Parere di diritto civile in tema di obbligazioni e contratti – contratto preliminare
Prof. Avv. Roberto Calvo
PARERE
In data 3 aprile 2013 Tizio ha promesso a Caio di acquistare l’appartamento (edificato nel 1987) destinato a civile abitazione sito a Cuneo, via Po, n. 22, primo piano, al prezzo di centocinquanta mila euro. La metà di tale somma è stata pagata a titolo di caparra confirmatoria, contestualmente alla sottoscrizione dell’intesa preparatoria. Per la stipula del definitivo è stata concordata la data del 10 febbraio 2014. Le parti hanno inoltre stabilito di allegare il permesso di costruire alla programmata intesa con effetti reali.
Il promittente, dal canto suo, ha promesso di trasformare (entro quest’ultimo dies ad quem) in garage (o box auto) il locale sito a pianterreno dello stabile in esame, attualmente usato per ricovero attrezzi agricoli.
Nel mese di novembre 2013 Tizio costata che quest’ultimo locale è stato adibito dal figlio di Caio ad uso serra. Assunte le vesti di legale di Tizio, rediga il candidato parere motivato.
Tra le parti è stato stipulato il 2 aprile 2013 un contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto un alloggio, destinato a civile abitazione, sito in Cuneo. Si osservi in apicibus che l’omessa allegazione del permesso di costruire non è causa d’invalidità del preliminare ex art. 46, 1° comma, t.u. edil., perché ad avviso del diritto vivente, tale disposizione normativa presuppone che il negozio generi il trasferimento di posizione soggettive di appartenenza. Ne consegue che il predetto atto amministrativo dovrà essere eventualmente allegato alla domanda con cui si chiede l’esecuzione in forma specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c. dell’obbligazione racchiusa nell’intesa preparatoria (vi veda Cass., 22 maggio 2008, n. 13225).
Da queste premesse riusciamo a scorgere le note distintive del preliminare unilaterale, posto che l’impegno traslativo nel caso di specie è stato preso unicamente dal promissario acquirente, laddove il dante causa – non avendo assunto alcuna obbligazione di dare – resta libero (in quanto titolare di una situazione soggettiva di matrice potestativa) di prestare il proprio consenso al fine di eseguire l’intesa rilevante – come rilevammo – esclusivamente sotto il profilo obbligatorio e non già reale.
Serve aggiungere che il promissario ha corrisposto la metà del prezzo pattuito a titolo di caparra confirmatoria, con l’intesa che la restante metà avrebbe dovuto essere pagata all’epoca del definitivo.
Non deve sfuggire che il dominus ha invero assunto l’impegno di effettuare le opere necessarie ad imprimere una rinnovata destinazione alla pertinenza dell’oggetto negoziato (art. 817 c.c.), trasformandola così da locale adibito a ricovero di attrezzi agricoli in box auto.
Sta di fatto che quest’ultimo impegno, da adempiersi entro il termine fissato per il definitivo (10 febbraio 2014), sottintende la promessa traslativa gravante altresì l’attuale proprietario dell’immobile. La congettura è corroborata dal rilievo che sarebbe altrimenti denudata di un realistico fondamento causale la promessa di mutamento, la quale deve essere adempiuta – come detto – entro la data concordata per il definitivo, se la parte che si è vincolata alla sua esecuzione (dominus) fosse titolare di un semplice diritto potestativo in merito al perfezionamento del negozio avente effetti reali. In altre parole, l’obbligazione di fare su cui stiamo ora indugiando rischierebbe di essere priva di un causa, e quindi permeata dalla pura astrazione, se la parte su cui grava non fosse nello stesso tempo debitrice a titolo di promessa a trasferire.
Per completare il discorso mette conto segnalare che se è vero che il preliminare immobiliare deve rivestire a pena di nullità la forma scritta (art. 1351 c.c.), è ugualmente vero che in tema di formalismo negoziale l’onere in parola è rispettato – secondo una radicata e condivisibile opinione – quando i vincoli contrattuali possano essere estrapolati dall’interpretazione delle clausole contessenti l’autoregolamento (ex multis Cass., 10 maggio 1996, n. 4400).
Il promissario acquirente si duole del fatto che la controparte, in prossimità del termine fissato per la vendita, non solo non ha posto in essere le opere necessarie per soddisfare l’obbligazione di facere dianzi menzionata (ricadente sulla pertinenza del bene principale), ma ha addirittura agito in modo contraddittorio – e quindi trasgredendo il dovere etico di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.) – sì da permettere al figlio di destinare la pertinenza medesima ad altro impiego.
È innegabile che il termine di adempimento dell’obbligazione accessoria di trasformare la destinazione d’uso della pertinenza verrà a scadere (e quindi diventerà esigibili) nell’istante in cui giungerà a maturazione il termine per l’esecuzione del definitivo. Ma è altrettanto evidente che il consentire al terzo di sfruttare il frammento d’immobile qui considerato per usi incompatibili con l’obbligazione dianzi evocata, oltre a stridere – è il caso di ripetere – con i doveri annodati alla buona fede in executivis, suffraga oltretutto la deduzione che si siano concretati i presupposti per scorgere gli elementi sintomatici del c.d. inadempimento anticipato.
In effetti, l’inadempimento del dante causa è ravvisabile già in epoca precedente alla maturazione del termine fissato per il definitivo posto a suo favore, quando costui abbia tenuto condotte manifestamente contraddittorie rispetto all’obbligo di trasferire l’immobile dotato delle caratteristiche strutturali e funzionali pattuite nell’accordo preparatorio del contratto traslativo (in tal senso v. l’indirizzo di recente accreditato da Cass., 21 dicembre 2012, n. 23823, che ha tratto consapevole ispirazione dalla dottrina anglosassone dell’anticipatory breach).
La tesi è tanto più rilevante nella vicenda sottoposta alla nostra attenzione in quanto si osservi che sono percettibili tutti gli elementi fattuali utili ad affermare che l’illustrato venire contra factum proprium è sintomatico della determinazione, in capo all’obbligato, di non onorare pro futuro le clausole dell’intesa. Possiamo in definitiva riconoscere che esistono le condizioni necessarie per trattare l’inadempimento anticipato alla stregua di un inadempimento attuale (ossia sostanziantesi allorché la pretesa vantata dal creditore è divenuta esigibile).
Conviene rilevare incidentalmente che l’inadempimento perpetrato dal promittente è ictu oculi rilevante ai sensi dell’art. 1455 c.c., nonché imputabile (non affiorando ai sensi dell’art. 1256 c.c. alcun indizio della mancanza di colpa innervato dalla causa estranea alla sfera di responsabilità del promittente).
Poste queste premesse, il promissario compratore, pur non essendo decorso il precitato dies ad quem, può recedere ai sensi dell’art. 1385, 2° comma, c.c. dal contatto preliminare esigendo il doppio della caparra pagata.
In alternativa, potrebbe chiedere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligazione racchiusa nel preliminare, detraendo dall’importo dovuto a titolo di prezzo le somme necessarie per attuare la destinazione concordata (v., ad esempio, Cass., 15 febbraio 2007, n. 3383).
La scelte tra le due strade dipende dalla ponderazione dell’interesse empirico prevalente in capo al promissario compratore tenuto conto di tutte le circostanze di fatto, che dovranno essere all’uopo utilmente ponderate.
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