Cass., sez. un., 11 aprile 2014, n. 8510

La parte che, ai sensi dell’art. 1453, secondo comma, cod. civ., chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel corso del giudizio dalla stessa promosso per ottenere l’adempimento, può domandare, contestualmente all’esercizio dello jus variandi, oltre alla restituzione della prestazione eseguita, anche il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale.

TESTO DELLA SENTENZAClicca qui CAss. 8510_04_14

Sintesi

Cass., sez. un., 11 aprile 2014, n. 8510 compone il contrasto giurisprudenziale sulla ammissibilità della domanda di risarcimento del danno, che sia proposta unitamente alla azione di risoluzione del contratto per inadempimento in esercizio dello jus variandi di cui all’art. 1453, comma 2°, c.c.

Il contrasto si riassume come segue:

A) orientamento contrario (Cass., 23 gennaio 2012, n. 870). La deroga al divieto di mutatio libelli è tassativa e di stretta interpretazione, quindi non si presta a ricomprendere la domanda di risarcimento del danno.

B) orientamento favorevole (Cass., 31 maggio 2008, n. 26325). La deroga di cui all’art. 14532 c.c. attua il principio di concentrazione delle decisioni ed è resa possibile dalla identità di interesse che le azioni di adempimento e risoluzione mirano a soddisfare: evitare i pregiudizi derivanti dall’inadempimento della controparte contrattuale. Ne è conferma il comunicarsi dell’effetto interruttivo della prescrizione prodotto dalla domanda di adempimento nei confronti della domanda di risoluzione (Cass., sez. un., 10 aprile 1995, n. 4126). Incontra, però, un limite insuperabile nella impossibilità di mutare i fatti posti a fondamento della domanda: ad essere modificato è solo il petitum.

Le ragioni che consentono – secondo le S.U. – di avallare l’orientamento favorevole sono le seguenti:

  1. argomento letterale = l’art. 14532 c.c. non vieta la proposizione della domanda di risarcimento del danno in occasione dell’esercizio dello jus variandi di cui al secondo comma;
  2. argomento letterale = l’art. 14531 c.c. configura la possibilità del cumulo fra azione di risoluzione e azione risarcitoria laddove fa “salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”;
  3. argomento teleologico-sistematico = la ratio dello jus variandi è consentire la concentrazione delle tutele a favore della parte fedele, il che giustifica la ritenuta proponibilità, unitamente alla azione di risoluzione, della richiesta restitutoria;
  4. argomento sistematico = vi sono altre ipotesi di legge in cui il divieto di nova è derogato dal principio di concentrazione (artt. 9481 e 23782 c.c.);
  5. argomento letterale = l’art. 345 c.p.c. consente di chiedere in appello i danni sofferti dopo la sentenza impugnata al fine di evitare il frazionamento della domanda risarcitoria.

Quanto agli argomenti contrari, che insistono fondamentalmente sulla tassatività dell’art. 14532 c.c. in combinato disposto con gli artt. 183 e 345 c.p.c., le S.U. rilevano che il tema di indagine del giudice si amplia anche quando:

  1. il creditore muta la domanda di adempimento in azione di risoluzione, perché è necessario accertare la gravità dell’inadempimento (art. 1455 c.c.) e, a tal fine, il creditore può allegare, pur nell’identità dei fatti costitutivi della pretesa originariamente azionata, gli elementi sopravvenuti che lo hanno determinato alla mutatio libelli;
  2. il creditore ha proposto, unitamente alla originaria domanda di adempimento, la richiesta risarcitoria, e, successivamente, esercita lo jus variandi, perché il quantum debeatur diventa la differenza fra la situazione scaturisca dalla inattuazione dello scambio e il vantaggio atteso dal creditore;

il creditore esercita lo jus variandi, proponendo contestualmente la richiesta di restituzione (es. chiedendo la restituzione per equivalente).