SOLUZIONE ATTO DIRITTO PENALE ESAME AVVOCATO 2011
ATTO GIUDIZIARIO DI DIRITTO PENALE
Caio, dipendente del comune di Beta, viene sorpreso dal sindaco mentre, per mezzo del computer dell’ufficio naviga in internet visitando siti non istituzionali dai quali scarica, su archivi personali,immagini e filmati non attinenti alla pubblica funzione. viene denunciato e sottoposto a procedimento penale. il computer viene sottoposto a sequestro. nel corso delle indagini si accerta, grazie alla consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero sul computer sequestrato, che la citata attività si è protatta per cira un anno, e che il numero dei file scaricati è di circa 10 mila. rinviato a giudizio caio viene condannato alla pena di 3 anni di reclusione per il reato di peculato. il candidato, assuneta la veste di difensore di Caio, analizzato il caso della fattispecie giuridica, evidenziando, tra l’altro, che le indagini difensive definitivamente svolte hanno dimostrato che l’ente gestore del servizio telefonico aveva stipulato con il comune di Beta un contratto con tariffa forfettaria denominato “tutto incluso”.
Corte di appello di
Proc. Pen. N. …/… Rgnr
Atto di appello
Il sottoscritto Avv. …., del Foro di …, con studio a ….,via …., n. …., difensore di fiducia del Sig. …., imputato nel procedimento indicato in epigrafe,
PREMESSO
-che con sentenza emessa dal Tribunale di ….in data …. nel procedimento penale n. …. il sig. Caio è stato condannato alla pena di anni 3 di reclusione per il delitto di peculato contestato nel capo … dell’imputazione;
PROPONE APPELLO
avverso la predetta sentenza, precisando, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 581 c.p.p., che l’impugnazione si riferisce al capo che ha ritenuto la penale responsabilità dell’imputato per il reato di peculato, nei punti relativi alla qualificazione giuridica dei fatti contestati e al mancato riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall’art. 323-bis c.p.
-
Motivo primo. Erronea applicazione dell’art. 314 c.p.., in relazione alla qualificazione giuridica del fatto contestato.
Il primo motivo poteva essere svolto attraverso il seguente percorso argomentativo, volto a dimostrare che il fatto di Caio, dipendente del comune di Beta, che in plurime occasioni, , per mezzo del computer dell’ufficio, aveva navigato in internet visitando siti non istituzionali dai quali aveva scaricato, su archivi personali, immagini e filmati non attinenti alla pubblica funzione non costituisce peculato, né, nell’ipotesi di un’alternativa qualificazione del fatto, abuso d’ufficio, sulla scorta della più recente giurisprudenza in materia.
1 Il bene giuridico protetto nel delitto di peculato
2 I principi di offensività e di proporzione
3 La necessaria consistenza patrimoniale dell’oggetto materiale della condotta appropriativa
4 La soluzione della giurisprudenza
5 La neazione della possibile riqualificazione del fatto ai sensi dell’art.323 c.p.
1. Il bene giuridico protetto nel delitto di peculato. Dopo aver esaposto il contenuto della sentenza di condanna, occorreva prendere le mosse dal bene giuridico tutelato dall’art. 314 c.p., sottolineando come si tratti di un reato plurioffensivo, in cui, accanto alla legalità, probità, efficienza e imparzialità dell’azione amministrativa, è tutelato anche il patrimonio della pubblica amministrazione. Chiarita la natura plurioffensiva, doveva sottolinearsi che l’interpretazione teleologica della fattispecie incriminatrice comporta che l’oggetto materiale della condotta appropriativa (denaro o altra cosa mobile altrui) debba necessariamente avere un apprezzabile contenuto economico (cfr, ex plurimis, Cassazione penale sez. VI, 20 dicembre 2010, n. 256, secondo cui ”Il peculato integra un reato plurioffensivo, in quanto configura, da un lato, un delitto di abuso della situazione giuridica di cui il soggetto è titolare e, dall’altro, un delitto contro il patrimonio pubblico di cui si vuole tutelare l’integrità economica, anche se, nel rapporto tra i due interessi tutelati quello cui si deve dare prevalenza non può che essere il patrimonio pubblico, giacché il reato si realizza con l’appropriazione a proprio profitto e per finalità diverse da quelle di ufficio di un bene economico rientrante nella sfera pubblica. Da ciò deriva che l’uso privato da parte del pubblico dipendente dell’apparecchio telefonico dell’ufficio non configura il reato di peculato allorquando la condotta abusiva si sia sostanziata nell’effettuazione di telefonate per un importo di tale modesta entità da non aver arrecato alcuna lesione all’integrità patrimoniale della p.a.; Cassazione penale sez. VI, 24 marzo 2005, n. 13064, ove si afferma che “il carattere plurioffensivo del peculato, posto a tutela, oltre che del patrimonio, anche della legalità, dell’efficienza, della probità e della imparzialità della pubblica amministrazione, non vale a rendere irrilevante il valore e/o l’utilità economicamente apprezzabile o comunque sfruttabile a fini patrimoniali della cosa sottratta. Sebbene l’interesse giuridico di fondo tutelato dalla disposizione attenga al dovere di fedele e onesta amministrazione, lo specifico oggetto giuridico si identifica proprio nella tutela del patrimonio della pubblica amministrazione).
2. Quale argomento concorrente, poteva prospettarsi la necessaria applicazione del principio di offensività e proporzione, come ricavabili dall’art. 49 c.p. e dalla Costituzione (in particolare, per il principio di proporzione, art. 27 Cost), per escludere dalla grave risposta sanzionatoria predisposta per il peculato fatti inespressivi di un’effettiva lesione patrimoniale (sul punto, v. Cassazione penale sez. VI, 09 giugno 2010, n. 35150: Poiché il bene giuridico del reato di peculato è l’integrità del patrimonio della p.a. e/o dei privati, se la cosa oggetto di appropriazione ha un valore economico molto modesto, il reato non può profilarsi, mancando un’effettiva lesione patrimoniale; del resto, l’applicazione della sanzione può essere giustificata dall’ordinamento solo quando la rigorosa afflizione stabilita dalla norma incriminatrice sia proporzionata al fatto commesso, nella prospettiva di un’effettiva esigenza di emenda dell’agente. (Per l’effetto, la Corte ha annullato senza rinvio la condanna pronunciata nei confronti del sindaco di un comune cui era stato addebitato di avere fatto fotocopiare, per fini personali, numerosi testi, utilizzando materiale di pertinenza del comune; il giudice di legittimità ha in proposito argomentato sull’accertato rilievo che la carta per le fotocopie, il materiale di cancelleria e l’energia elettrica per il funzionamento della fotocopiatrice, nello specifico, risultavano privi di apprezzabile valore economico).
3. Su tali basi, poteva innanzitutto rilevarsi come la circostanza che si trattasse di una notevole quantità di files scaricati attraverso l’uso della connessione – evidentemente valorizzata dal giudice di prime cure – non possegga alcuna rilevanza esplicativa in ordine all’accertamento della necessaria lesione del patrimonio della P.a.; essa si ricollega, piuttosto, ad un diverso e recessivo orientamento giurisprudenziale che riteneva integrato il peculato anche quando fosse riscontrata la sola lesione del principio di buon andamento della p.a. E’ evidente, infatti, che in tale superata ottica la quantità di files scaricati denoterebbe un apprezzabile alterazione del regolare funzionamento del servizio cui Caio era preposto, per l’evidente ragione che il dipendente pubblico avesse sottratto un apprezzabile tempo alle esigenze dell’ufficio per navigare su siti extra-istituzionali, individuare i files da scaricare e compiere le attività connesse all’archiviazione dei dati su un supporto esterno al personal computer in dotazione all’ufficio.
4. Rilievo dirimente ha invece l’individuazione del rapporto contrattuale che lega l’ente pubblico e il gestore del servizio telefonico, oggetto di investigazione difensiva ai sensi dell’art. 391-quater c.p.p., mediante richiesta del difensore al Comune di Beta del contratto di abbonamento sottoscritto con la società Alfa, documento versato agli atti del presente procedimento al momento della formulazione delle richieste di prova (v. verbale udienza del …). Dalla prova documentale emerge che l’ente gestore del servizio telefonico aveva stipulato con il comune di Beta un contratto con tariffa forfettaria denominato “tutto incluso” (nel gergo comune nota come tariffa flat), con la conseguenza che la P.a. non è stata gravata di alcun costo aggiuntivo per mezzo delle indebite connessioni effettuate da Caio.
5. A questo punto, occorreva sostenere con forza le motivazioni di due recenti pronunce della Suprema Corte (la seconda, da cui il caso sembra tratto, è in realtà orientata a riconoscere la sussistenza del peculato a prescindere dalla effettiva lesione del patrimonio della P.a., ed è dunque parzialmente contraria), che in un caso consimile ha escluso l’integrazione del delitto di peculato: v. Cassazione penale sez. VI, 19 ottobre 2010, n. 41709: Non integra né il delitto di peculato, né quello di abuso d’atti d’ufficio la condotta del pubblico funzionario che utilizzi per ragioni personali l’accesso ad internet del computer d’ufficio qualora per il suo esercizio la p.a. abbia contratto un abbonamento a costo fisso; Cassazione penale sez. VI,15 aprile 2008, n. 20326: È erronea la decisione che escluda la sussistenza del reato di peculato nella condotta del pubblico dipendente che abbia utilizzato il computer in uso in ufficio per navigare in internet su siti non istituzionali, scaricando su archivi personali dati e immagini non inerenti alla pubblica funzione (nella specie, si trattava di circa 10 mila documenti, prevalentemente di carattere pornografico), affermando apoditticamente che non vi sarebbe stato danno patrimoniale per l’amministrazione sul rilievo che il computer sarebbe stato comunque e sempre collegato alla rete elettrica e telefonica indipendentemente dall’uso e dalla navigazione. Infatti, oltre a doversi considerare che la fattispecie del peculato tutela non solo il patrimonio della pubblica amministrazione, ma anche il corretto funzionamento degli uffici basato su un rapporto di fiducia e di lealtà con il personale dipendente, si sarebbe dovuto comunque accertare in concreto se il tipo di convenzione con il “provider” prevedesse un accesso costante al web a un costo fisso anziché un accesso di volta in volta consentito solo previo contatto telefonico, giacché in tale secondo caso l’utilizzatore abusivo si sarebbe appropriato, oltre all’energia elettrica consumata con l’accensione dell’apparecchio, anche delle energie appartenenti all’ente sotto forma di telefonate di volta in volta eseguite per la navigazione in internet per le finalità estranee alla pubblica funzione”.
6. Escluso il delitto di peculato, sarebbe stato opportuno anticipare l’erroneità della possibile riqualificazione del fatto alla stregua della fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 323 c.p. Tale riqualificazione potrebbe essere incentrata sulla sicura sussitenza di un comportamento abusivo del p.u. (in quanto costituente esercizio di una facoltà – la possibilità di accedere ad internet nello svolgimento del rapporto di lavoro – per ragioni estranee alle finalità per cui tale potere era stato conferito), alternativamente produttivo di un ingiusto danno o di un ingiusto vantaggio patrimoniale; quanto al primo evento, dovrà sostenersi, sulla scia di Cassazione penale sez. VI, 19 ottobre 2010, n. 41709, che nessun danno ingiusto è stato arrecato alla p.a., per le medesime ragioni che ostano alla configurabilità del peculato (mancanza di un apprezzabile nocumento nei confronti della P.a.); quanto al vantaggio patrimoniale, dovrà rilevarsi innanzitutto la mancata contestazione nel capo di imputazione dell’ingiusto vantaggio patrimoniale asseritamente conseguito, circostanza che renderebbe nulla l’eventuale sentenza di condanna per difetto di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, ai sensi dell’art. 522 c.p.p., a causa della effettiva lesione del diritto al contradittorio sul punto, nonché, con motivazione assorbente, la concreta assenza di tale vantaggio sulla scorta di Cassazione penale sez. VI, 19 ottobre 2010, n. 41709, secondo cui neanche in tal caso è ravvisabile un concreto incremento patrimoniale da parte dell’imputato, che in effetti non ha accresciuto il proprio patrimonio per effetto dell’abuso.
Motivo secondo: Mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 323-bis c.p.
In denegata ipotesi, poteva sostenersi che, in ogni caso il Tribunale aveva errato nel qualificare i fatti contestati quale unico reato di peculato, e non in termini di concorso materiale di reati unificato dal vincolo della continuazione ex art. 81 cpv; in quest’ottica, deve essere riconosciuta, in relazione al reato più grave (uno specifico fatto di peculato), la circostanza attenuante prevista dall’art. 323-bis c.p., da applicarsi nella sua massima estensione in considerazione della particolare tenuità del fatto, ricavabile dal modesto danno arrecato da una singola connessione; con successivo aumento della pena ai sensi dell’art. 81 cpv nei minimi di legge.
Tanto premesso, il sottoscritto avvocato,
CHIEDE
che codesta Ecc.ma Corte, in riforma dell’impugnata sentenza, voglia:
in tesi, assolvere l’imputato perché il fatto non è previsto dalla legge come reato;
in ipotesi, riqualificato il fatto nel delitto di abuso d’ufficio, ridurre la pena per quanto di giustizia, applicando l’attenuante di cui all’art. 323-bis c.p.;
in via ulteriormente gradata, applicare l’attenuante di cui all’art. 323-bis c.p.
Nomina del difensore ex art. 96 c.p.p. ed elezione del domicilio.
Il sottoscritto Caio, nato a … il … e residente in…, imputato nel Proc. Pen. n. …/… RGNR, con il presente atto,
NOMINA
suo difensore di fiducia l’avv. …, conferendogli ogni più ampia facoltà per l’esercizio del mandato, ivi compresa quella di proporre impugnazioni e farsi sostituire ai sensi dell’art. 102 c.p.p.
Elegge il proprio domicilio per gli avvisi e le notificazioni relative al predetto procedimento presso lo studio del proprio difensore, sito in , via…, n….
Data
Sottoscrizione dell’imputato
Per accettazione ed autentica, Avv. …