eccezione di quello interessato dalla simulazione– con la conseguenza che, non essendo il contratto in tali termini simulato né nullo né annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti, gli elementi negoziali interessati dalla simulazione possono essere sostituiti o integrati con quelli effettivamente voluti dai contraenti. Pertanto, la prova per testimoni del prezzo effettivo della vendita, versato o ancora da corrispondere, non incontra, tra alienante e acquirente, i limiti dettati dall’art. 1417 c.c. in tema di simulazione, in contrasto con il divieto posto dall’art. 2722 c.c., in quanto la pattuizione di celare una parte del prezzo non può essere equiparata, per mancanza di una propria autonomia strutturale, all’ipotesi di dissimulazione del contratto, così che la prova relativa ha scopo e materia semplicemente integrativa e può pertanto risultare anche da deposizioni testimoniali (sent. 24 aprile 1996, n. 3857; 23 gennaio 1988, n. 526).
In altra occasione si è più genericamente affermato che il requisito di forma è adempiuto ove sussista nel contratto simulato o in quello dissimulato, in considerazione della sostanziale validità del contratto (sent. 9 luglio 1987, n. 5975).
Da tale orientamento, che non incontra il favore di una parte rilevante della dottrina, si è di recente distaccata la sentenza di questa Suprema Corte in data 19 marzo 2004, n. 5539, la quale ha così motivato: «Per una corretta impostazione del problema è opportuno prendere le mosse dal disposto dell’art. 2722 c.c. Tale norma esclude che tra le parti si possa dare per testimoni la prova di un patto aggiunto o contrario al contenuto di un documento, ove si alleghi che la stipulazione del patto sia stata anteriore o contemporanea alla redazione del documento medesimo. Al pari che in tutte le altre disposizioni sui limiti della prova testimoniale, traspare qui un certo grado di ragionevole diffidenza del legislatore nei riguardi di un tale genere di prova, soprattutto quando essa sia volta a sormontare risultanze assai meno controvertibili quali quelle documentali.
Chiaro, cioè, l’intento di impedire che rapporti giuridici tra le parti, quando documentalmente provati, possano essere alterati da prove per testi, appunto perché queste non offrono la stessa garanzia di veridicità di quella documentale e perché non è logico presumere che, una volta scelta la via della documentazione degli accordi contrattuali tra esse intercorsi, le parti ne abbiano affidato la modifica ad intese meramente verbali. Sicché ben si comprende anche la ragione del superamento del suindicato limite alla prova testimoniale quando, nei casi specificamente contemplati dal successivo art. 2724, quella negativa presunzione possa invece essere superata.
Il limite alla prova testimoniale di cui si sta discutendo, per le ragioni che vi sono sottese, è quindi destinato ad operare in qualsiasi caso si sostenga esservi una divaricazione tra il contenuto di un contratto, formalmente consacrato in un documento, ed una diversa pattuizione, ugualmente pregna di contenuto negoziale, che nel documento medesimo non sia riportata e di cui, tuttavia, si assuma esservi stata una stipulazione anteriore o contemporanea.
Il fenomeno della simulazione contrattuale, sia essa assoluta o relativa, non esaurisce l’area di possibile applicazione di detto art. 2722, ma sicuramente ne occupa una larga parte. Ed, infatti, nel disciplinare ex professo i limiti della prova testimoniale della simulazione, il legislatore non ha dettato una disposizione in sé compiuta ed autosufficiente, ma si è unicamente preoccupato di chiarire, nell’art. 1417 c.c., che quella prova è ammessa senza limiti tanto nel caso di domanda proposta da creditori o da terzi quanto nell’ipotesi in cui, essendo proposta dalle parti, la domanda sia volta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato. I limiti cui il citato art. 1417 allude –e che consente di superare solo nelle suddette particolari situazioni– sono, ovviamente, quelli dettati dagli artt. 2721 e segg., ed in particolare quelli già sopra richiamati a proposito dei patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento.
Stando così le cose, quando la prova tra le parti della simulazione di un contratto documentale non riguardi l’illiceità del contratto dissimulato, è evidente che essa incontra i suaccennati limiti di prova (vedi anche, in tal senso, Cass. n. 16021 del 2002 e n. 4073 del 1992). Ma appare difficile negare che tali limiti operino anche in presenza di una simulazione soltanto parziale, ogni qual volta questa si traduca nell’allegazione di un accordo ulteriore e diverso da quello risultante dal contratto, comunque destinato a modificare l’assetto degli interessi negoziali riportato nel documento sottoscritto dalle parti. Né certo sarebbe ragionevole sostenere che la clausola di determinazione del prezzo non abbia rilevanza centrale nell’economia degli interessi regolati mediante un contratto di compravendita.
D’altronde, affermare che la pattuizione con cui le parti convengano un prezzo diverso da quello indicato nel documento contrattuale da esse sottoscritto non integrerebbe gli estremi di una vera e propria simulazione, avendo scopo meramente integrativo, non risolve in alcun modo il problema. Se anche così fosse, infatti, resterebbe comunque difficilmente eludibile il rilievo per cui una tale pattuizione si pone in contrasto con il contenuto di un documento contrattuale contestualmente stipulato e, come tale, ricade nella previsione dell’art. 2722 c.c.
La differenza che l’orientamento giurisprudenziale qui non condiviso introduce – tra la prova della simulazione, soggetta agli anzidetti limiti legali, e la prova di patti meramente integrativi del contratto, che detti limiti non incontrerebbe perché quei patti difetterebbero di una propria autonomia strutturale o funzionale– non sembra perciò trovare un sufficiente appiglio: né nella lettera del citato art. 2722, che si riferisce ai “patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento”, e quindi anche a quelli di carattere integrativo se essi contengano elementi nuovi o contrastanti con quelli documentati; né nella già richiamata ratio legis, che evidentemente abbraccia ogni ipotesi nella quale si pretenda di dare, per mezzo di testimoni, la prova di obblighi o diritti di portata diversa da quanto risulta da accordi consacrati in un documento e perciò dotati di un grado di certezza non superabile con quel genere di prova».
Ritiene il collegio di condividere tale più recente orientamento.
Va, in proposito, osservato che il fatto che il contratto simulato non sia nullo o annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti non giustifica la conclusione che il contratto dissimulato, il quale è destinato ad avere effetto tra le parti, non debba avere i requisiti di forma necessari per la validità dello stesso, secondo quanto espressamente stabilito dall’art. 1414, secondo comma, c.c.
Né si potrebbe sostenere che il requisito di forma sarebbe soddisfatto dal negozio simulato (come sembra sostenere la sent. 9 luglio 1987, n. 5975).
Una tesi analoga era stata sostenuta questa Suprema Corte anche in tema di interposizione fittizia, ma è stata successivamente abbandonata (cfr. sent. 22 aprile 1986, n. 2816; 22 novembre 1979, n. 6074), in base alla considerazione che l’interposizione deve risultare anch’essa da un patto rivestito della forma solenne.
Né, con riferimento specifico al problema della prova del prezzo, si potrebbe sostenere che la prova per testimoni sarebbe destinata soltanto ad integrare soltanto un elemento negoziale per il quale il requisito di forma è soddisfatto dal contratto simulato.
È facile osservare che il prezzo è un elemento essenziale della vendita, per cui anch’esso deve risultare per iscritto e per intero quando per tale contratto è prevista la forma scritta ad substantiam, non essendo sufficiente che quest’ultima sussista in relazione alla manifestazione di volontà di vendere e di acquistare.
In altri termini, la prova per testimoni del prezzo dissimulato di una vendita immobiliare non riguarda un elemento accessorio del contratto, in relazione al quale non opera il divieto di cui all’art. 2722 c.c., ma un elemento essenziale, con conseguente applicabilità delle limitazioni in tema di prova previste da tale disposizione.
Alla luce delle considerazioni svolte, il primo motivo del ricorso va accolto, con assorbimento degli altri motivi, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che provvederà anche in ordine alle speSe del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso; dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

***** ***** *****
Cass., sez. II, 12 ottobre 2009, n. 21637
(Pres. Elefante; rel. Giusti)

Nel caso di allegazione della simulazione relativa per interposizione fittizia di persona di un contratto necessitante la forma scritta ad substantiam, la dimostrazione della volontà delle parti di concludere un contratto diverso da quello apparente incontra non solo le normali limitazioni legali all’ammissibilità della prova testimoniale e per presunzioni, ma anche quella, più rigorosa, derivante dal disposto dell’art. 1414 c.c., comma 2° e art. 2725 cod. civ., di provare la sussistenza dei requisiti di sostanza e di forma del contratto diverso da quello apparentemente voluto e l’esistenza, quindi, di una controdichiarazione, dalla quale risulti l’intento comune dei contraenti di dare vita ad un contratto soggettivamente diverso da quello apparente: di conseguenza, e con riferimento alla compravendita immobiliare, la controversia tra il preteso acquirente effettivo e l’apparente compratore non può essere risolta, fatta salva l’ipotesi di smarrimento incolpevole del relativo documento (art. 2724 c.c., n. 3), con l’interrogatorio formale, non potendo la mancata comparizione della parte all’interrogatorio deferitole supplire alla mancanza dell’atto scritto”.
(…)
Svolgimento del processo
1. – Con atto di citazione notificato il 16 dicembre 1998, R.d. M.M.G. convenne innanzi al Tribunale di Tempio Pausania l’ex coniuge, K.G.G.W., al fine di rivendicare la proprietà di un mezzo di una casa di civile abitazione edificata su un terreno fittiziamente intestato al predetto, ma in realtà acquistato in comunione da entrambi i coniugi.
Nella resistenza del convenuto, il Tribunale adito, con sentenza in data 20 agosto 2002, rigettò la domanda dell’attrice, rilevando:
• che, durante il matrimonio, i coniugi erano in separazione dei beni;
• che le risultanze catastali concernenti l’intestazione della casa non potevano considerarsi probanti in merito alla effettiva proprietà dell’immobile; e che la prova della simulazione dell’originario contratto di acquisto del terreno non poteva considerarsi raggiunta.
2. – La Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 26 settembre 2003, ha rigettato il gravame della R.d.M., confermando la pronuncia impugnata e ponendo a carico dell’appellante le spese processuali sostenute dall’appellato.
2.1. – A tale conclusione la Corte territoriale è giunta sulla base delle seguenti argomentazioni:
certo ed incontestato che i coniugi ebbero a scegliere il regime patrimoniale della separazione dei beni, la “comunione di fatto” invocata dall’appellante non è circostanza che valga a mutare il regime degli acquisti in costanza di matrimonio;
il godimento della casa ed il pagamento di tasse attengono al regime di vita dei coniugi, per cui la moglie poteva sicuramente godere della casa e, nell’ambito del contributo economico alle esigenze familiari, anche sostenere le spese, senza che ciò importasse l’acquisto della proprietà in comunione; stante il divieto di prova orale della simulazione stabilito dall’art. 1417 cod. civ., in difetto della stessa prospettazione dell’intervenuto accordo simulatorio la mancata risposta del convenuto all’interrogatorio formale deferitogli non consente di ritenere raggiunta la prova della simulazione inter partes.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la R. d.M. ha proposto ricorso, sulla base di un unico motivo.
L’intimato ha resistito con controricorso.
In prossimità delle parti entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione
1. – Con l’unico mezzo, la ricorrente censura omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Con esso di censura che la Corte d’appello abbia ritenuto che l’attrice avrebbe dovuto dimostrare, con una convenzione scritta, la simulazione o interposizione fittizia di persona all’atto di acquisto del terreno su cui poi è stata realizzata la causa.
La ricorrente osserva che, se è vero che la costruzione realizzata da entrambi i coniugi sul suolo di proprietà esclusiva di uno di essi non rientra nella comunione dei beni di cui all’art. 159 cod. civ., tuttavia il coniuge formalmente titolare esclusivo dei manufatto così realizzato ben può attribuire all’altro coniuge, con atto unilaterale risultante da scrittura privata, il diritto di proprietà sul 50% della casa, sulla base del contestuale riconoscimento dell’averlo costruito insieme.
Orbene, nel caso in esame, la dichiarazione resa in forma scritta in sede di ricorso per separazione (in cui il marito attestava e riconosceva il diritto di proprietà della moglie nella misura del 50%) ed il contegno processuale (mancata risposta all’interrogatorio formale) consentirebbero di affermare che vi è stato un riconoscimento costitutivo del diritto di proprietà dell’immobile in questione in ragione della metà. 
2. – Il motivo –da esaminare nei limiti in cui è proposto nel ricorso, senza che possano avere rilievo censure ulteriori (attinenti alla dedotta instaurazione di un regime di comunione convenzionale in virtù di una intesa tacita tra i coniugi) avanzate con la memoria illustrativa– è infondato, per la parte in cui non è inammissibile.
Nel negare l’idoneità, ai fini della dimostrazione della dissimulata cointestazione ad entrambi i coniugi del terreno su cui è avvenuta la costruzione, della mancata risposta del convenuto all’interrogatorio formale deferitogli, la Corte territoriale si è attenuta al principio –costante nella giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, Sez. 2^, 19 febbraio 2008, n. 4071)– secondo cui, nel caso di allegazione della simulazione relativa per interposizione fittizia di persona di un contratto necessitante la forma scritta ad substantiam, la dimostrazione della volontà delle parti di concludere un contratto diverso da quello apparente incontra non solo le normali limitazioni legali all’ammissibilità della prova testimoniale e per presunzioni, ma anche quella, più rigorosa, derivante dal disposto dell’art. 1414 c.c., comma 2° e art. 2725 cod. civ., di provare la sussistenza dei requisiti di sostanza e di forma del contratto diverso da quello apparentemente voluto e l’esistenza, quindi, di una controdichiarazione, dalla quale risulti l’intento comune dei contraenti di dare vita ad un contratto soggettivamente diverso da quello apparente: di conseguenza, e con riferimento alla compravendita immobiliare, la controversia tra il preteso acquirente effettivo e l’apparente compratore non può essere risolta, fatta salva l’ipotesi di smarrimento incolpevole del relativo documento (art. 2724 c.c., n. 3), con l’interrogatorio formale, non potendo la mancata comparizione della parte all’interrogatorio deferitole supplire alla mancanza dell’atto scritto.
Quanto, poi, alla censura di omessa od insufficiente motivazione, per non essersi la Corte territoriale data carico dell’esistenza di un atto unilaterale –il ricorso per separazione coniugale– nel quale il marito avrebbe attribuito alla moglie il diritto di proprietà sul 50 per cento della casa, sulla base del contestuale riconoscimento dell’averla costruita insieme, si tratta di doglianza inammissibile.
Difatti, la ricorrente è venuta meno all’onere, imposto dal principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di riportare specificamente nel motivo dell’atto di impugnazione il contenuto della risultanza –il ricorso per separazione contenente il dedotto atto negoziale a causa atipica, non liberale ma corrispettiva, dall’effetto costitutivo– asserita come decisiva e non valutata o insufficientemente valutata.
In definitiva, la sentenza impugnata si fonda su una motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici; essa, pertanto, sfugge alle doglianze articolate dalla ricorrente.
3. – Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio per cassazione seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, liquidate in complessivi Euro 1.700, di cui Euro 1.500 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 luglio 2009.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2009.

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Cass., sez. 17 novembre 2011, n. 24100

Svolgimento del processo
Con atto notificato il 20.10.90 la società Moviter Sud s.p.a citò al giudizio del Tribunale di Bari D.G., P. F. e D.L., esponendo: che il primo, con scrittura privata del 26.9.87, gli aveva venduto un appartamento con sovrastante terrazzo, sito in (OMISSIS), di cui disponeva perchè promessogli in vendita da L.A. ed I., per il prezzo di L. 164.480.000, pagato a mezzo di effetti cambiari, con scadenza fino al 28.2.88, con previsione di stipula dell’atto pubblico al 30.6.88 e con trasferimento immediato del possesso; che l’immobile era stato oggetto di opere di miglioramento, anche al fine di unificarlo ad un contiguo appartamento già appartenente all’esponente; che successivamente ed inopinatamente l’immobile suddetto era stato oggetto di un fittizio atto di compravendita del 4.6.90, con il quale P.F. e D.L., moglie la prima e figlia la seconda di D.G., figuravano averne acquistato, per il prezzo di L. 43.000.000, rispettivamente l’usufrutto e la nuda proprietà.
Su tali premesse la società attrice chiese accertarsi la simulazione, per interposizione fittizia, di quest’ultimo negozio e, conseguentemente, di chi ararsi trasferito in proprio favore, o comunque trasferire ex art. 2932 c.c, l’immobile suddetto, con condanna del D. al risarcimento dei danni o comunque a tenerla indenne per l’ipotesi di evizione, o, in subordine, dei convenuti a restituire l’importo del prezzo, al rimborso dell’indennità per i miglioramenti, con diritto dell’attrice alla ritenzione, nonchè al risarcimento dei danni, anche ex art. 96 c.p.c. Costituitisi, prima la P. e la D., poi il D., contestarono, per quanto di rispettivo interesse, ogni avversa domanda, disconoscendo, in particolare, sia la conformità della fotocopia, prodotta dall’attrice, all’assunta scrittura privata da quella invocatala l’autenticità della relativa sottoscrizione;in via riconvenzionale le prime due chiesero la condanna dell’attrice al rilascio dell’immobile, con risarcimento dei danni, lamentandone l’arbitrario e clandestino impossessamento da parte avversa.
L’immobile controverso veniva, su richiesta delle convenute, sottoposto a sequestro giudiziario, ed affidato alla custodia, prima delle istanti e, successivamente dietro cauzione di L. 500.000, dell’attrice. Si procedeva a consulenza tecnica di ufficio ed, a seguito della dichiarazione di fallimento della società attrice, ad interruzione e riassunzione del processo, con conseguente costituzione della curatela, che faceva proprie le posizioni della società fallita. Con sentenza non definitiva del 4/23.3.03 il G.O.A della “sezione stralcio” dell’adito tribunale, rigettata ogni altra domanda della parte attrice, ne accoglieva soltanto, nei confronti del solo D.G., quella di restituzione della somma di L. 164.800.000, e nei confronti di tutti, quella di condanna all’indennità per i miglioramenti e le addizioni, rimettendone la quantificazione al prosieguo del giudizio, accoglieva le riconvenzionali di rilascio, previo ripristino e separazione dell’immobile da quello contiguo, e quella di risarcimento dei danni da parte della curatela in favore della P., liquidandoli in misura di Euro 310, 00 mensili a partire dal 1.10.96, dichiarando tuttavia improcedibile l’analoga domanda per la precedente occupazione da parte della società fallita.
La curatela proponeva appello, cui resistevano gli appellati, proponendo a loro volta rispettivi gravami incidentali;
l’esecutorietà della sentenza impugnata veniva sospesa con ordinanza confermata dal collegio; successivamente, a seguito della chiusura del fallimento e della riassunzione da parte delle appellateci costituiva la società Moviter s.p.a., tornata in bonis, facendo proprie le posizioni assunte dalla curatela.
Con sentenza del 14/28.10.05 la Corte di Bari, respingeva l’appello principale ed, in accoglimento, per quanto di ritenuta ragione di quelli incidentali, in riforma della gravata sentenza, determinava in Euro 798, 89 mensili, oltre interessi e rivalutazione monetaria, a partire dal 27.9.96, la misura del risarcimento dei danni dovuti dalla società Moviter Sud alla P., escludeva dall’indennità per i miglioramenti e le addizioni dovuta alla società le spese per le opere destinate alla demolizione e per quelle meramente voluttuarie, per il resto assolvendo dal relativo obbligo di pagamento il D., rigettava la domanda di condanna di quest’ultimo alla restituzione della somma di L. 164.480.000, condannava, infine, la società Moviter Sud al rimborso delle rispettive spese del grado sostenute dalle controparti.
La corte di merito confermava l’essenziale ragione reiettiva delle domande attrici, nella mancata produzione in originale della scrittura privata, la cui fotocopia era stato oggetto del duplice disconoscimento, ex art. 2719 c.c. e art. 214 c.p.c., omissione che oltre a comportare la mancata prova, richiesta ad substantiam, dell’acquisto o comunque del diritto al trasferimento ex art. 2932 c.c. della proprietà dell’immobile, rendeva priva d’interesse la domanda diretta all’accertamento della simulazione della compravendita intervenuta tra le L., la P. e la D., al cui riguardo, peraltro svolgeva anche considerazioni in ordine alla ritenuta scarsa consistenza degli argomenti di prova addotti.
Tale carenza probatoria, non rimediabile con prove testimoniali o presuntive ex artt. 2725 e 2729 c.c., di cui non venivano ravvisate le condizioni nelle deduzioni e richieste di prova, ritenute generiche, al riguardo esposte, nè con l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., inammissibile in difetto di certezza dell’esistenza del documento, induceva i giudici di appello a respingere anche la richiesta, in primo grado accoltaci restituzione del prezzo asseritamente pagato, considerando al riguardo insufficiente la produzione sia degli effetti cambiari, attesa l’astrattezza dei titoli, sia l’indicazione degli esborsi nelle scritture contabili della società, non facenti prova contro i terzi e, comunque, non riportanti le causali dei pagamenti. Quanto alle ulteriori questioni, ancora rilevanti nella presente sede, la corte riteneva: di confermare l’esclusione di alcun vincolo di solidarietà, circa le obbligazioni di rimborso, tra il D. e la moglie e la figlia, per insussistenza di alcun elemento comprovante il concorso ed inconsistenza della tesi sull’accordo simulatorio;di confermare, altresì, l’esclusione del diritto della società a ritenere il bene, fino al pagamento delle suddette indennità, per insussistenza della qualità di possessore in buona fede ed impossibilità di applicazione analogica dell’istituto della ritenzione; di dover anche confermare, stante l’assenza di alcun titolo a possedere, la spettanza del diritto dell’usufruttuaria P. al risarcimento del danno, da ritenersi in re ipsa, per il mancato godimento dell’immobile; che, in mancanza delle condizioni per liquidazione equitativa, tale danno andava parametrato, sulla scorta dell’attendibile stima peritale operata in sede fallimentare, al canone in regime di libero mercato e, pertanto, liquidatogli accoglimento dell’appello incidentale, nella maggiore somma di Euro 798, 89 mensili; che, infine, l’obbligo del rimborso per le spese ed i miglioramenti, apportati dalla società all’immobile, dovesse gravare soltanto sulla proprietaria e sull’usufruttuaria, che ne avevano tratto vantaggio, e non anche sul D., che non avendo alcuna diritto sul bene, nessun beneficio ne aveva ricavato.
Avverso la suddetta sentenza la società Moviter Sud ha proposto ricorso per cassazione affidato ad otto motivi, illustrati con successiva memoria.
Hanno resistito con rispettivi controricorsi il D. e, congiuntamente, la P. e la D., depositando questi ultimi memoria illustrativa.
Motivi della decisione
Deve anzitutto essere esaminato, per priorità logico – giuridica rispetto ai rimanenti, il secondo motivo di ricorso, con il quale si censura, per violazione degli artt. 2711, 2724, 2727, 2729 e 1401 e segg. cod. civ., art. 210 c.p.c., art. 94 disp. att. c.p.c., insufficiente e contraddittoria motivazione, la mancata ammissione delle prove orali con le quali si sarebbe voluto dimostrare sia l’esistenza e la perdita incolpevole dell’originale della scrittura privata, la cui prodotta fotocopia era stata oggetto del duplice disconoscimento da parte avversaria la simulazione del contratto di compravendita stipulato tra le L., la P. e la D.
Si sostiene tra l’altro e segnatamente, quanto al primo e pregiudiziale profilo, che l’originale del contratto in questione sarebbe stato depositato dalla società Moviter Sud presso il Comune di (OMISSIS), in occasione della presentazione di un progetto di variante alla concessione edilizia n. (OMISSIS) per l’unificazione di due contigui appartamenti (uno dei quali quello in contestazione), variante che sarebbe stata poi accordata con la concessione n. (OMISSIS), “sulla base dell’atto di vendita 26.9.1987, regolarmente acquisito agli atti”, ma che tale documento successivamente “non fu più reperito nella pratica comunale”; si lamenta, conseguentemente, la mancata ammissione dell’articolata (e riportata) prova testimoniale su tali circostanze, pur in cospetto degli estremi di cui all’art. 2725 in rel. all’art. 2724 c.c., n. 3.
La doglianza è infondata, alla luce del principio costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ad integrare la circostanza contemplata dalla citata disposizione, quale eccezione all’inammissibilità della prova testimoniale, è necessario che la parte istante dimostri che la propria condotta nella conservazione del documento sia stata immune da imprudenza e negligenza e caratterizzata dall’adozione di ogni ragionevole cautela, rapportata alla particolarità del caso (tra le altre, v. Cass. nn. 23288/05, 3059/02, 43/98, 2017/94). Nel caso di specie, ove lo smarrimento si fosse verificato con le modalità e nelle circostanze dedotte nell’articolata prova, risulterebbe anzitutto contrario alle più elementari regole di diligenza nella gestione dei propri affari l’essersi privata dell’unico assunto originale di un documento, di rilevante importanza giuridico – economica, senza averne preventivamente formato una copia autentica, l’averlo poi depositato a corredo di una pratica, sia pure presso un ufficio pubblico, senza farsi rilasciare un’attestazione al riguardo o, quanto meno, una distinta della documentazione allegata all’istanza edilizia, menzionante anche l’atto, ed, infine, a seguito del successivo assunto mancato reperimento (di cui non vengono meglio specificate le circostanze), omesso di presentare una formale istanza di restituzione all’ufficio presso cui lo stesso era stato prodotto, istanza al cui riscontro la P.A. non avrebbe potuto, in un modo o nell’altro, sottrarsi, tanto meno nell’ipotesi in cui – ma la circostanza neppure viene dedotta nel mezzo d’impugnazione – la concessione in variante, che la società assume aver conseguito, avesse contenuto un’espressa menzione del contratto de quo, quale titolo legittimante la relativa richiesta.
Nè può scindersi, come pur pretenderebbe la ricorrente, la posizione della curatela del fallimento (che non avrebbe reperito tra gli atti e la corrispondenza della fallita scrittura in questione) ai fini della valutazione dell’elemento psicologico della dedotta amissio, atteso che la medesima era subentrata nel giudizio (per poi uscirne dopo il ritorno in bonis) alla parte attrice nella medesima posizione processuale e sostanziale, così restando soggetta alle stesse limitazioni probatorie al riguardo.
Correttamente, pertanto, la corte di merito ha disatteso la richiesta di prova orale, diretta alla dimostrazione dell’esistenza di un contratto (fosse esso preliminare o definitivo), comunque esigente, ex art. 1350 c.c., n. 1 o art. 1351 c.c. la forma scritta ad substantiam, non ricorrendo l’ipotesi eccezionale di cui all’art. 2724 c.c., n. 3, la sola richiamata dall’art. 2724 con riferimento a siffatti negozi; conseguentemente rimaneva anche esclusa, attesa l’equiparazione contenuta nell’art. 2729 c.c., anche ogni possibilità di far ricorso ad elementi di prova presuntiva. Le suesposte considerazioni comportano il reiettivo assorbimento delle doglianze, anche contenute nel secondo motivo, relative alla mancata ammissione delle prove orali, ivi compreso l’interrogatorio formale, nella parte diretta a dimostrare l’assunta simulazione della compravendita L. – D. – P., per la carenza, correttamente evidenziata dai giudici di merito, di alcun titolo idoneo a giustificare l’interesse della società attrice, sia pure quale terza, a far dichiarare la natura fittizia dell’atto in questione, dacchè, una volta rimasto indimostrato il diritto di proprietà, o quello di conseguirlo ex art. 2932 c.c., in capo alla società, nessun vantaggio giuridicamente apprezzabile agli effetti dell’art. 100 c.p.c. potrebbe alla medesima derivare dall’accertamento in questione.
Restano, del pari, travolti dalla pronunziata reiezione del secondo mezzo: a) il primo motivo, censurante sotto vari profili ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 la mancata dichiarazione della simulazione, in quanto attinente ad una ratio decidendi palesemente subordinata; b) il terzo, con il quale si lamenta la mancata estensione del contraddittorio alle L., asserite simulate alienanti prevalendo la rilevata carenza d’interesse, radicalmente inficiante l’azione, rispetto alla dedotta non integrità del relativo contraddittorio; c) il quarto, con il quale si lamenta l’esclusione della solidarietà della D. e della P. con il D. ai fini della condanna alla restituzione della somma di L. 164.800.000 che si assume versata, essendo stata la relativa corresponsabilità dedotta quale conseguenza dell’accordo simulatorio; d) il quinto, con cui si lamenta il mancato riconoscimento alla società del diritto alla “ritenzione” dell’immobile, presupponendo la relativa pretesa la qualità di “possessore in buona fede”, sulla base di un titolo rimasto indimostrato (e peraltro, ove costituito da contratto preliminare, comunque non idoneo a trasferire il possesso, a termini di S.U. n. 7930/08); e) il sesto, nella parte in cui censura, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1147 c.c. e per non meglio precisati vizi di motivazione, la subita condanna al risarcimento dei danni per l’indebita occupazione dell’immobile, che si contesta, quanto all’an debeatur, sull’assunto, rimasto tuttavia indimostrato, della sussistenza del possesso in buona fede, derivante dal titolo contrattuale, assenza sulla base della quale correttamente il danno è stato ravvisato in re ipsa, quale conseguenza di una detenzione senza titolo ad oggetto di un bene naturalmente produttivo di reddito, quale deve ritenersi un immobile abitativo, della cui percezione è stata privata la P., titolare del diritto di usufrutto sullo stesso.
Quest’ultimo mezzo d’impugnazione, che per il resto deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., L. n. 392 del 1978, art. 12 e segg., art. 115 c.p.c., insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere ingiustificatamente liquidato detto danno, sulla base della “scienza privata del giudice”, in base ad un “preteso canone di mercato”, va anche in tale parte respinto, considerato che il parametro locatizio è quello più rispondente, per costante giurisprudenza, in tema di quantificazione del pregiudizio derivante dalla mancata percezione di un reddito immobiliare. La stima è stata, nella specie determinato, con riferimento alle quotazioni correnti del mercato, sulla base di specifiche risultanze attinte dal procedimento fallimentare, nel corso del quale si era proceduto alla relativa valutazione, così attingendo la relativa prova non da cognizioni private del giudice o da apodittiche affermazioni della parte – che producendo detta stima non era rimasta inerte sul piano probatorio – bensì da una fonte obiettiva ed attendibile (tenuto conto delle finalità di interesse collettivo perseguite nei procedimenti concorsuali), senza che il giudice fosse necessariamente tenuto all’espletamento di una consulenza tecnica, essendo insindacabile il relativo potere di disporla e ben potendo, in assenza di un principio di tassatività dei mezzi di prova, il medesimo avvalersi di accertamenti peritali svolti in altri giudizi.
Nè merita accoglimento, infine, la doglianza secondo cui il parametro avrebbe dovuto essere necessariamente rapportato al virtuale “equo canone” dovuto “per legge”, attesa la risalenza del possesso ad epoca anteriore all’entrata in vigore delle norme sui cd.
“patti in deroga”, per la sua genericità, non venendo in essa precisato quale sarebbe stata, in concreto e con riferimento allo sviluppo temporale della detenzione de qua, tale diversa misura e quale l’eventuale divario tra la stessa e quella determinata nella recepita stima.
Con il settimo motivo si censura, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1150 c.c., art. 12 disp. gen., art. 115 c.p.c., insufficiente e contraddittoria motivazione, in quanto priva di riscontro “testuale e logico” e basata su “sporadica tesi dottrinaria”, la statuizione escludente dal rimborso delle spese per miglioramenti e addizioni, dovuto alla società dalle controparti dalla P. e dalla D., quelle voluttuarie.
Si assume, in particolare, che limitandosi le disposizioni contenute nell’art. 1150 c.c., commi 1 e 2 a prevedere, rispettivamente, la rimborsabilità delle spese straordinarie e la condizione della sussistenza dei miglioramenti al tempo della restituzione, la distinzione operata dai giudici di appello sarebbe stata ingiustificata.
La tesi è infondata, considerato, che l’articolo citato, al primo comma, non prevede indiscriminatamente tutte le “spese” straordinarie, ma soltanto quelle occorse per le riparazioni che tale carattere rivestano.
Quanto all’indennizzo di cui al secondo comma, lo stesso attiene ai miglioramenti apportati alla cosa posseduta, in buona o in mala federale a dire a quegli interventi che siano tali da incrementarne obiettivamente l’intrinseco valore, sicchè al riguardo non possono assumere alcun rilevanza gli apporti rispondenti a finalità meramente voluttuarie, che in quanto soggettive e correlate al gradimento del possessore, vale a dire a criteri che ben potrebbero essere non condivisi dall’avente diritto alla restituzione, non potendo a quest’ultimo essere imposti, devono ritenersi non meritevoli di tutela indennitaria.
Con l’ottavo motivo vengono censurate, rispettivamente, per violazione e falsa applicazione degli artt. 1417 e 2721 c.c., artt. 116 e 244 c.p.c., artt. 1150 e 1292 c.c., insufficiente e contraddittoria motivazione, le statuizioni di accoglimento dell’appello incidentale del D., relative alla reiezione della domanda di restituzione della somma di L. 164.480.000, previa revoca dell’ordinanza del primo giudice ammissiva della relativa prova, ed all’assoluzione del suddetto dall’obbligo di rimborso delle indennità per le addizioni ed i miglioramenti apportati all’immobile, in solido con le altre due convenute.
Fondata deve ritenersi la prima doglianza, poichè la corte territoriale, nel ritenere inammissibile la prova testimoniale, con la quale la società Moviter aveva chiesto ed ottenuto, in primo grado, di provare il versamento della somma suddetta, osservando che la stessa non avrebbe potuto essere ammessa in quanto correlata alla dimostrazione della sussistenza del contratto in base al quale tale somma l’attrice assumeva aver pagato, non ha considerato che la richiesta non era tanto diretta a provare l’avvenuta stipulazione del negozio esigente la forma scritta, finalità per la quale erano stati articolati distinti capitoli, quanto, essenzialmente, il “fatto storico” costituito da tale dazione, che a prescindere dalla sussistenza o meno di un valido negozio giustificativo, si assumeva comunque aver effettuato. In tale ottica, funzionale ad una ripetizione di un indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., causale subordinata da ritenersi implicita nella richiesta di conseguire la restituzione, comunque ed in ogni caso, della somma suddetta, sulla base dei fatti enunciati nella domanda, la cui qualificazione competeva al giudice, una volta escluso il titolo negoziale (non provabile oralmente o per presunzioni, per l’inammissibilità in precedenza confermata), correttamente il Tribunale aveva ritenuto la prova ammissibile. Tale statuizione era in linea con la costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’inammissibilità ex art. 2725 c.c. della prova testimoniale non opera quando il contratto venga in considerazione non quale titolo posto a base della domanda, bensì quale “fatto storico” ad altri fini rilevante nel giudizio, essendo nella specie quei circostanziati capitoli di prova diretti a provare il fatto oggettivo dell’operato pagamento e le relative ragioni, quale che fosse la sussistenza o validità del negozio in base al quale lo stesso era stato eseguito, e così a superare l’astrattezza dei titoli cambiari emessi al riguardo. Non meritevole di accoglimento, è invece la rimanente censura, considerato che, in assenza della prova della simulazione, le sole persone avvantaggiatesi dei miglioramenti apportati all’immobile dalla detentrice società andavano identificate, come correttamente evidenziato dalla corte di merito, nella D. e nella P., e non anche nel D., in quanto titolari di diritti reali sul bene, senza che potesse attribuirsi, come sostiene la ricorrente, alcun rilievo confessorio in proposito a, non meglio specificate, argomentazioni ammissive di un’assunta solidarietà che sarebbero state formulate nel corso del giudizio di appello, non dal medesimo personalmente, bensì dal suo difensore, in imprecisati atti difensivi Conclusivamente la sentenza impugnata deve essere cassata limitatamente all’unica censura accolta, contenuta nell’ottavo motivo, che va nel resto disatteso, al pari dei precedenti, disponendosi il rinvio ad altra sezione della corte di provenienza, per nuovo esame sul punto cassato e per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglierei limiti di cui in motivazione, l’ottavo motivo del ricorso, che rigetta nel resto, cassa la sentenza impugnata limitatamente alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Bari.

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Cass., sez. II, 4 maggio 2007 n. 10240

In tema di simulazione di un contratto di compravendita immobiliare, la prova per testi soggiace a limitazioni diverse a seconda che si tratti di simulazione assoluta o relativa. Nel primo caso, l’accordo simulatorio, pur essendo riconducibile tra i patti per i quali opera il divieto di cui all’art. 2722 cod. civ., non rientra tra gli atti per i quali è richiesta la forma scritta “ad substantiam” o “ad probationem”, menzionati dall’art. 2725 cod. civ., avendo natura ricognitiva dell’inesistenza del contratto apparentemente stipulato, sicché la prova testimoniale è ammissibile in tutte e tre le ipotesi contemplate dal precedente art. 2724 cod. civ.. Nel secondo caso, occorre distinguere, in quanto se la domanda è proposta da creditori o da terzi – che, essendo estranei al negozio, non sono in grado di procurarsi le controdichiarazioni scritte – la prova per testi o per presunzioni non può subire alcun limite; qualora, invece, la domanda venga proposta dalle parti o dagli eredi, la prova per testi, essendo diretta a dimostrare l’esistenza del negozio dissimulato, del quale quello apparente deve rivestire il necessario requisito di forma, è ammessa soltanto nell’ipotesi di cui al n. 3 dell’art. 2724 citato, cioè quando il contraente ha senza colpa perduto il documento, ovvero quando la prova è diretta fare valere l’illiceità del negozio.