Trib. Bergamo 28.04.2014 (sulla revocabilità delle rimesse in conto corrente bancario)
Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la Sentenza del Tribunale di Bergamo del 28.04.2014, che riporta peraltro come estensore un nome noto come quello del Dott. Vitiello.
Il provvedimento, assai pregevole, affronta il problema delle esenzioni dalla revocatoria fallimentare delle rimesse su conto corrente bancario, “purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca”.
Come è noto, infatti, l’introduzione dell’esenzione di cui all’art. 67 comma 3 lett. b) ha drasticamente diminuito le azioni revocatorie promosse contro gli Istituti di Credito, in parte proprio a causa del tenore generico ed ambiguo della disposizione.
Nella sentenza in questione, invece, si affrontano in pratica tutti i quesiti di fronte ai quali ci troviamo di fronte quando affrontiamo un’azione revocatoria (ripartizione dell’onere probatorio, definizione di “consistenza” e “durevolezza” della rimessa ecc.) e può costituire, quindi, un importante “vademecum”.
Particolarmente interessante infine è la conclusione finale del provvedimento, secondo il quale “l’integrazione della norma scaturita dal d. lgs. n. 169/07 va quindi considerata nulla più che una miglior esplicitazione, da parte del legislatore, del principio che esclude che la banca sia tenuta a restituire un importo che sia integrato dalla sommatoria delle singole rimesse di natura solutoria considerate revocabili, ove tale importo ecceda l’entità del complessivo rientro”.
Buona lettura.
Simone Giugni
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Omissis
Motivi della decisione
E. S.r.l. è stata dichiarata fallita con sentenza pubblicata in data 14.12.06.
Il curatore del fallimento ha chiesto la dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell’art. 67, comma 2 l. fall., di due rimesse in conto corrente intervenute, rispettivamente, in data 1.9.06, per un importo complessivo pari ad euro 53.211,24.
Ha inoltre chiesto una pronuncia di inefficacia, ai sensi dell’art. 67 comma 1, n. 2 l. fall., dei versamenti sul medesimo conto corrente per anticipazioni su ricevute bancarie o fatture accompagnate da cessioni del credito o da mandati all’incasso in rem propriam, versamenti intervenuti in data 29.12.05, 12.4.06, 14.4.06 e 19.9.06 per un totale di euro 405.880,00
C. s.p.a., convenuta in giudizio, si è costituita sollevando l’eccezione di nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza di petitum e causa petendi e rilevando come, conseguentemente, fosse nel frattempo intervenuta la prescrizione dell’azione.
L’eccezione, inerente alla sola domanda formulata dalla curatela ai sensi dell’art.67, comma uno, n. 2 l. fall., non è fondata.
Il curatore ha infatti legittimamente individuato le rimesse interessate dalla domanda riferendosi alle anticipazioni su fatture intervenute nell’anno antecedente alla dichiarazione di fallimento ed ai numeri dei conti intestati alla società poi dichiarata fallita (n. 43185315 il c/c ordinario; n. 43185416 il conto anticipi) ed allegando all’atto introduttivo documentazione inerente alle movimentazioni dei conti, movimentazioni comprensive degli accrediti poi più esattamente indicati quali revocabili il che, per giurisprudenza consolidata, è sufficiente ad individuare sia il petitum sia la causa petendi dell’atto introduttivo (per tutte: Cass., 22.6.07, n. 14676).
Ciò detto, va premesso che le due domande di revocatoria hanno distinti presupposti oggettivi ed un identico presupposto soggettivo, la conoscenza, all’epoca dei versamenti in discorso, da parte della banca accipiens C. s.p.a., dello stato di insolvenza di E. S.r.l.
L’identità del presupposto soggettivo si risolve nella diversità del soggetto processuale gravato dall’onere probatorio ad esso relativo.
Come noto, infatti, quando la domanda è formulata ex art. 67 comma due l. fall. è l’attore il soggetto cui spetta l’onere di provare l’esistenza della scientia decoctionis del convenuto; quando la domanda è formulata ai sensi dell’art. 67 comma uno l. fall. è invece il convenuto cui spetta provare l’insussistenza della conoscenza, da parte sua, dello stato di insolvenza, in presenza di una presunzione, iuris tantum, di esistenza del presupposto soggettivo della domanda.
E’ quindi opportuno premettere le valutazioni relative all’elemento soggettivo delle due domande di revocatoria, nella consapevolezza che, sotto un profilo strettamente logico-sistematico, le valutazione in questione dovrebbero conseguire alla disamina inerente ai distinti presupposti oggettivi delle domande stesse.
Gli elementi dedotti dal fallimento E. S.r.l., per dimostrare che C. s.p.a. fosse a conoscenza dell’insolvenza della società poi dichiarata fallita, sono ampiamente sufficienti ed idonei, il che ovviamente esclude che possa ritenersi esistente, con riguardo alla domanda ex art 67 comma primo l. fall., la prova della inscentia della banca.
La considerazione è fatta sul presupposto che l’onere probatorio che incombe al fallimento, da riferire alla conoscenza concreta ed effettiva e non alla mera conoscibilità, possa essere assolto ricorrendo ad elementi meramente indiziari, se pure caratterizzati dai noti requisiti della gravità, precisione e concordanza.
Va poi evidenziato come sia senza dubbio applicabile alla fattispecie il principio, da considerarsi consolidato in giurisprudenza, che riconosce agli indizi tipici della conoscenza dell’insolvenza una valenza rafforzata e maggiormente intensa, qualora l’accipiens sia un istituto di credito, in quanto tale dotato di tutti gli strumenti, privilegiati ed efficaci, diretti a garantirgli piena e tempestiva cognizione della situazione finanziaria del proprio cliente, tanto più nell’ipotesi in cui quest’ultimo, come è risultato essere nel caso in esame, sia assistito da un’apertura di credito o da un affidamento realizzato nella forma del c.d. castelletto, con conseguente sua soggezione ad un costante monitoraggio da parte della banca.
Se si tiene conto che le due3 rimesse di cui si sostiene la revocabilità risalgono all’1.9.06 (per euro 3.611,24) ed al 19.9.06 (per euro 49.600,00), devono ritenersi fortemente emblematici della scientia:
- il fatto che a quelle date il bilancio di E. S.r.l. al 31.12.05 non fosse4 stato pubblicato;
- la circostanza che a partire dal giorno 8 maggio 2005 fossero stati elevati nei confronti di E. S.r.l. ben venti protesti;
- infine il fatto che in data 1.6.2006 la banca ebbe a recedere dai rapporti in essere, previa revoca dell’apertura di credito e dell’affidamento mobile concessi, e ad intimare il rientro immediato dell’esposizione debitoria.
A ciò si aggiunga la ricezione, da parte della banca, in data 28.7.06, di un progetto di ristrutturazione dl debito di E. s.r.l. elaborato da un professionista all’uopo incaricato da quest’ultima.
Gli elementi dedotti dal fallimento attore sono pertanto univoci e coerenti nell’indicare che la banca fosse a conoscenza dell’insolvenza di El. s.r.l. all’epoca in cui intervennero le rimesse per cui è causa.
Si consideri in particolare, quanto all’omessa pubblicazione del bilancio di esercizio, che le banche condizionano il mantenimento delle linee di credito in essere ad un accurato esame del bilancio di esercizio, esame che viene anticipato rispetto al momento della pubblicazione del bilancio stesso al registro delle imprese, essendo usuale la richiesta al cliente affidato di anticipare la trasmissione di una bozza dello stato patrimoniale e del conto economico.
Né possa avere rilevo il fatto che l’iscrizione della posizione di E. s.r.l. a sofferenza sia avvenuta soltanto il 19.1.07, previo mantenimento, nei fatti, del rapporto di conto corrente sino al 31.12.06, dovendosi ritenere del tutto plausibile che l’attesa sia stata funzionale all’aspettativa che si verificasse un rientro.
In altri termini la banca, anziché adottare iniziative palesemente indicative della sua scientia decoctionis nei confronti di un cliente indebitato, protestato e non adempiente all’obbligo di legge di depositare il bilancio, scelse una strategia intesa ad evitare di creare i presupposti per una successiva revocabilità delle rimesse di rientro.
Senza dubbio il comportamento tenuto dall’istituto di credito sta a significare che esso considerasse esistente l’insolvenza, e sulla base di tale consapevolezza volesse preservarsi dalle eventuali future e possibili iniziative del curatore fallimentare.
Quabnto esposto è compatibile con l’erogazione del credito intervenuta in occasione delle operazione di anticipo accompagnate dalla cessione del credito vantato dalla cliente e induce pertanto a ritenere, quanto alla domanda formulata ex art. 67, comma uno, n. 2 l.fall., che la banca non abbia assolto l’onere di provare la sua mancanza di conoscenza dell’insolvenza della società poi dichiarata fallita.
Le operazioni di anticipazione interessate da quest’ultima pretesa si collocano in un lasso temporale compreso tra il 29 dicembre 2005 e il 19 settembre 2006, in parte coincidente e in parte di poco antecedente con quello considerato per la revocatoria ai sensi dell’art. 67 comma due l.fall.
Una volta stabilita la compatibilità con la conoscenza della decozione delle operazioni di anticipazione e della ritardata iscrizione della posizione di E. s.rl. a sofferenza, a sostegno della tesi dell’inscientia v’è soltanto l’elemento integrato dagli indici del bilancio al 31.12.04, elemento di per sé solo insufficiente a vincere la presunzione prevista della norma.
Le domande del fallimento attore possono quindi essere esaminate con riguardo ai rispettivi presupposti oggettivi.
Non è contestato che gli accrediti sul conto siano stati eseguiti per gli importi indicati dal fallimento attore e, quanto alla loro collocazione temporale, nell’anno che ha preceduto la dichiarazione di fallimento, quanto ai versamenti interessati dalla domanda ex at. 67, comma primo, n.2 l. fall., nel semestre cd. Sospetto quanto alle rimesse revocabili ex art. 67 comma due l.fall.
Va poi stabilito se i vari accrediti siano qualificabili, rispettivamente, come atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con mezzi normali di pagamento /art. 67 comma 1 n. 2 l. fall.) e come pagamenti di debiti liquidi ed esigibili (art. 67, comma 2 l. fall.).
Il tema merita risposte distinte.
Cominciando con i versamenti corrispondenti ad anticipazioni dietro presentazione di ricevute bancarie o fatture su conto affidato, va escluso che essi integrino atti solutori anormali.
L’accreditamento eseguito dalla banca sul conto corrente integra un ordinario atto di ripristino della provvista assicurata dall’affidamento, secondo una dinamica che risponde alla fisiologia dei rapporti tra la banca ed il suo cliente commerciale, ma soprattutto secondo lo schema contrattuale in essere tra banca e società affidata.
Le anticipazioni sono prestiti ad utilizzo ripetuto, in cui ad una pluralità di finanziamenti consegue una pluralità di estinzioni.
Ne consegue che gli accrediti possono essere considerati revocabili soltanto ove risulti a copertura (e quindi solutori) di precedenti anticipazioni rimaste insolute.
Ma anche in tale ipotesi che, tra l’altro nella fattispecie in esame non è provata (vedi sul punto la relazione del c.t.u), dalla natura solutoria del versamento sul conto corrente discende al più una potenziale revocabilità ex art. 67 comma due l. fall., non già la qualificazione del versamento quale atto anomalo di pagamento (conforme Trib. Milano, 19.6.2004).
L’anticipo dietro presentazione di ricevuta bancaria o fattura, accompagnato dalla cessione del credito, come nel caso in esame, o da un mandato all’incasso in rem propriam con patto di compensazione, non può rappresentare un mezzo di pagamento anormale perché interviene quale atto esecutivo di un contratto tra le parti, banca e cliente.
Sono al più le operazioni bancarie considerate nella loro globalità, comprensive quindi della contestuale cessione di credito, o della compensazione tra il credito della banca originato dall’ anticipazione ed il debito della banca dipendente dall’incasso del credito per conto del cliente, che possono essere considerati atti di pagamento anomali, ma non l’anticipazione che li precede (cosi Cass. n. 6477979, salvo che quest’ultima vada a coprire eventuali precedenti anticipi seguiti da insoluti.
Ma tale fattispecie può integrare una mera casualità e comunque, ove riscontrata, determina la revocabilità della rimessa di anticipazione ai sensi del secondo comma dell’art. 67 l. fall.
Fatta questa premessa e venendo specificamente al caso in esame, va evidenziato che il curatore del fallimento E. S.r.l. ha chiesto la dichiarazione di inefficacia dell’accredito di euro 200.000,00 eseguito in data 29 dicembre 2005; dell’accredito di euro 85.280,00 eseguito in data 12 aprile 2006; dell’accredito di euro 71.000,00 effettuato in data 14 aprile 2006; infine dell’accredito di euro 49.600,00 effettuato in data 19.9.06.
Soltanto quest’ultimo rientra nel semestre che ha preceduto la dichiarazione di fallimento e, secondo i condivisibili accertamenti del consulente tecnico d’ufficio, non è riconducibile ad un’anticipazione, bensì ad un incasso alla scadenza.
Lo stesso c.t.u. ha verificato la coincidenza del versamento in parola con la seconda rimessa di cui il curatore ha chiesto l’inefficacia ex art. 67, comma due l.fall.
Da quanto esposto discende pertanto che i primi tre versamenti, riconducibili ad anticipazioni, non sono revocabili, perché non integranti atti di pagamento anomali e perché, ove anche fossero considerati come atti solutori di precedenti anticipazioni rimaste insolute (circostanza come detto non dimostrata), essi non rientrerebbero nel periodo sospetto contemplato dall’art. 67 comma due l. fall.
Venendo alle due rimesse sul conto corrente di cui viene chiesta declaratoria di inefficacia ex art. 67, comma due l. fall., va premesso che anche dopo la riforma nella disciplina delle azione revocatorie del 2005 mantiene rilievo la distinzione tra rimesse ripristinatorie della provvista e rimessa solutorie.
La tesi contraria trova conforto soltanto nel riferimento di cui all’art. 67 comma tre lett. b) l. fall., che come noto prevede un’ipotesi di non revocabilità, alle rimesse effettuate su conto corrente bancario che non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria.
La norma sembrerebbe riferirsi, quindi, ad una variazione contabile del conto corrente che prescinda dalla circostanza che la rimessa sia o meno intervenuta intra fido.
Deve al contrario ritenersi che la natura solutoria della rimessa sia presupposto indispensabile della sua potenziale revocabilità, ulteriormente condizionata dalla consistenza e durevolezza della riduzione dell’esposizione debitoria.
La fattispecie di cui all’art. 67, comma tre l.fall. non sono altro se non eccezioni al principio generale, da sempre esistente, della revocabilità dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, principio espresso dall’art. 67 comma due l.fall.
Un corollario di quanto detto è che la rimessa non sia mai revocabile, anche qualora intervenga in assenza di linea di credito o oltre i limiti di disponibilità consentiti, quando sia accompagnata da una contestuale uscita per importo corrispondente che sia legata teleologicamente all’entrata (c.d. rimessa bilanciata).
La prima delle due rimesse di cui si chiede la revocatoria, eseguita in data 1.9.06 per l’importo di euro 3.611,24, è accompagnata dall’addebito, nella stessa data e per la stessa causale, dell’importo di euro 4.120,20.
Deve pertanto concludersi nel senso della sua non revocabilità, sia che la si voglia considerare bilanciata, come sostiene la banca convenuta, sia che la si consideri, recependo le conclusioni della c.t.u., come “…componente algebrica di una medesima operazione, recante un accredito e un contestuale addebito”.
Quanto invece alla seconda rimessa, intervenuta in data 19.09.06 per l’importo di euro 49.600,00 essendo successiva all’1.06, data in cui la banca ebbe a revocare formalmente gli affidamenti concessi a E. s.r.l. (vedi in proposito l’elaborato del c.t.u.), essa ha natura di atto estintivo di debito liquido ed esigibile.
In quanto tale la sua inefficacia è subordinata al fatto che abbia ridotto in misura consistente e durevole l’esposizione debitoria della fallita.
Quanto alla durevolezza della diminuzione dell’esposizione debitoria del fallito, va premesso che non paiono sostenibili né la tesi che finisce per ravvisarlo nella sola ipotesi in cui la rimessa non sia più seguita da ulteriori operazioni di addebito in conto corrente, né quella che individua il requisito in negativo, rispetto all’ipotesi della rimessa c.d. bilanciata.
Infatti la prima interpretazione finirebbe per limitare la sfera di applicazione della norma al solo caso in cui il versamento rappresenti un (integrale o parziale) definitivo rientro.
L’operazione ermeneutica non è autorizzata da alcun elemento normativo e non v’è dubbio che, se tale fosse stato l’intento del legislatore, l’esplicitazione della regola sarebbe stata doverosa.
La seconda delle due viste tesi, a sua volta, non tiene conto che dalla previsione del requisito della durevolezza non possa che derivare la necessità di un quid pluris rispetto all’assenza del bilanciamento delle operazioni sul conto corrente.
Se così non fosse, infatti, la conseguenza sarebbe l’inutilità dell’introduzione del requisito in parola.
Tale elemento in più va quindi individuato nell’apprezzabile stabilità, nel tempo, dell’effetto solutorio.
Nell’interpretazione del significato dell’aggettivo durevole, quindi, va cercato un punto d’equilibrio tra le viste due impostazioni teoriche, che sfocia nel concetto di stabilità e si risolve nel ritenere che soltanto il versamento (con effetto riduttivo consistente) che non venga compensato da successivi prelevamenti (non inferiore ma non tale da ridurre il ripianamento al di sotto dell’individuata soglia di “consistenza”), abbia l’effetto di determinare la durevole riduzione dell’esposizione debitoria.
Nella determinazione del periodo successivo rilevante ai detti fini, deve essere fatto ricorso, necessariamente, ad un criterio relativo e non assoluto, dipendente dalla valutazione della frequenza delle movimentazioni del conto.
E’ infatti innegabile che lo stesso periodo possa avere una rilevanza diversa se riferito ad un conto caratterizzato da un’intensa movimentazione o piuttosto ad un conto con movimentazioni occasionali.
Ne deriva che qualche giorno di stabilità sarà sufficiente solo in presenza di un conto con rimesse e prelevamenti infra giornalieri, non nell’ipotesi in cui il conto sia caratterizzato da movimentazioni più rarefatte (così Trib. Milano, 27 marzo 2008, in Fall., n.10/08,1223.).
Ciò premesso in linea teorica, va per vero evidenziato come nel caso di specie nessun dubbio possa sussistere quanto alla durevolezza del rientro determinato dal versamento in questione, dal momento che quest’ultimo intervenne su un conto corrente ormai privo di operatività e lasciato acceso soltanto per consentire il rientro del debito in essere (in proposito vedi anche gli accertamenti del consulente d’ufficio).
Delle diverse fattispecie in astratto prospettabili, pertanto, si è realizzata quella in cui la rimessa non sia stata seguita da ulteriori operazioni di addebito in conto corrente, ipotesi che nessuna tesi potrebbe mai escludere da quelle rientranti nella previsione di revocabilità.
Meno scontata è la qualificazione della rimessa come consistente.
Per stabilire quale sia la soglia oltre la quale la restituzione alla banca possa dirsi consistente, deve escludersi che sia possibile riferirsi ad un criterio quantitativo assoluto, che prescinda cioè dagli elementi caratterizzanti la fattispecie concreta.
La premessa pare difficilmente contestabile, rispondendo ad una regola interpretativa imperniata sul buon senso e sulla considerazione, in apparenza convincente, secondo cui la revocabilità in concreto di un atto potenzialmente pregiudizievole per la massa dei creditori va necessariamente fatta dipendere dalla sua idoneità a ledere la par condicio in misura apprezzabile e non trascurabile.
Tuttavia, se l’intento del legislatore fosse davvero soltanto quello di escludere dall’ambito di applicazione della norma di cui all’art. 67 comma 2 l. fall. quelle operazioni che non siano idonee, da un lato a depauperare il patrimonio del fallito in maniera significativa, dall’altra a compromettere in misura altrettanto significativa il diritto dei creditori concorsuali al soddisfacimento imparziale, la revocabilità potrebbe essere esclusa anche in presenza di rimesse per importi rilevanti, in ragione dell’entità complessiva del dissesto, ove quest’ultima sia tale da ridurre l’impatto pregiudizievole della rimessa sulla singola posizione creditoria concorsuale.
In altri termini, l’entità del dissesto finirebbe per condizionare, dall’esterno, la revocabilità della rimessa, il che non pare accettabile, pur considerando l’indubbia indeterminatezza del criterio nominativo.
Più corretto deve quindi ritenersi che il legislatore abbia voluto tutelare la banca rispetto ad obblighi restitutori eccessivi, ed abbia espresso tale esigenza di contenimento sia con la previsione della necessaria consistenza (e durevolezza) della rimessa, sia con la norma di chiusura di cui all’art. 70 comma terzo l. fall., che limita l’obbligo restitutorio alla differenza tra la massima esposizione debitoria nel semestre sospetto e quella cristallizzata al momento di apertura del concorso dei creditori del correntista.
Per escludere la revocabilità della rimessa è pertanto necessario riferirsi esclusivamente a parametri interni al rapporto (di conto corrente) in essere tra la banca e correntista poi dichiarato fallito.
Ne consegue un inevitabile ampio spettro di criteri utilizzabili dal giudic, la cui discrezionalità si rivela inevitabilmente ampia.
Tali parametri possono essere integrati dall’entità massima dell’esposizione debitoria del conto corrente nel semestre antecedente al fallimento, dall’entità media delle rimesse (ed eventualmente anche dei prelevamenti) sul conto, nel periodo sospetto o nel periodo immediatamente antecedente al semestre, dall’ammontare dell’esposizione debitoria nel momento in cui la rimessa della cui consistenza si tratta è stata effettuata, infine dall’importo massimo di cui possa essere richiesta la restituzione, così come individuato applicando il principio di cui all’art. 70, u. co. l.fall.
Nel caso di specie deve ritenersi funzionale alla necessità di valutare la consistenza della rimessa di euro 49.600,00 sia il riferimento all’importo massimo revocabile ex art. 70’ terzo comma l.fall., ammontante ad euro 48.622,05, sia il riferimento alla media delle rimesse intervenute sul conto dell’ultimo periodo di movimentazione fisiologica, prima che, in data 1.6.06, intervenisse la revoca degli affidamenti da parte della banca.
Tale media è stata individuata dal c.t.u., con riguardo al periodo 1.12.05-31.5.06, nella somma di euro 31.340,43.
Quale che sia il parametro utilizzato, deve pertanto ritenersi che la rimessa in questione sia, oltre che durevole, per le ragioni suesposte, anche certamente consistente.
Dalla sua inefficacia, peraltro, discende un obbligo restitutorio della banca corrispondente alla somma di euro 48.622,05 (il consulente tecnico d’ufficio ha accertato che tale è la differenza tra il massimo scoperto di conto nel semestre antecedente al fallimento, pari ad euro 69.582,66 ed il saldo negativo del conto al momento dell’apertura del concorso, pari ad euro 20.960,61), previa necessaria applicazione alla fattispecie della norma di cui all’art 70 comma terzo l. fall.
Va in proposito precisato che la norma va considerata nella formulazione antecedente al decreto legislativo n. 169/07, dal momento che il fallimento di El. s.r.l. risulta essere stato dichiarato anteriormente al 1° gennaio 2008, data a partire dalla quale sono applicabili le norme del c.d. decreto correttivo.
Peraltro, anche nel vigore della norma non ancora corretta (che si riferiva alla revoca di atti estintivi di rapporti continuativi o reiterati o non ancora, come dopo la correzione, alla revoca di atti estintivi di posizioni passive derivanti da rapporti di conto corrente bancario o comunque rapporti continuativi o reiterati9 era considerata certa la vigenza del principio secondo cui l’accipiens non potesse essere condannato a restituire una somma superiore all’entità del complessivo rientro verificatosi all’interno del periodo sospetto.
L’integrazione della norma scaturita dal d. lgs. n. 169/07 va quindi considerata nulla più che una miglior esplicitazione, da parte del legislatore, del principio che esclude che la banca sia tenuta a restituire un importo che sia integrato dalla sommatoria delle singole rimesse di natura solutoria considerate revocabili, ove tale importo ecceda l’entità del complessivo rientro.
Per le ragioni esposte devono essere rigettate la domanda formulata dal fallimento ex art. 67 comma uno n. 2 l. fall. e quella ex art. 67 comma due l. fall. riferita alla rimessa di euro 3.611,24 (la quale tra l’altro, sulla base di quanto testè esposto, non avrebbe il requisito della consistenza).
Deve invece essere dichiarata, con effetto costitutivo, l’inefficacia del pagamento integrato dalla rimessa eseguita in data 19.9.06 per l’importo di euro 49.600,00 in favore di C. s.p.a., che deve essere conseguentemente condannata, in applicazione del principio di cui all’art. 70, u. co. l. fall., a restituire alla curatela del fallimento El. s.r.l. la somma complessiva di euro 48.622,05, maggiorata degli interessi al tasso legale, da calcolarsi dalla data della domanda sino al saldo, e non già della maggior somma ex art. 1224, comma 2 c.c., così come richiesto dal fallimento attore.
E’ noto infatti, che l’azione ex art. 67 l. fall. ha natura costitutiva e non dichiarativa, inerendo ad atti o negozi legittimi efficaci nel momento in cui vengono posti in essere o conclusi.
Ne discende che il debito restitutorio conseguente all’accoglimento dell’azione ha natura di debito di valuta e non di debito valore, e che gli interessi da riconoscersi (nella misura legale) debbano decorrere dalla data di presentazione della domanda giudiziale. Quanto alle spese processuali, poiché la soccombenza della banca convenuta è limitata alla domanda di revocatoria ex art. 67, comma due l. fall. della seconda delle due rimesse indicate dal fallimento, esse vanno compensate nella misura di tre quarti e a C. s.p.a. va condannata a rifondere il restante quarto del fallimento E. s.r.l., secondo quanto liquidato in dispositivo.
Le spese della consulenza tecnica d’ufficio vanno invece poste definitivamente a carico di entrambe le parti in via solidale, stante la funzionalità degli accertamenti svolti sia alle domande attoree sia alle eccezioni della parte convenuta.
P.Q.M.
Il Tribunale di Bergamo, definitivamente pronunciando, rigettata e/o disattesa ogni diversa domanda o eccezione, così provvede:
1)dichiara l’inefficacia del pagamento integrato dalla rimessa eseguita in data 19.9.06 per l’importo complessivo di euro 49.600,00 in favore di C. s.p.a.;
2)conseguentemente, in applicazione della norma di cui all’art. 70 u. co. l. fall., condanna quest’ultima a restituire alla curatela del fallimento E. s.r.l. la minor somma di euro 48.622,05, maggiorata degli interessi al tasso legale, da calcolarsi dalla data della domanda di saldo;
3)compensa le spese processuali nella misura dei tre quarti a condanna C. s.p.a. al pagamento, in favore del fallimento E. s.r.l., del restante quarto, liquidato in complessive euro 3.600,00 per compensi e spese, oltre al rimborso forfettario IVA e c.p.a. come per legge.
4)pone definitivamente a carico di entrambe le parti, in via solidale, le spese della consulenza tecnica d’ufficio.
Così deciso in Bergamo, il 28.4.14