Assegno di divorzio e tenore di vita agiato (Cass. civ. sez. I, 28 ottobre 2013, n. 24252)
I mezzi economici complessivi della ex moglie, pur significativi e idonei a garantirle un tenore di vita agiato, se tuttavia non sono adeguati a consentirle di conservare l’alto tenore di vita matrimoniale – tenuto conto delle eccezionali potenzialità economiche dell’ex marito, uno dei più affermati imprenditori italiani – legittimano l’integrazione di un assegno divorzile.
Cassazione civile, sez. I, 28/10/2013, n. 24252
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di Roma, con sentenza 6 maggio 2009, in parziale riforma della sentenza impugnata, giudicando sulle conseguenze della cessazione degli effetti civili del matrimonio tra i sig.ri B. G. e M.F., ha adottato le seguenti disposizioni:
ha confermato l’affidamento di due delle tre figlie (nate tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS)) alla madre (la terza, nata nel (OMISSIS), aveva già raggiunto la maggiore età) e l’assegno di mantenimento in loro favore e a carico del padre, pari a Euro 24.000,00 mensili, oltre all’onere delle spese mediche, sportive, ricreative e di istruzione;
ha eliminato l’ulteriore contributo disposto dal tribunale di Euro 8.000,00 mensili per le spese abitative delle figlie ed ha attribuito alla M. un assegno mensile (che il tribunale aveva negato) di Euro 6.000,00, a decorrere dal gennaio 2007; ha compensato le spese processuali. Per quanto ancora interessa, la corte ha ritenuto che la M., benchè titolare di un cospicuo patrimonio (costituito dalla proprietà pro-quota di fabbricati e terreni e da partecipazioni societarie) e di redditi propri che, nel loro complesso, le consentivano di condurre un tenore di vita agiato, non fosse nelle condizioni di mantenere uno status analogo a quello goduto durante il rapporto matrimoniale (durato circa quindici anni) o che avrebbe prevedibilmente goduto se questo non fosse terminato;
notevole era il divario in negativo delle sue condizioni economiche (non a caso peggiorate dopo il divorzio) rispetto a quelle dell’ex marito, che era titolare di notevolissimi redditi, di un ingente patrimonio immobiliare e di multiformi partecipazioni e incarichi societari. La corte le ha quindi attribuito un assegno e, richiamati i parametri valutativi di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e succ. mod., lo ha quantificato nella misura sopra indicata. Con riguardo all’assegno per le figlie, la corte ha rigettato la richiesta di riduzione a Euro 18.076,00, ritenendo che l’importo di Euro 24.000,00 stabilito dal tribunale fosse adeguato alle loro aumentate esigenze di vita, nonchè alle risorse economiche e alle potenzialità reddituali dei genitori, tenuto conto che già nel 1998 il B. si era impegnato spontaneamente a corrispondere l’importo di L. 35 milioni; la corte ha eliminato, a decorrere dal dicembre 2005, l’ulteriore contributo di Euro 8.000,00 per le loro esigenze abitative in quanto già soddisfatte dall’assegno.
Avverso questa sentenza ricorre per cassazione il B. a mezzo di due motivi, cui resiste la M. che propone un ricorso incidentale a mezzo di quattro motivi, cui resiste l’altra parte con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memorie illustrative, a norma dell’art. 378 c.p.c..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va rilevata la inammissibilità e, quindi, inutilizzabilità della cospicua documentazione che risulta allegata alla memoria illustrativa della M..
Il primo motivo del ricorso principale riguarda l’assegno divorzile che il B. assume attribuito sulla base di argomentazioni illogiche e contraddittorie, omettendo la valutazione di circostanze che dimostrerebbero che la M. era in possesso di mezzi pienamente adeguati a consentirle di conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Essa apparteneva infatti ad una ricca famiglia di imprenditori; era titolare di redditi propri e nel 2000 ereditò un ingente patrimonio mobiliare, immobiliare e societario; nel 1998, in sede di separazione consensuale, i coniugi concordarono che avrebbero provveduto autonomamente al proprio mantenimento; i redditi del B. avevano subito una sensibile diminuzione rispetto all’anno 2002, di cui non si era tenuto conto, e dovevano servire al mantenimento di altri suoi tre figli nati da una nuova relazione. Il secondo motivo denuncia il vizio di motivazione nella determinazione dell’assegno per le figlie in un entità (superiore a quella della separazione, pari a Euro 18.076,00), ritenuta abnorme rispetto alle esigenze di tre ragazze, cui si aggiungeva a suo carico l’onere delle spese scolastiche, di istruzione, mediche, sportive e ricreative, e operata sulla base di argomentazioni illogiche e contraddittorie, senza considerare che i suoi redditi avevano subito una riduzione e che l’assegno di mantenimento dei figli non è uno strumento di ripartizione delle sostanze possedute dai genitori ma solo un mezzo per soddisfare le esigenze di vita dei figli che siano meritevoli di tutela.
Entrambi i motivi non sono inammissibili, contrariamente a quanto ritenuto dalla controricorrente che ha dedotto la mancanza dei requisiti di specificità e autosufficienza propri del ricorso per cassazione: essi censurano la logicità della motivazione con riferimento a fatti controversi e decisivi ai fini della decisione, concernenti la comparazione delle condizioni economiche e reddituali delle parti e la valutazione dei bisogni delle figlie come presupposto del riconoscimento dei contestati assegni posti a carico del B.; essi, inoltre, sono accompagnati da momenti di sintesi (identificabili con l’avverbio “Conclusivamente, quindi…”) che risultano sufficienti a concretizzare una riassuntiva esposizione dei fatti controversi, in relazione ai quali la motivazione si assume omessa o contraddittoria (art. 360 c.p.c., n. 5), secondo l’orientamento di questa Corte che prescinde da rigidità formali al riguardo (Cass. n. 4556/2009).
I motivi sono però infondati, non riuscendo nell’intento di dimostrare l’esistenza di profili di lacunosità o contraddittorietà della motivazione che siano tali da inficiare la decisione, astrattamente ravvisabili nella mancanza di coerenza o compatibilità razionale degli argomenti utilizzati o nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato fuori dal senso comune.
Venendo all’esame del primo motivo, il percorso argomentativo seguito dal giudice di merito è aderente alle indicazioni da tempo fornite da questa Corte (v., tra le altre, la sentenza n. 4040/2003) secondo cui, in tema di scioglimento del matrimonio, nella disciplina dettata dall’art. 5 della legge n. 898 del 1970, come modificato dall’art. 10 della legge n. 74 del 1987, l’accertamento del diritto all’assegno di divorzio si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice è chiamato a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio, e quindi procedere ad una determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare l’inadeguatezza di detti mezzi, che costituiscono il tetto massimo della misura dell’assegno. Nella seconda fase, il giudice deve poi procedere alla determinazione in concreto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5, che quindi agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto e possono valere anche ad azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione.
La corte territoriale, nel valutare l’adeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge richiedente l’assegno, ha correttamente comparato la situazione reddituale e patrimoniale attuale della M. con quella della famiglia all’epoca della cessazione della convivenza, individuando il tenore di vita precedente (e quello che poteva ragionevolmente configurarsi sulla base delle aspettative maturate nel corso del rapporto) dalle potenzialità economiche dei coniugi.
Ed è emerso che i mezzi economici complessivi della M., pur significativi e idonei a garantirle un tenore di vita agiato, tuttavia non erano adeguati a consentirle di conservare l’alto tenore di vita matrimoniale, tenuto conto delle eccezionali potenzialità economiche del B., uno dei più affermati imprenditori italiani.
“Oggettivo e profondo” è stato considerato il divario in negativo delle condizioni economiche della M., i cui redditi da lavoro accertati sono risultati modesti (Euro 14.000,00 nell’anno 2006) al confronto di quelli dichiarati dal B. (non inferiori a Euro 66.667,00 mensili netti nell’anno 2007) che la stessa corte ha valutato per difetto, dando atto della loro difficile quantificazione, senza considerare il reddito potenziale del suo ingente patrimonio immobiliare. La corte ha anche evidenziato che la capacità lavorativa della richiedente l’assegno era ridotta, avendo dedicato le sue energie alla famiglia e non avendo avuto la possibilità di inserirsi pienamente nel mondo del lavoro. Tale valutazione di merito è immune dai profili di criticità denunciati, riguardanti aspetti (esplicitamente o implicitamente) valutati nella sentenza impugnata con argomentazioni logiche e, quindi, incensurabili in sede di legittimità (a proposito della lamentata contrazione dei redditi subita nel tempo dal B. e dell’impegno economico verso la sua nuova famiglia) ovvero aspetti non decisivi (a proposito della mancata previsione di un contributo di mantenimento in favore della M. in sede di separazione consensuale), atteso che l’assetto economico relativo alla separazione può rappresentare mero indice di riferimento ai fini della determinazione dell’assegno divorzile nella misura in cui, secondo il giudice di merito, appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione (v.
Cass. n. 25010/2007). Inoltre la decisione impugnata è aderente alla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la titolarità, in capo al richiedente, di un reddito che gli consenta di fruire di un tenore di vita dignitoso o agiato, ma non corrispondente a quello elevatissimo condotto durante la convivenza matrimoniale, legittima un’integrazione (e quindi, evidentemente, l’attribuzione) di un assegno che, pur non consentendo il raggiungimento del medesimo standard di vita goduto in costanza di matrimonio, sia tendenzialmente volto a riequilibrare, sia pure in parte, la situazione economico-sociale dell’ex coniuge (v. Cass. n. 2747/2011).
Con riguardo all’assegno per le figlie, che è oggetto del secondo motivo del ricorso principale, la corte romana, tenendo conto del contesto socio-economico nel quale esse erano inserite e delle loro aumentate esigenze economiche, fattore questo notoriamente legato alla crescita e che non ha bisogno di specifica dimostrazione (v.
Cass. n. 17055/2007), lo ha quantificato in un importo (di Euro 24.000,00 mensili, oltre alle spese mediche, sportive, ricreative e di istruzione) di poco superiore a quello (di L. 35.000.000, oltre alle spese) che lo stesso B. si era impegnato spontaneamente a corrispondere nel 1998, in occasione della separazione consensuale.
E’ una motivazione adeguata e immune da vizi logici che si sottrae alla critica che le è stata rivolta.
Il ricorso incidentale della M. riguarda quella parte della sentenza impugnata che ha eliminato il contributo “abitativo” di Euro 8.000 mensili per le figlie, posto dal tribunale a carico del B., in aggiunta all’assegno di mantenimento.
Il primo motivo censura la decisione di fare retroagire al dicembre 2005 (data in cui esso fu accordato) la eliminazione del suddetto contributo, con conseguente violazione del principio, desumibile dall’art. 447 c.c., di irripetibilità delle prestazioni alimentari già spese per il mantenimento delle figlie e per l’affitto dell’appartamento da esse utilizzato.
Questa Corte ha più volte stabilito che le somme percepite da uno dei coniugi per il mantenimento dei figli in base ad una statuizione giurisdizionale, successivamente riformata da un’altra che disponga la riduzione o eliminazione dell’assegno (seppure con normale effetto dal momento della domanda), sono di norma irripetibili in quanto riconducibili a prestazioni di carattere sostanzialmente alimentare, con la conseguenza che la parte che abbia già ricevuto le somme previste dalla statuizione originaria non può essere costretta a restituirle, nè può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo (v.
Cass. n. 15164/2003, 28987/2008, n. 6864/2009). Da tale condivisibile principio la ricorrente incidentale desume, in via automatica e in astratto, la illegittimità della statuizione impugnata per avere fatto retroagire la revoca di una prestazione di natura alimentare ad una data antecedente, a prescindere dall’esistenza di una pretesa restitutoria avanzata nei suoi confronti e, quindi, dall’esistenza di un interesse a resistervi. Tuttavia, la mera possibilità del sorgere in futuro di una controversia avente un tale oggetto non è sufficiente a delineare l’esistenza di una materia del contendere rispetto alla quale la parte possa dirsi titolare di un interesse ad agire avente i caratteri della concretezza ed attualità. Il motivo è quindi inammissibile.
Il secondo motivo deduce l’omessa motivazione della decisione di far retroagire l’eliminazione del predetto contributo abitativo al dicembre 2005.
Esso è inammissibile, in mancanza del necessario momento di sintesi di cui all’art. 366 bis c.p.c. (v. Cass. n. 4556/2009, n. 24255/2011), applicabile ratione temporis alla fattispecie.
E’ inammissibile, per mancanza del momento di sintesi, anche il quarto motivo che censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa valutazione di un dedotto inadempimento del B. all’obbligo assunto in sede di separazione di acquistare una casa per le figlie. Il terzo motivo deduce violazione di legge e contraddittorietà della motivazione, avendo la decisione relativa al c.d. contributo abitativo provocato l’effetto sostanziale di ridurre il contributo del padre al mantenimento delle figlie (pur giudicato congruo nell’importo di Euro 24.000,00) e di penalizzare la madre, compromettendone la possibilità di condurre un tenore di vita adeguato al contesto socio-economico che le era abituale.
Anche questo motivo è inammissibile, per evidente astrattezza del quesito di diritto (il quale chiede a questa Corte di dire “se, a norma dell’art. 155 c.c., comma 4, il giudice deve considerare e contemperare tutti i criteri ivi elencati, ai fini della determinazione dei rispettivi oneri di mantenimento”), che risulta inidoneo a chiarire l’errore di diritto attribuito alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie e privo di un momento di sintesi a corredo della doglianza proposta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
In conclusione, il ricorso principale è rigettato; quello incidentale è inammissibile.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione, tenuto conto della soccombenza reciproca.
PQM
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa le spese del giudizio.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.
Così deciso in Roma, il 30 settembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2013