ESAME AVVOCATO 2014 – Tracce e soluzioni parere penale

TRACCIA 1

Con sentenza pronunciata dal Tribunale nell’ottobre 2012 e depositata il 30.11.2012, Tizio, incensurato di anni 42, viene condannato con la concessione delle attenuanti generiche alla pena di anni 3 di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici, in quanto giudicato responsabile del reato di cui all’art.317 c.p., commesso nell’anno 2010, perché nella sua veste di pubblico ufficiale, quale ispettore del lavoro della ASL, nel corso di un accertamento presso un’autorimessa in cui era emersa l’irregolare assunzione di lavoratori dipendenti in nero, dopo aver detto al titolare dell’autorimessa, Caio, che, se non gli avesse corrisposto la somma di euro  500,00 avrebbe proceduto a contestare, come previsto dalla legge, sanzioni dell’importo di alcune migliaia di euro, si faceva consegnare la predetta somma senza poi procedere a contestazione alcuna.
Tizio, subito dopo l’avvenuto deposito della sentenza, si reca da un avvocato per avere un parere.
Il candidato, assunte le vesti del candidato di Tizio, rediga motivato parere illustrando gli istituti e le problematiche sottese alla fattispecie in esame.
*******************************************
La questione in esame è relativa a quale sia, a seguito della L. 6 novembre 2012, n. 190, la linea di demarcazione tra la fattispecie di concussione (prevista dal novellato art. 317 c.p.) e quella di induzione indebita a dare o promettere utilità (prevista dall’art. 319 quater c.p., di nuova introduzione). Si discute, inoltre, sul rapporto tra la condotta di costrizione e quella di induzione, nonché in relazione alle connesse problematiche di successione di leggi penali nel tempo.

A tal proposito sono recentemente intervenute le Sezioni Unite che hanno dissipato i contrasti interpretativi in materia enunciando che il delitto di concussione, di cui all’art. 317 cod. pen. nel testo novellato, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita.

La concussione si distingue dal delitto di induzione indebita, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico.

Le Sezioni Unite hanno precisato che, nei casi ambigui, l’indicato criterio distintivo del danno antigiuridico e del vantaggio indebito va utilizzato, all’esito di un’approfondita ed equilibrata valutazione del fatto, cogliendo di quest’ultimo i dati più qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta.

Nel caso di specie la novella legislativa è intervenuta dopo la commissione dei fatti e successivamente alla pronuncia della decisione.

Giova soffermarsi in ordine alla sussistenza di una continuità normativa fra l’art. 317 c.p. e la norma sopra richiamata. A tal proposito le Sezioni Unite hanno enunciato che vi è continuità normativa, quanto al pubblico ufficiale (quale era Tizio, nel caso in esame), tra la previgente concussione per costrizione e il novellato art. 317 cod. pen., la cui formulazione è del tutto sovrapponibile, sotto il profilo strutturale, alla prima, con l’effetto che, in relazione ai fatti pregressi, va applicato il più favorevole trattamento sanzionatorio previsto dalla vecchia norma.

Nel caso in esame, però, sembrerebbe esclusa la costrizione e, dunque, la sussistenza dell’art. 317 c.p. perché potrebbero ravvisarsi i presupposti dell’art. 319 quater in quanto l’abuso pare assumere un più tenue valore condizionante la libertà di autodeterminazione del destinatario, che presta acquiescenza alla richiesta nella prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale. Detto tornaconto pone il soggetto privato in una posizione di complicità col pubblico agente e lo rende meritevole di sanzione.

Come enunciato dalla Suprema Corte, nei casi c.d. ambigui, quelli cioè che possono collocarsi al confine tra la concussione e l’induzione indebita (la c.d. zona grigia dell’abuso della qualità, della prospettazione di un male indeterminato, della minaccia-offerta, dell’esercizio del potere discrezionale, del bilanciamento tra beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale), i criteri di valutazione del danno antigiuridico e del vantaggio indebito, che rispettivamente contraddistinguono i detti illeciti, devono essere utilizzati nella loro operatività dinamica all’interno della vicenda concreta, individuando, all’esito di una approfondita ed equilibrata valutazione complessiva del fatto, i dati più qualificanti.

In definitiva, se il contegno criminoso di Tizio è da ricondurre alla concussione per costrizione di cui al novellato art. 317 c.p., nulla è mutato quanto alla posizione del pubblico ufficiale. I vecchi fatti di abuso costrittivo commessi continuano a essere puniti. Tuttavia non si applicherà la novella, operando il più favorevole corredo sanzionatorio previgente. Laddove, invece, come sembra maggiormente persuasivo, sussiste nel caso in esame un abuso induttivo con correlativo vantaggio del privato, rilevata la continuità normativa, limitatamente alla posizione del pubblico agente, tra la previgente concussione per induzione e il nuovo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità, potrà essere invocato, coltivando la vertenza, il più favorevole trattamento sanzionatorio di cui alla nuova norma. 

TRACCIA 2

Tizio – di professione autotrasportatore- effettuava trenta transiti sulla rete autostradale omettendo di corrispondere il relativo pedaggio, per il totale di euro  350,00. In particolare, in alcuni casi, dopo aver ritirato alla guida dell’autocarro di sua proprietà, il tagliando di ingresso del casello autostradale, una volta aggiunto alle varie stazioni di uscita si immetteva nella corsia riservata ai possessori di di tessera via card o di telepass e si accodava al veicolo che lo precedeva riuscendo a transitare, sulla scia di questo, prima che la sbarra di blocco si fosse abbassata.
tizio non veniva mai fermato dalle forze dell’ordine o dall’addetto al casello, ma il numero di targa veniva rilevato attraverso un sistema fotografico automatico in dotazione della società autostrade. In altri casi,ometteva il pagamento dichiarando all’addetto al casello di uscita di aver smarrito il tagliando di ingresso e di essere sprovvisto di denaro.
Tizio viene sottoposto a procedimento penale e si reca da un avvocato per conoscere le possibili conseguenze penali della propria condottta.
Il candidato assunte le vesti del legale di Tizio analizzi la fattispecie o le fattispecie configurabili nelle condotte prescritte

*******************************

Ai fini dell’inquadramento giuridico della vicenda in esame, va premesso che le condotte realizzate da Tizio non sembrano integrare l’art. 176, c. 17 del codice della strada.

La norma punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria chiunque ponga in essere qualsiasi atto al fine di eludere in tutto o in parte il pagamento del pedaggio autostradale. Il legislatore espressamente stabilisce la sussidiarietà dell’illecito amministrativo rispetto alle fattispecie penali eventualmente concorrenti, nei cui confronti, pertanto, non si pone un rapporto di specialità ex art. 9 della legge n. 689 del 1981.

Ciò premesso, giova divaricare la condotta del passaggio, senza titolo di accesso, alla barriera telepass accodandosi al veicolo dotato dell’ingresso automatico rispetto al contegno di omissione del pagamento con dichiarazione all’addetto del casello di avere smarrito il tagliando di ingresso.

Giova distinguere l’insolvenza fraudolenta dalla truffa. Nella prima la frode non viene attuata mediante i mezzi insidiosi dell’artificio o del raggiro ma con un inganno rappresentato dello stato di insolvenza del debitore e della dissimulazione della sua esistenza finalizzato all’inadempimento dell’obbligazione.

Orbene, nella fattispecie, l’imputato ha imboccato la corsia che conduce alle porte riservate a chi è dotato di telepass; poi si è posto sulla scia dell’autovettura che lo precedeva – regolarmente munita di telepass – riuscendo ad uscire dal casello prima che la sbarra si abbassasse.

L’atto di disposizione patrimoniale pregiudizievole per la persona offesa consiste nel consentire l’uscita dalla sede autostradale ad un veicolo il cui conducente non ha adempiuto l’obbligazione di pagamento assunta. Tale atto di disposizione patrimoniale pregiudizievole è in relazione causale diretta con gli artifici e raggiri integrati nella condotta sopra delineata.

Non incide su quanto sopra l’obbiezione che il casello sia regolato da un sistema automatico. Infatti tale sistema automatico è sotto la sorveglianza del personale addetto che interviene ogni volta che si verifica un problema; ma nel caso di specie la condotta truffaldina dell’imputato ha impedito proprio l’intervento (v. Cass. pen. n. 26289 del 18/05/2007).

Con riferimento, invece, al contegno legato al mancato adempimento, da parte dell’automobilista, dell’obbligazione di pagamento del pedaggio autostradale con dichiarazione di avere smarrito il tagliando di ingresso, si ritiene che sussistano profili di rilevanza penale relativi, in questo caso, all’insolvenza fraudolenta. Sussistono, infatti, la “dissimulazione dello stato di insolvenza”, l’assunzione dell’obbligazione” e dell’”inadempimento”.

Tizio ha approfittato della fiducia che l’ente gestore del servizio prestava nell’assolvimento del pedaggio.

La dissimulazione può realizzarsi con comportamenti diversi, positivi o negativi, tra i quali ultimi rientrano la reticenza o il silenzio.

Trattandosi dell’utilizzazione dell’autostrada, il contratto si stipula per facta concludentia ed il mancato pagamento è riconducile ad un elemento soggettivo, non caratterizzato dall’induzione in errore, ma da un mero atteggiamento negativo dell’autore nei confronti dell’errore sulla solvibilità in cui versa la parte offesa, alla contrattazione (Cass. pen., Sez. 2, 04/07/2000, n. 43730).

Con specifico riguardo all’atteggiamento psicologico, vale a dire al dolo generico, si segnala la presenza della consapevolezza dello stato di insolvenza e dall’elemento volitivo, costituito dal preordinato proposito di non adempiere, desunta da elementi induttivi seri e univoci, quali sono quelli ricavati dalla reiterazione delle condotte dissimulatorie e dal persistente inadempimento, che lasciano intendere che sin dal momento della stipula del contratto fosse già maturo, nel soggetto, l’intento di non far fronte agli obblighi conseguenti.

Vi è motivo di ritenere che le condotte integrino un concorso materiale fra il reato di truffa, aggravata ex art. 640, c. II, n. 1 c.p., e l’insolvenza fraudolenta (cfr. Cass. pen. n. 44140/12). Potrà invocarsi il vincolo della continuazione, potendosi ravvisarsi il medesimo disegno criminoso ex art. 81, I cpv. c.p. e un eventuale bilanciamento fra circostanze, considerata in particolare la tenuità del pregiudizio economico.