Trib. Rimini 08.10.2014 (sul trattamento dei creditori privilegiati nel concordato preventivo)
Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio il decreto reso dalla Sezione Fallimentare del Tribunale di Rimini in data 08.10.2014.
Nel provvedimento il Collegio ribadisce, in primo luogo, che non può essere ritenuta ammissibile la proposta concordataria che assegna al credito IVA e per ritenute un trattamento pari a quello previsto per i chirografari, perché la stessa si porrebbe così in contrasto con il disposto dell’art. 182 ter l. fall., norma inderogabile che non permette la falcidia di tali crediti ma solo una dilazione del pagamento. A questo proposito, il decreto contiene un’interessante rassegna degli ultimi provvedimenti della Corte di Cassazione
Ma v’è di più.
A parere dei Giudici di Rimini, infatti, dopo l’entrata in vigore della legge n. 122 del 30 luglio 2010, la medesima disciplina valevole per il credito IVA deve ritenersi estesa anche alle ritenute operate e non versate, rinvenendosi la ratio di tale assimilazione non già nella natura del tributo in questione quanto nel meccanismo della titolarità del rapporto, che fa capo a soggetti diversi, rispetto ai quali l’imprenditore è mero sostituto d’imposta.
Infine la nota a mio avviso più interessante. A parere del Tribunale, la proposta di concordato che preveda il pagamento integrale del credito IVA e per ritenute e la contestuale falcidia degli altri crediti privilegiati di grado anteriore all’IVA è comunque inammissibile laddove quest’ultimi sarebbero soddisfatti integralmente in caso di liquidazione ordinaria. Tale ripartizione dell’attivo, infatti, violerebbe i diritti dei creditori che godono di privilegio con grado anteriore rispetto al credito IVA e per ritenute ogni volta che, per i medesimi, l’alternativa fallimentare possa essere ritenuta migliorativa.
E’ la prima volta, per quanto mi consta, che si uniscono i due “paletti” più stretti per la presentazione di una domanda di concordato, ossia il “superprivilegio” IVA ed il confronto concordato/fallimento per i creditori privilegiati. Il risultato, giusto o meno che sia, comporta un limite non trascurabile alle future proposte.
Buona lettura.
Simone Giugni
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TRIBUNALE ORDINARIO DI RIMINI
Sezione fallimentare
Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. Rossella Talia Presidente
dott. Maria Antonietta Ricci Relatore
dott. Dario Bernardi Giudice
ha pronunciato il seguente
DECRETO
Letta la proposta di concordato preventivo presentata dalla società s.r.l. IN LIQUIDAZIONE, con sede legale in Rimini;
PREMESSO CHE
La società s.r.l. ha presentato domanda di concordato preventivo in bianco in data 20 novembre 2013.
Il Tribunale ha assegnato termine fino al 20 marzo 2014 per il deposito del piano e della documentazioni di cui all’ art. 161 l.f. ed ha nominato Commissario Giudiziale il dott.
Su istanza il termine è stato ulteriormente prorogato fino al 19 maggio 2014.
In data 19 maggio 2014 la ha depositato la proposta di concordato preventivo e la documentazione richiamata dell’art. 161 l.f..
Con decreto di fissazione d’udienza ex art. 162 l.f. il collegio ha sollevato rilievi in ordine alla previsione di pagamento non integrale del credito privilegiato per IVA e ritenute non verste de ha chiesto integrazioni al piano. In data 17 e 24 luglio 2014 si sono svolte due udienze.
OSSERVA
La società s.r.l. ha ad oggetto, in via principale, la produzione ed il commercio, all’ingrosso ed al minuto, nazionale ed internazionale, di autoveicoli, di nuovi ed usati, parti di ricambio ed accessori.
Nel piano si legge:
- che in data 19 novembre 2013, un giorno prima di accedere alla procedura di concordato in bianco, la s.r.l. ha concesso in affitto alla società s.r.l., società con unico socio, i rami di azienda aventi per oggetto la commercializzazione di con i marchi , nonché la manutenzione e noleggio degli stessi; il canone è stato convenuto in euro 30.000,00 euro annui, oltre ad euro 40.000,00 per il godimento dell’immobile detenuto a titolo di contratto”precario immobiliare oneroso” a tempo indeterminato;
- che in data 17 ottobre 2013 la società ha venduto alla Immobiliare Di Carlo s.n.c., la residua quota di un mezzo dell’immobile di via , e ciò in adempimento di un contratto preliminare sottoscritto in data 5 luglio 2013 e registrato in data 1° agosto 2013 per il prezzo complessivo di euro 2.478.200,00, oltre IVA, corrisposto in parte in contanti (euro 116.424,16), in parte (euro 2.159.875,84) mediante accollo di mutui a suo tempo erogati da Banca e per la residua parte di euro 225.000,00 da corrispondere in rate semestrali con saldo previsto entro il 30 marzo 2016.
Nel corso della procedura:
- i soci hanno deliberato la modifica della denominazione sociale, in e la messa in liquidazione della società, che di fatto ha cessato ogni attività nel febbraio del 2014 (cfr. verbale di assemblea del 27 febbraio 2014, doc. 1);
- previa comunicazione al Tribunale, la società ha risolto consensualmente un contratto di locazione di un immobile ad uso commerciale sito in Pesaro e restituito lo stesso;
- previa autorizzazione del Tribunale, ha ceduto le quote di partecipazione nella società consortile per il corrispettivo di euro 2.556,67;
- con contratto preliminare sottoscritto in data 15 maggio 2014 la s.r.l. si è impegnata ad acquistare l’intero complesso aziendale e l’intero magazzino della per il prezzo di euro 150.000,00 – somma da cui debbono essere dedotti i canoni corrisposti medio tempore (doc. 8).
Come evidenziato dall’attestatore, la società versa in stato di insolvenza in quanto alla data del 31 maggio 2013 il patrim0onio netto era negativo per oltre 1.784.900,00 euro.
Il piano ha natura sostanzialmente liquidatoria, in quanto prevede la dismissione di tutti gli immobili e di tutti i cespiti attivi oltre all’incasso dei crediti, prospettando:
a) il pagamento integrale delle spese di procedura, delle spese legali, delle spese gestionali della società ed in generale dei debiti prededucibili;
b) il pagamento dei creditori privilegiati generali nei limiti della capienza;
c) il pagamento nella percentuale del 1,5% dei privilegiati incapienti e dei chirografari;
ovvero in via subordinata:
a) il pagamento integrale delle spese di procedura, delle spese legali, delle spese gestionali della società in generale dei debiti prededucibili, nonché del debito per capitale relativo all’IVA e alle ritenute operate e non versate;
b) il pagamento integrale dei creditori privilegiati nei limiti della capienza;
c) il pagamento della percentuale del 1,5% dei privilegiati incapienti e dei chirografari.
Il tempo previsto per l’esecuzione del piano (anche per il pagamento dei chirografari) è di 36 mesi.
E’ attestato che l’attivo, stimato in euro 9.759.181,10, è insufficiente a pagare integralmente i crediti privilegiati (valutati complessivamente euro 11.991.494,00) a fronte di un passivo complessivo di euro 20.468.038,75.
Il piano è corredato dalla relazione giurata ex. art. 160, secondo comma, l.f., volta ad attestare che , tenuto conto del valore di mercato dei beni sui quali insiste la causa di prelazione, il piano prevede la soddisfazione dei crediti privilegiati in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione.
E’ previsto altresì un apporto di finanza esterna da parte di un terzo (parente del liquidatore) il quale si è impegnato a garantire il pagamento di una percentuale pari all’1,5% dei creditori privilegiati incapienti e dei chirografari, a prescindere dall’ammontare complessivo del loro credito (comunque con un impegno non superiore a 250.000,00 euro).
Impegno sottoposto alla condizione sospensiva dell’omologa del concordato.
La proposta formulata in via principale prevede la falcidia del credito IVA e per ritenute operate e non versate.
La proposta subordinata prevede il pagamento integrale di detti certi crediti a fronte della falcidia di tutti gli altri creditori con privilegio generale, ai quali è destinata la percentuale prevista per i chirografari (1,5%).
Non è previsto il ricorso alla c.d. transazione fiscale.
All’udienza del 17 luglio 2014 il Commissario Giudiziale ha dichiarato di avere avuto notizia che avanti al Tribunale delle Imprese di Bologna pende una causa promossa dal creditore nei confronti dei componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale della con domanda di risarcimento danni per euro 1.806.000,00. L’atto di citazione è stato notificato nei primi giorni del mese di aprile 2014.
Il Commissario giudiziale ha inoltre osservato che né il piano né l’attestazione accennano al rischio di fallimento della società di cui la s.r.l. è socio illimitatamente responsabile, con le conseguenze di cui all’art. 147 l.f..
Nella memoria integrativa depositata in data 22 luglio 2014 la società ha richiesto l’ammissione della proposta formulata in via gradata, e, in ordine all’azione di responsabilità promossa da si è limitata a produrre gli atti di causa “affinché chiunque ne possa prendere visione”.
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La proposta di concordato preventivo proposta dalla società non è ammissibile sotto diversi profili.
In primo luogo, quanto alla questione della c.d. falcidi abilità del credito Iva e per ritenute operate e non versate, ritiene questo collegio di confermare il proprio costante orientamento fermo nel ritenere l’intangibilità dei predetti crediti fiscali c.d. speciali. E ciò in ossequio alla posizione assunta dalla Suprema Corte a partire dalle note sentenza n.22931 e 22932 del 4 novembre 2011 della prima Sezione, ove è stato chiarito che l’art. 182 ter l.f., laddove prevede al primo comma che la proposta di concordato preventivo, quanto all’IVA, può configurare solo la dilazione di pagamento, esclude la falcidia concordataria sull’IVA e precisa che trattasi di “norma avente natura eccezionale, che attribuisce al credito un trattamento peculiare ed inderogabile”. Il supermo collegio ha evidenziato inoltre la portata sostanziale dell’art. 182 ter, nella parte che qui interessa, in quanto norma che si applica ad ogni forma di concordato, ancorché proposto senza ricorrere all’istituto della transazione fiscale, attenendo allo statuto concorsuale del credito IVA.
Sono condivisibili le argomentazioni svolte, nel senso che “non avrebbe alcuna giustificazione (…) che il legislatore abbia inteso lasciare alla scelta discrezionale del debitore assoggettarsi all’onere dell’integrale pagamento dell’IVA (…), optando per la transazione fiscale, oppure avvalersi della possibilità di proporne un pagamento parziale decidendo per il concordato senza transazione”.
Tale lettura è stata successivamente confermata dalla quinta Sezione (sentenza n. 7667 del 16 maggio 2012), che ha precisato che “Le entrate derivanti da un’applicazione di un’aliquota uniforme, valida per tutti gli Stati membri, agli imponibili relativi a detto tributo – secondo la direttiva n. 2006/112/Ce del Consiglio del 28 novembre 2006, la decisione n. 2007/436/CE adottata dal Consiglio in data giugno 2007, e la sentenza della Corte di Giustizia 29 marzo 2012, in causa C-500/10, Belvedere Costruzioni srl – costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio dell’Unione europea e quindi, il relativo credito, attenendo comunque ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, non può essere oggetto di accordo per un pagamento parziale neppure ai sensi dell’art. 182 ter nella versione introdotta dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n.5”.
Così come anche dalla Sezione Terza (Sentenza n. 44.283 del 31 ottobre 2013), che in parte motiva afferma “(…) il debitore pur nella stretta della propria condizione finanziaria e patrimoniale – propria quantomeno della situazione di crisi – ha di fronte a sé una pluralità di soluzione, a partire dalla transazione fiscale fino al piano che, indicando la prioritaria soddisfazione del debito IVA (peraltro avente rango privilegiato), rispetto a tutti gli altri (e beninteso con le risorse idonee al pagamento anche di tutti gli altri crediti aventi grado potiore rispetto al credito IVA, onde l’irrilevanza e l’infondatezza di ogni richiamo al principio della par condicio dei creditori) raggiunga anche l’approvazione dei creditori e la conseguente omologazione del tribunale, fatti giuridici idonei a consentire la successiva esecuzione dei pagamenti senza falcidie. Questa decisione, resa in materia penale, ha concluso ritenendo sussistente il reato di omesso versamento dell’IVA in presenza di un debito scaduto e non pagato anche quando il debitore faccia ricorso al concordato preventivo.
Da ultimo è intervenuto la prima Sezione con la sentenza n. 14.447 del 25 giugno scorso, che ha ribadito la natura sostanziale dell’art. 182 ter, primo comma, l.f., quale norma eccezionale in grado di derogare, in determinati casi, ai principi generali in materia di graduazione di crediti.
“L’art. 182 ter attribuendo al credito IVA, nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, un trattamento peculiare ed inderogabile dall’accordo delle parti, non produce per ciò solo l’effetto di incidere sul trattamento di tutti gli altri crediti (per i quali continua a valere l’ordine di graduazione), ma sul solo trattamento di quel credito, in quel particolare contesto procedurale. Tale scelta, che certamente incide sull’accordo della parte diretta a trovare soluzione della crisi al di fuori della liquidazione fallimentare, ponendovi dei limiti, rientra però nella discrezionalità del legislatore e ordinario e non può essere sindacata in questa sede”.
Non vi è ragione di disattendere questo orientamento, ormai consolidato, dei giudici di legittimità, attesa l’approfondimento e la completezza delle motivazioni addotte in punto di diritto. Né vale a indebolire tale interpretazione il rilievo che tutte le decisioni sopra menzionate fanno riferimento esclusivamente al credito IVA (tributo che costituisce risorsa propria dell’unione europea) e non anche alle ritenute operate e non versate, dal momento che il legislatore è intervenuto nel 2010 (con il decreto c.d. legge n. 122 del 30 luglio 2010) proprio per precisare che la proposta di concordato preventivo può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento per le ritenute operate e non versate, oltre che per l’IVA.
La ratio di tale assimilazione non va ricercata nella natura del tributo (evidente che le ritenute non rientrano tra i tributi che costituiscono risorse proprie dell’Unione europea), ma nel meccanismo della titolarità del rapporto d’imposta, che fa capo a soggetti diversi, rispetto ai quali l’imprenditore è mero sostituto d’imposta.
Le ritenute d’acconto sono somme di spettanza di terzi, che il sostituto trattiene allo scopo di riversarle allo Stato. Le ritenute operate dal sostituto d’imposta a titolo di acconto sono utilizzate in detrazione dal sostituto, in diminuzione del proprio debito tributario. Sussistono dunque chiare analogie con l’imposta sul valore aggiunto che rendono ragionevole la disparità di trattamento rispetto al trattamento degli altri tributi in caso di accesso alle procedure concordate in soluzione della crisi d’impresa (cfr. Relazione illustrativa al Decreto legge n. 78/10).
In conclusione, tenuto conto dei principi di diritto sopra richiamati, la prima proposta, formulata in via principale, che assegna al credito IVA e per ritenute un trattamento pari a quello previsto per i chirografari (pagamento nella percentuale dell’1,5%), non può essere dunque ritenuta ammissibile, in quanto si pone in netto contrasto con il disposto dell’art.182 ter l.f. quale norma inderogabile, che non permette falcidia di tale credito, ma solo una dilazione del pagamento.
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Anche la proposta subordinata, che pure prevede il pagamento integrale di IVA e ritenute, non è tuttavia ammissibile. Questa seconda soluzione infatti, a fronte dei seguenti valori:
- attivo disponibile in sede concordataria: euro 9.116.618,00
- passivo complessivo: euro 12.528.704,00
Destina tutto l’attivo a copertura delle spese in prededuzione (euro 350.189,00), dei crediti ipotecari (euro 6.387.094,00), del credito IVA e per ritenute (per complessivi euro 1.069.485) e di una parte dei lavoratori subordinati, mentre sottopone a pesantissima falcidia (assimilandoli ai chirografari) gli altri privilegiati di grado anteriore all’IVA, per complessivi euro 2.232.314,00 fra i quali una parte dei lavoratori dipendenti, i professionisti, gli agenti, le imprese artigiane e cooperative, nonché gli Istituti di previdenza.
(…)
Ritiene il Collegio che nel caso di specie assumono rilevanza anche ulteriori profili di ammissibilità del piano, avuto riguardo alla condotta del debitore ed agli obblighi informativi che su di essi incombono, obblighi il cui rispetto assurge a vera e propria precondizione per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo.
Il Commissario giudiziale nel corso della prima udienza ha infatti informato il collegio che uno dei principali creditori, la Banca ha citato in giudizio davanti il Tribunale delle Imprese gli amministratori e i sindaci della società al fine di far valere la responsabilità degli stessi ex art. 2394 e 2407 c.c..
Dalla lettura dell’atto di citazione si evince che viene addebitata agli organi di amministrazione e di controllo della società di avere indebitamente sopravvalutato l’attivo nei bilanci d’esercizio redatti fino all’anno 2012, con intento di agevolare l’accesso al credito bancario e mantenere gli affidamenti in corso. La domanda di risarcimento ammonta ad euro 1.806.000,00 euro.
L’atto di citazione è stato notificato nei primi giorni dell’aprile del corrente anno.
Le doglianze mosse dall’operato degli organi della società debitrice possono avere una indubbia rilevanza sul giudizio che il Tribunale è tenuto a effettuare in questa fase, tenuto conto dell’interesse dei creditori ad essere informati su tutte le circostanze che possono influenzare il voto.
Il Commissario giudiziale ha correttamente evidenziato che, se da un lato è vero che l’azione promossa da è rivolta contro persone fisiche (gli amministratori e i sindaci) e pertanto non comporta di per sé alcuna incidenza nelle poste attive o passive del concordato, èn pur vero tuttavia che in caso di fallimento il curatore potrebbe agire a favore della massa facendo valere le medesime ragioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali, con prospettive di possibile recupero dell’attivo.
Nonostante il Tribunale, alla luce delle comunicazioni del Commissario, abbia concesso termine per permettere una adeguata integrazione del piano e dell’attestazione, la società si è limitata a produrre gli atti di causa al mero scopo di permettere a “chiunque di poterne prendere visione”. Nessun particolare approfondimento è stato svolto nel piano, né sotto il profilo giuridico, in ordine alla fondatezza della domanda e della possibilità di recupero di attivo, né sotto il profilo contabile con riferimento agli addebiti specifici.
L’attestatore si è limitato a ribadire di aver aderito alla scelta prudenziale, operata dal piano, di non considerare in alcun modo, quale attivo disponibile, l’eventuale ricavato da potenziali azioni di responsabilità esercitabili nei confronti degli amministratori.
La giurisprudenza di merito ha già avuto modo in più occasioni di precisare che “la mancata indicazione della domanda di concordato preventivo di circostanze che giustificano l’esperimento di un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori impedisce ai creditori di esprimere una valutazione comparativa di convenienza della proposta di concordato rispetto al fallimento” (Trib. Monza 2 novembre 2011, cit.; Corte App. Bologna, 25 febbraio 2013).
Tale condotta assume rilevanza quale atto in frode ai creditori. E’ pur vero, da un lato, che in sede di riforma concorsuale sono stati eliminati i requisiti della meritevolezza e della regolare tenuta della contabilità ai fini dell’ammissione alla procedura, dall’altro, tuttavia, il legislatore, continuando a prevedere con l’art. 173 l.f. l’apertura d’ufficio del procedimento per la revoca dell’ammissione del concordato preventivo nel caso in cui il debitore abbia “occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commessi altri atti di frode”, ha chiaramente individuato un nucleo di fatti o omissioni connotati dalla fraudolenza incompatibili con la prosecuzione della procedura.
Evidentemente gli atti che giustificano la revoca dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo, precludono anche ex ante l’apertura della medesima procedura, qualora emergano prima dell’adozione del provvedimento formale di ammissione.
Con riferimento a tali “atti in frode” la Suprema corte ha recentemente precisato che “non si può prescindere dall’accertamento che il comportamento del proponente è stato posto in essere con dolo (Cass. n. 17038 del 2011) consistente nella mera consapevolezza di avere taciuto nelle proposta circostanze rilevanti ai fini dell’informazione ai creditori (Cass. n. 17038 del 2011), non identificandosi con quelle di cui agli artt. 64 e seguenti della medesima legge fallimentare, ma occorrendo che esse siano state inizialmente ignorate dagli organi della procedura e dai creditori e successivamente accertate dal Commissario giudiziale (Cass. n. 23387 del 2013)”.
Aggiungendo anche che “la disposizione in esame non esaurisce il suo contenuto precettivo nel richiamo al fatto scoperto perché ignoto nella sua materialità, ma ben può ricomprendere il fatto non adeguatamente e compiutamente esposto in sede di proposta di concordato ed allegati, e che quindi può dirsi accertato dal Commissario, in quanto individuato nella sua completezza e rilevanza ai fini della corretta informazione dei creditori, solo successivamente (Cass. sez. I, 26 giugno 2014 n. 14552).
Come detto, nel caso di specie nonostante il Commissario giudiziale abbia informato il tribunale della pendenza della causa promossa da un creditore contro gli organi sociali, la società istante non ha ritenuto di dover integrare conseguentemente il piano ed effettuare tutti gli approfondimenti e le valutazioni che la particolarità del caso imponeva, privando così di fatto i creditori di fondamentali elementi di conoscenza.
Gravemente carente sul punto si è dimostrata anche l’attestazione, avendo il professionista acriticamente aderito alle scelte della società ricorrente, senza giustificare in alcun modo le motivazioni di tale conclusione.
La condotta degli amministratori doveva essere portata a conoscenza dei creditori e debitamente vagliata nel piano al fine di far emergere possibili profili di responsabilità azionabili dai creditori, o dal curatore, e così offrire ai creditori una adeguata informazione in ordine a tutti i rimedi esperibili per il recupero di attivo, e permettere una adeguata scelta tra gli esiti concorsuali possibili.
Nel caso di specie non solo è mancata l’informazione, dal momento che nulla il piano e l’attestazione hanno detto riguardo (sintomo ulteriore dell’inidoneità in concreto delle verifiche fatte dal professionista) ma neanche la società ha tentato di emendare o integrare il piano dopo l’emersione di tale condotte a seguito della comunicazione fatta dal Commissario Giudiziale.
Tale grave carenza rende di per sé idoneo il piano rispetto al fine cui è destinato e dunque inammissibile lo stesso
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Ulteriori carenze del piano e dell’attestazione sono state evidenziate dal Commissario Giudiziale nelle osservazioni depositate in data 24 luglio. In particolare assumono rilevanza quali ulteriori profili di inammissibilità:
- l’erronea ed illogica informativa data ai creditori in ordine al criterio utilizzato per la stima degli immobili: nel piano si legge infatti che in caso di liquidazione da eventuale fallimento il realizzo da vendite immobiliari sarebbe inferiore di 2.278.615 euro rispetto al prezzo di realizzo stimato in concordato, e ciò senza giustificazione alcuna di tale assunto, in difetto di offerte irrevocabili di acquisto, e tenuto conto che in sede di esecuzione del concordato la liquidazione avvenire mediante l’utilizzo di procedure competitive, al pari di quanto avviene in sede di liquidazione fallimentare; peraltro anche in questo caso l’attestazione ha recepito acriticamente le stime poste al fondamento del piano;
- e la totale inadeguatezza delle valutazioni fatte con riguardo al rischio del fallimento della: quale socio illimitatamente responsabile della società società in stato di insolvenza, e la grave omissione di informazione ai creditori con riferimento alle conseguenze giuridiche e finanziarie connesse a tale evenienza (il Commissario ha evidenziato l’inadeguatezza della soluzione proposta basata sulla mera appostazione di un fondo rischi di 120.000,00).
Tenuto conto del negativo giudizio in ordine alla fattibilità giuridica del piano, di tutti gli ulteriori rilievi mossi al piano e alla relazione dell’attestatore, nonché delle gravi omissioni informative emerse nel corso della procedura la proposta di concordato preventivo della società deve essere dichiarata inammissibile.
PQM
Visto il combinato disposto dagli artt. 160,161 e 162 l.f.,
dichiara inammissibile il piano di concordato preventivo proposto alla società con sede legale in Rimini .
Così deciso in Rimini nella camera di consiglio del 31 luglio 2014.
L’Estensore
Dott.ssa Maria Antonietta Ricci
Il Presidente
Dott.ssa Rossella Talia