Cass. Sez. Trib. 05.09.2014 n. 18755 (sulla legittimazione processuale nel concordato preventivo)
Dal nostro Osservatorio di diritto fallimentare
questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la sentenza della Sezione Tributaria Civile della Corte di Cassazione n. 18755 del 05.09.2014 (relatore dott. Marco Marulli).
Il provvedimento risponde ad un quesito di ordine strettamente pratico, affrontando il tema della legittimazione attiva del Commissario Liquidatore ad adire la competente Commissione Tributaria in rappresentanza della società in concordato preventivo.
Nell’esame della fattispecie, i giudici della Suprema Corte aprono con un pregevole riepilogo dello “stato dell’arte” del regime di amministrazione dei beni della procedura.
Si ricorda quindi che:
- durante la procedura di concordato, il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale e la direzione del giudice delegato;
- la procedura di concordato preventivo mediante la cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma solo dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, con la conseguenza che il debitore cedente conserva il diritto di esercitare le azioni o di resistervi nei confronti dei terzi, a tutela del proprio patrimonio, soprattutto dopo che sia intervenuta la sentenza di omologazione;
- il debitore ammesso al concordato preventivo subisce uno “spossamento attenuato”, in quanto conserva, oltre ovviamente alla proprietà (come nel fallimento), l’amministrazione e la disponibilità dei propri beni, salve le limitazioni connesse alla natura della stessa procedura, la quale impone che ogni atto sia comunque funzionale all’esecuzione del concordato;
- per effetto della sentenza di omologazione è da ritenere che venga meno il potere di gestione del commissario giudiziale, mentre quello del liquidatore è da intendere conferito nell’ambito del suo mandato e perciò limitato ai rapporti obbligatori sorti nel corso ed in funzione delle operazione di liquidazione;
- nel concordato con cessione dei beni, la legittimazione a disporne viene attribuita al commissario liquidatore, che agisce in una veste generalmente qualificata come di mandatario dei creditori, mentre il debitore in ogni caso mantiene ( oltre che la proprietà dei beni) la legittimazione processuale, mancando nel concordato una previsione analoga a quella dettata dall’art. 43 legge fall. per il fallimento.
Per quanto riguarda i rapporti tributari (e più in particolare la legittimazione processuale), la Corte ribadisce che “il debitore ammesso al concordato preventivo, con cessione dei beni dei creditori e nomina del commissario liquidatore, che prosegua nell’esercizio dell’impresa, conserva la sua capacità processuale e continua ad essere soggetto passivo di imposta e destinatario di tutti gli obblighi di natura fiscale connessi alla prosecuzione della sua attività. In quanto parte in senso sostanziale di tutti gli atti che concernono il suo patrimonio, il debitore lo rimane anche nei rapporti tributari, che pertanto a lui fanno direttamente capo, e sui quali è legittimato processualmente a interloquire, sicché è solo a lui che vanno notificati gli atti impositivi ed è solo a lui l’unico legittimato passivo in ordine alla verifica dei crediti dopo l’omologazione del concordato, sussistendo la legittimazione del liquidatore solo nei giudizi relativi a rapporti obbligatori sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione”.
E’ quindi evidente che la sentenza esaminata puòcontribuire a fornire importanti linee guida per evitare spiacevoli eccezioni in rito.
Buona lettura.
Simone Giugni
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARLO PICCININI - Presidente -
Dott. ETTORE CARILLO - Consigliere -
Dott. ANTONIO VALITUTTI - Consigliere -
Dott. ENRICO SCODITTI - Consigliere -
Dott. MARCO MARULLI - Consigliere -
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 18614-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, domiciliato in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
- ricorrente -
contro
Z.M.;
- intimato -
avverso la sentenza n. 24/2009 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA, depositata il 04/05/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/06/2014 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;
udito per il ricorrente l’Avvocato D. S. che ha chiesto l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione avverso la sentenza 24/24/09 del 4.5.2009 con la quale la C., in accoglimento dell’appello spiegato dalla contribuente a mezzo del proprio commissario liquidatore, ha riformato la sentenza di primo grado che ne aveva respinto il ricorso nei confronti del silenzio rifiuto formatosi sull’istanza con cui la parte aveva chiesto a rimborso il credito IVA per l’anno 2005 ed il credito IRES per l’anno 2004, rispettivamente esposti nel modello VR/2006 ed nel quadro RX del modello Unico 2005.
La CTR ha motivato il proprio deliberato favorevole alla contribuente, respingendo l’eccezione preliminare sollevata dall’ufficio in ordine alla legittimazione attiva del ricorrente e omettendo ogni statuizione sulla pure dedotta cessazione della materia del contendere relativamente all’IVA, osservando nel merito che “ nessuna motivazione è valida è stata fornita dall’ufficio … tale da giustificare il notevole ritardo del mancato rimborso delle somme richieste”, apparendo altresì evidente “la pretestuosità delle giustificazioni addotte dall’Ufficio nel richiamarsi alla crono logicità delle dichiarazioni presentate”, posto che “in tre anni si poteva benissimo evadere la richiesta del contribuente …. Soprattutto in considerazione del fatto di non aver dato precedenza come logica impone alla verifica delle pratiche per le quali è stata attivata l’azione giudiziaria”..
L’odierno ricorso è affidato a quattro motivi di gravame.
Non ha svolto attività difensiva la controparte.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo di gravame l’Agenzia ricorrente censura l’impugnata sentenza sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di legge rilevante ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 167 e 169 l. fall. e 18 D.lg. 546/92, atteso che la statuizione della CTR, in ordine all’eccepito difetto di legittimazione attiva del commissario liquidatore ricorrente nella specie, è “gravemente violativa di tutte le norme in epigrafe indicate e, segnatamente, in contrasto con la disciplina della legittimazione attiva di impresa in concordato preventivo, da individuarsi – anche per quanto riguarda controversie tributarie quale quella oggi in discussione – in capo al titolare dell’impresa (nella specie il legale rappresentante della società contribuente) anziché in capo al commissario liquidatore dell’impresa in concordato preventivo, senza potersi fare distinzioni riguardo la circostanza dell’avvenuta o meno cessione dei beni”.
Nullità della sentenza ex art. 360, primo comma, n.4 c.p.c. si deduce con il secondo motivo n0on avendo dichiarato “l’originaria inammissibilità del ricorso giurisdizionale proposto dal commissario liquidatore di una società contribuente in concordato preventivo anziché dal legale rappresentante della società medesima”.
Il terzo motivo denuncia ancora la nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c. per gli effetti dell’art. 360, primo comma, n.4 c.p.c., per aver essa omesso di pronunciarsi, ancorché la relativa deduzione fosse stata ritualmente operata e la circostanza non fosse contestata, sulla cessazione della materia del contendere in merito all’IVA a seguito del rimborso disposto dall’ufficio nelle more del giudizio di appello che la CTR ha completamente ignorato … omettendo completamente di pronunciarsi sul punto.
Vizio di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. sotto il profilo della sua insufficienza circa un punto decisivo della controversia rappresentato dalle ragioni addotte dall’ufficio a giustificazione del mancato rimborso dell’IRES, si denuncia con il quarto motivo di ricorso, posto che sebbene l’ufficio avesse dedotto che ciò era dovuto alla necessità di rispettare non solo i tempi tecnici di erogazione ma anche il principio di parità tra i contribuenti, la CTR al contrario aveva “immotivatamente ritenuto pretestuose tali giustificazioni, irrilevante e non fondato il riferimento al principio di cronologicità nel riconoscimento dei rimborsi e con esso il principio di imparzialità e di uguaglianza tra i contribuenti”.
2.2. Il primo ed il secondo motivo possono essere esaminati congiuntamente i quanto entrambi, pur se sotto diversa angolazione, censurano il deliberato della CTR qui impugnato per aver ravvisato implicitamente la legittimazione del commissario liquidatore della contribuente ed esperire l’azione di rimborso delle imposte a credito.
I motivi così avvinti sono entrambi fondati.
L’art. 167 l. fall., nel testo applicabile ratione temporis recitava testualmente al suo primo comma che “durante la procedura di concordato, il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale e la direzione del giudice delegato”. Da ciò questa Corte ha tratto il più generale assunto, reiteratamente affermato, secondo cui “la procedura di concordato preventivo mediante la cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma solo dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, con la conseguenza che il debitore cedente conserva il diritto di esercitare le azioni o di resistervi nei confronti dei terzi, a tutela del proprio patrimonio, soprattutto dopo che sia intervenuta la sentenza di omologazione” (10738/00; 7661/05; 11701/07; 27897/13). Più esattamente, se il debitore ammesso al concordato preventivo subisce uno “spossamento attenuato”, in quanto conserva, oltre ovviamente alla proprietà (come nel fallimento), l’amministrazione e la disponibilità dei propri beni, salve le limitazioni connesse alla natura della stessa procedura, la quale impone che ogni atto sia comunque funzionale all’esecuzione del concordato (4728/08), per effetto della sentenza di omologazione è da ritenere che “venga meno il potere di gestione del commissario giudiziale, mentre quello del liquidatore è da intendere conferito nell’ambito del suo mandato e perciò limitato ai rapporti obbligatori sorti nel corso ed in funzione delle operazione di liquidazione” (7661/05).
“In particolare, nel concordato con cessione dei beni, la legittimazione a disporne viene attribuita al commissario liquidatore, che agisce in una veste generalmente qualificata come di mandatario dei creditori, mentre il debitore in ogni caso mantiene ( oltre che la proprietà dei beni) la legittimazione processuale, mancando nel concordato una previsione analoga a quella dettata dall’art. 43 legge fall. per il fallimento” (4728/08). Ne consegue, quanto ai rapporti tributari, che il debitore ammesso al concordato preventivo, con cessione dei beni dei creditori e nomina del commissario liquidatore, che prosegua nell’esercizio dell’impresa, “conserva la sua capacità processuale e continua ad essere soggetto passivo di imposta e destinatario di tutti gli obblighi di natura fiscale connessi alla prosecuzione della sua attività” (12422/11). In quanto parte in senso sostanziale di tutti gli atti che concernono il suo patrimonio, il debitore “lo rimane anche nei rapporti tributari, che pertanto a lui fanno direttamente capo, e sui quali è legittimato processualmente a interloquire” (4728/08), sicché è solo a lui che vanno notificati gli atti impositivi ed è solo a lui “l’unico legittimato passivo in ordine alla verifica dei crediti dopo l’omologazione del concordato, sussistendo la legittimazione del liquidatore solo nei giudizi relativi a rapporti obbligatori sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione” (13340/09).
E’ evidente perciò alla luce di questo combinato quadro di riferimento che la legittimazione del commissario liquidatore sia riconoscibile nei soli limiti in cui la pretesa o l’obbligo siano sorti “nel corso ed in funzione delle operazioni in liquidazione”, diversamente dovendo riconoscersi che essa competa al debitore, che così come non si spoglia della gestione dell’impresa e della gestione dei propri affari, parimenti consente di regolare de plano anche la vicenda in esame, cogliendo l’errore compiuto dalla CTR che, giudicando nel merito, ha in tal modo pure ritenuto, errando, che il commissario liquidatore fosse legittimato al giudizio, ancorché non vi fosse prova dell’inclusione del credito tra beni oggetto della cessione.
3. L’accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso comporta l’assorbimento degli ulteriori motivi e la conseguente cassazione della sentenza ai sensi dell’art. 382, comma terzo, c.p.c. in quanto la causa non poteva essere proposta
4. Spese alla soccombenza.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione
Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa l’impugnata sentenza e condanna il contribuente al pagamento delle spese che liquida in euro 5000,00= oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della V sezione civile il 10.6.14
Il Cons. est. Il Presidente
Dott. Marco Marulli Dott. Carlo Piccininni