App. Venezia 27.10.2014 (sui rapporti tra concordato preventivo ed istanza di fallimento)

Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la sentenza resa dalla Corte di Appello di Venezia in data 16.10.2014 e pubblicata il 27.10.2014.

Nella stessa si prende nuovamente in esame il rapporto che lega la procedura di concordato preventivo alla contemporanea pendenza (in questo caso dinanzi ad un giudice diverso) dell’istanza di fallimento.

Il Collegio veneziano, anche dopo che la Prima Sezione della Corte di Cassazione (evidentemente non convinta da quanto affermato dalla nota sentenza n. 1521/2013) ha rimesso la questione dinanzi alle Sezioni Unite con ordinanza n. 9476 del 30.04.2014, scarta comunque la tesi della connessione per pregiudizialità tecnico – giuridica tra le due domande, ma lo fa soprattutto al fine di affermare che il procedimento per la dichiarazione di fallimento non deve subire l’arresto previsto dall’art. 295 c.p.c. per effetto della pendenza di un procedimento di concordato preventivo.

Se i procedimenti pendono dinanzi allo stesso giudice, infatti, la loro trattazione simultanea è la soluzione scuramente più funzionale ad assecondare una soluzione concordata dell’insolvenza.

Anche nel caso in cui il procedimento di concordato preventivo e l’istruttoria prefallimentare pendano innanzi a giudici diversi, però, la risposta dell’interprete alla necessità di coordinamento delle procedure non può che far ricorso agli istituti del processo che regolano la contestuale pendenza di procedimenti connessi.

Quindi, “se è vero che, qualora sia radicato il procedimento di concordato preventivo, la fase dell’istruttoria prefallimentare non va sospesa ai sensi dell’art. 295 c.p.c. difettando la pregiudizialità in senso tecnico – insegnano le sezioni unite – ciò tuttavia non esclude si possa parlare di connessione per pregiudizialità ovvero delle sopra ricordate diverse ipotesi di connessione, allorché tale categoria del processo ordinario sia utilizzata dall’interprete per l’attuazione del simultaneus processus in relazione a procedimenti incardinati innanzi a giudici diversi”. “Il giudice adito per secondo non può limitarsi a constatare la prevenzione, ma deve, per l’appunto, verificare l’ambito della propria e dell’altrui competenza, vale a dire che il primo giudice sia competente per la causa proposta per seconda come per la causa già avanti a lui pendente”.

Buona lettura.

Simone Giugni

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 LA CORTE D’APPELLO DI VENEZIA

Sezione prima civile

 

Riunita in camera di consiglio nelle persone dei magistrati

dott. VITTORIO ROSSI                                       Presidente

dott.ssa DANIELA BRUNI                                  Consigliere

D.ssa PAOLA DI FRANCESCO                          Consigliere rel. ed est

 

SENTENZA

Nella causa n. 775/2014 R.G. promossa ex art. 18 l. fall.

da

I.C. cf xxxxxxxxxxx, in proprio e quale liquidatore della E. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE e da S.M., in qualità di socio della E. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, rappresentati e difesi dall’avv. Luca Pavanetto, giusta procura a margine del ricorso depositato il 18 aprile 2014;

 

RICORRENTI

contro

FALLIMENTO F. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del curatore dott. G. D., rappresentato e difeso dagli avv.ti Michele Malcangio e Antonio Ferrarelli, giusta procura a margine della comparsa di risposta depositata il 13 giugno 2014;

 

RESISTENTE

e contro

FALLIMENTO C. S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, in persona dei curatori, non costituiti in giudizio;

 

RESISTENTE

oggetto: reclamo ex art. 18 fall. avverso la sentenza dichiarativa di fallimento n. 51/2014 del tribunale di Treviso

 

Causa trattate alle udienza  del 26 giugno 2014 e del 2 ottobre 2014

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il fallimento della E. s.r.l. in liquidazione (in seguito E.) è stato dichiarato dal tribunale di Treviso con sentenza n. 51 depositata il 19 marzo 2014, a seguito di ricorso della curatela del Fallimento C. s.p.a. in liquidazione, creditrice della somma di euro 123.608,00 portata dal decreto ingiuntivo n. 495/13 emesso dal tribunale di Treviso e diventato irrevocabile.

Nella decisione oggetto di questo procedimento ex art. 18 L. fall. il giudice di prime cure ha affermato la propria competenza, reputando irrilevante, giusta il deposito dell’art. 9, co. 2 L. fall, il trasferimento della sede della E. da Conegliano (Tv) a Jesolo (Ve), in quanto avvenuto il 28 novembre 2013, cioè nell’anno anteriore alla data di deposito (30 gennaio 2014) del ricorso ex art 6 l. fall.

Ha poi osservato che dalla visura CCIAA relativa alla E. la stessa aveva presentato il 3 dicembre 2013 domanda di concordato prenotativo innanzi al tribunale di Venezia, con richiesta di concessione del term9ne di 120 giorni per il deposito della proposta del piano.

Sul rilievo che la domanda di ammissione alla procedura concordataria risultava “irrituale e dilatoria”, in ragione della competenza del Tribunale di Treviso a conoscere anche della domanda di concordato preventivo ex art  161 co. 1 l. fall., il giudice a quo ha ritenuto di non sospendere il procedimento per la dichiarazione di fallimento in attesa della pronuncia del tribunale di Venezia, attesa la palese incompetenza di questo, ai sensi dell’art. 161 co. 1 l. fall. Né ha ritenuto di dover attendere che la E. depositasse analoga domanda per accedere alla procedura di concordato innanzi al tribunale competente, pervenendo in tal m odo alla dichiarazione di fallimento della società in questione.

 

Quest’ultima, non costituitasi in giudizio nella fase prefallimentare svoltasi avanti al tribunale di Treviso, ha chiesto, unitamente al socio Sergio Menegazzo, la revoca della sentenza impugnata ex art. 18 l. fall., per i motivi di seguito in sintesi esposti, che nn attengono al merito del provvedimento impugnato, ma involgono unicamente la questione della competenza del tribunale di Treviso e il tema del coordinamento tra la procedura di concordato preventivo pendente innanzi al Tribunale di Venezia e il procedimento per la dichiarazione di fallimento radicato avanti al tribunale trevigiano.

 

i) Violazione dell’art. 161 l. fall., atteso il rapporto di pregiudizialità esistente tra il procedimento di concordato preventivo con riserva pendente innanzi al tribunale di Venezia e il procedimento per la dichiarazione di fallimento successivamente radicato avanti il tribunale di Treviso.

 

ii) “Irragionevolezza della motivazione e carenza dell’apparato argomentativo”: il tribunale di Treviso non ha esaustivamente motivato la propria decisione , avendo tralasciato di considerare, tra le altre due cose, l’esigenza della E. di proporre una domanda di concordato di gruppo, coordinata con quella di altre società ad esse collegate (S.S. s.r.l. in liquidazione, G. s.r.l. in liquidazione, S. in liquidazione, F.I. s.r.l. in liquidazione), avuto riguardo alla circostanza che la capogruppo aveva sede legale a Jesolo e v’erano, appunto, forti elementi di collegamento e di “condizionamento” tra le società (segnatamente, i rapporti di debito-credito infragruppo e i numerosi contratti di affitto/retrocessione di azienda posti in essere nel tempo fra le stesse).

 

iii) “Incompetenza territoriale. Violazione dell’art. 39 c.p.c. in punto di litispendenza. Violazione delle regole dettate in punto di conflitto positivo di competenza. Violazione dell’art. 9, 9 bis e ter L F”. Le parti reclamanti deducono in palese contrasto della sentenza impugnata con la preventiva valutazione effettuata dal tribunale di Venezia in punto di competenza territoriale inderogabile, avendo detto giudice, preventivamente adito, accertato i presupposti sostanziali e della proposta della F. alla procedura di concordato con riserva. Lamentano poi, che il tribunale di Treviso non abbia chiesto il regolamento di competenza alla suprema corte, violando in tal modo l’art. 9- ter c.p.c.

 

La curatela ha rilevato anzitutto, la preclusione della proposizione in sede di reclamo ex art. 18 l. fall. delle questioni inerenti alla competenza del giudice a quo, per effetto della operatività dell’art. 38 c.p.c., non avendo la E. tempestivamente formulato l’eccezione di incompetenza, in quanto non costituitasi (e, invero, neppure comparsa) nel primo grado del giudizio.

Ha quindi dedotto la irrilevanza degli assunti dei reclamanti in ordine alle ragioni di natura “strategica” che avrebbero determinato la società a presentare una domanda di concordato di gruppo – di fatto, mai depositata – e la palese incompetenza del tribunale di Venezia, in ragione della inderogabilità dei criteri di attribuzione della medesima, ai sensi dell’art. 9 l. fall.

 

Ai fini di una corretta ricostruzione della vicenda sotto il profilo fattuale, non è superfluo rilevare che innanzi al tribunale di Venezia non è pendente un concordato preventivo di gruppo, bensì sono pendenti distinte procedure riguardanti la E. e altre società a d essa collegate in virtù dei rapporti descritti in narrativa. Il procedimento di concordato preventivo che interessa la società reclamante versa, allo stato, in una sorta di quiescenza, poiché sulla istanza depositata in data 1° aprile 2014, volta a ottenere la proroga dell’originario termine di 120 giorni concesso il 15 gennaio 2014 per il deposito del piano e della proposta, non è stato emesso alcun provvedimento.

 

Tanto premesso, i motivi di reclamo devono essere esaminati congiuntamente, per la stretta connessione che li avvince.

 

L’esame di tutte le questioni di competenza è precluso in questo procedimento per effetto della mancata proposizione della relativa eccezione innanzi al giudice a quo (Cass. civ., sez. I, 02.04.2012, n. 5257: “Nel giudizio di reclamo avverso sentenza dichiarativa di fallimento valgono le regole dei mezzi di impugnazione ma nel grado di impugnazione devolutivi non possono essere dedotti eccezioni (nella specie si trattava di eccezione di incompetenza; dalle quali la parte era decaduta nel giudizio davanti al tribunale”).

Una prima immediata conseguenza è che il collegio non può rimettere in discussione la competenza del tribunale di Treviso e dichiarare il fallimento della E.

 

Tale preclusione non può che fatalmente riverberarsi sulla problematica inerente alla mancata proposizione del conflitto positivo virtuale di competenza, stando al consolidato orientamento della suprema corte che iscrive il problema del coordinamento di procedure concorsuali alternative, pendenti innanzi ai giudici (i.e. uffici giudiziari) diversi, nel novero delle questioni di competenza, che altrimenti di conflitto virtuale positivo non avrebbe senso parlare.

Si consideri, d’altronde, che la materia è governata da una regola assai risalente. Utilizzando le parole di un autore, si tratta del “principio della pregiudizialità della questione di competenza nel conflitto tra le procedure pendenti innanzi a differenti tribunali, a termini del quale tale conflitto va risolto a favore della procedura, quale che essa sia e indipendentemente dal momento della sua instaurazione radicata innanzi al giudice effettivamente munito di competenza” (cfr. Cass. civ., sez. I, 28.08.1997, n. 8152, nello stesso senso Cass. civ. [ord], sez. IV, 13-07-2011, n. 15440, nonché la recentissima Cass. civ. Sez. I, 25-09-2014, n. 20283, che tale principio ribadisce in una fattispecie del tutto analoga a quella di cui si discorre).

 

Solo per completezza, va osservato che il meccanismo di operatività dell’art. 9 ter l. fall. presuppone la pendenza innanzi a giudici diversi, ma egualmente competenti ex art 9 l. fall., di procedimenti concorsuali riguardanti un soggetto che svolga attività imprenditoriale in luoghi diversi, non  anche il caso in cui le procedure concorsuali riguardano uno stesso soggetto che svolga un’unica attività d’impresa e abbia trasferito la sede, poiché in tale seconda ipotesi entra in gioco l’art. 9 l. fall. (per tutte, Cass. n. 10680/2009).

 

Neppure l’argomentazione fondata sulla pregiudizialità della procedura di concordato con riserve pare persuasiva.

 

Come noto, il tema della contestuale pendenza di un procedimento per la dichiarazione di fallimento e di un procedimento volto all’ammissione dell’imprenditore al concordato preventivo (anche prenotativo, com’è accaduto nel caso che occupa) è stato di recente rivitalizzato dalla prima sezione della suprema corte nella ordinanza di rimessione alle sezioni unite 30 aprile 2014, n. 9476, che ha posto in discussione ciò che in ordine al coordinamento tra le due procedure pareva assodato dopo la pronuncia n. 1521/2013, vale a dire il superamento del principio della c.d. prevalenza del concordato e del correlativo veto di dichiarare il fallimento prima della definizione del procedimento concorsuale minore.

 

L’ordinanza n. 9476/2014 scarta in maniera netta la tesi della connessione per pregiudizialità tecnico-giuridica tra le due domande, ma – a ben vedere – al solo fine di chiarire che il procedimento per la dichiarazione di fallimento non deve subire l’arresto previsto dall’art. 295 c.p.c. per effetto della pendenza di un procedimento di concordato preventivo (“Allorché penda anche domanda di concordato l’istanza (o richiesta) di fallimento non è certo sospesa ai sensi dell’art. 295 c.p.c. difettando – come insegnano le sezioni unite – il rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica tra le due domande”).

 

Non è inutile, poi, osservare che detta pronuncia fu occasionata dalla pendenza dei procedimenti in parola innanzi al medesimo giudice, sicché la perfetta tenuta delle condivisibili affermazioni di quella ordinanza deve essere vagliata riguardo al diverso caso in cui i procedimenti pendono innanzi a tribunali diversi.

 

Né può tralasciarsi di considerare che il riaffermato criterio della prevalenza si traduce inevitabilmente, in termini processuali, nella categoria della connessione per pregiudizialità, così che il problema del coordinamento tra i due procedimenti concorsuali in parola pendenti innanzi allo stesso giudice, certamente legati da parziale identità dell’oggetto e/o della causa petendi, viene risolto – stando a quanto sembra evincersi dall’ordinanza n. 9476/14 – mediante il ricorso al simultaneus processus, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., come posto in luce da una parte della dottrina.

 

Sarebbe arduo sostenere

 

Che l’argomentare della suprema corte nella citata ordinanza non riposi sul presupposto che i due procedimenti pendano innanzi allo stesso ufficio giudiziario, ponendo mente al fatto che il reticolo di norme in base alla quale si afferma la permanente vigenza, anche dopo le recenti modifiche dell’ordito normativo, del principio della c.d. prevalenza (artt. 162, co 2, 173 e 180 l. fall.) non fa il benché minimo cenno alla diversa fattispecie di procedimenti pendenti innanzi a giudici diversi.

 

E invero, non sorgono particolari problemi di rito nella sopra indicata ipotesi della pendenza delle procedure in questione innanzi allo stesso giudice. Non è questa la sede per dilungarsi sull’argomento, se non per affermare che la trattazione simultanea dei procedimenti è senza dubbio funzionale ad assecondare una soluzione concordata della insolvenza, come si evince dall’art. 161 co. 10, l.fall., che prevede la possibilità di respingere il ricorso per la dichiarazione di fallimento, nella fase preliminare della ammissione alla procedura.

Il meccanismo della riunione di procedimenti connessi vuoi per pregiudizialità vuoi per parziale identità della causa petendi o dell’oggetto è dunque idoneo a evitare il ricorso all’istituto della sospensione ex art. 295 c.p.c. del procedimento per la dichiarazione di fallimento.

 

Anche nel caso in cui il procedimento di concordato preventivo e l’istruttoria prefallimentare pendano innanzi a giudici diversi, la risposta dell’interprete alla necessità di coordinamento delle procedure non può .

che far ricorso agli istituti del processo che regolano la contestuale pendenza di procedimenti connessi.

 

Se è vero che, qualora sia radicato il procedimento di concordato preventivo, la fase dell’istruttoria prefallimentare non va sospesa ai sensi dell’art. 295 c.p.c. difettando la pregiudizialità in senso tecnico – insegnano le sezioni unite – ciò tuttavia non esclude si possa parlare di connessione per pregiudizialità ovvero delle sopra ricordate diverse ipotesi di connessione, allorché tale categoria del processo ordinario sia utilizzata dall’interprete per l’attuazione del simultaneus processus in relazione a procedimenti incardinati innanzi a giudici diversi.

 

Malgrado le rilevanti diversità dei rispettivi oggetto del processo e la solo parziale identità dei soggetti, secondo alcuni si è in presenza della fattispecie di cui all’art. 39 co 2, c.p.c.: si è infatti consolidata una giurisprudenza che afferma la continenza – come è noto, rilevabile d’ufficio – non solo nell’ipotesi in cui tra due cause, caratterizzate da identità di soggetti e di titolo, vi sia una differenza meramente quantitativa dell’oggetto, ma anche quando tra le stesse cause sussista un rapporto di interdipendenza, come nel caso in cui siano prospettate, con riferimento ad un unico rapporto negoziale, domande contrapposte o in relazione di alter natività e caratterizzate da una coincidenza soltanto parziale della causa petendi (c.d. continenza qualitativa o logica) nonché qualora le questioni dedotte con la domanda anteriormente proposta costituiscono il necessario presupposto, stante il nesso di pregiudizialità logico-giuridica, per la definizione del giudizio successivo (per tutte Cass. civ. [ord], sez. III, 22-03-2005, n. 6159).

 

Tuttavia, nell’inoltrarsi in questo percorso, è necessario tener conto del principio sancito dalla suprema corte in numerose decisioni (per tutte, Cass. sez. un, 13 luglio 2006, n. 15905) il giudice adito per secondo non può limitarsi a constatare la prevenzione, ma deve, per l’appunto, verificare l’ambito della propria e dell’altrui competenza, vale a dire che il primo giudice sia competente per la causa proposta per seconda come per la causa già avanti a lui pendente.

 

Nel caso in esame, dunque, il tribunale di Treviso, nonostante abbia fatto ricorso alla sbrigativa e abusata formula della “natura irrituale e dilatoria” della domanda di concordato preventivo con riserva depositata dalla E. avanti a tribunale di Venezia, ha correttamente dichiarato il fallimento, avendo verificato il palese difetto di competenza del giudice preventivamente adito.

 

Il reclamo va dunque respinto.

 

In forza alla regola posta dall’art. 91 c.p.c., le parti reclamanti sono tenute alla rifusione, in favore della curatela, delle spese di lite, liquidate come al dispositivo.

 

Dall’integrale rigetto di questa impugnazione discende, ai sensi dell’art. 13 comma I-quater, d.p.r. n. 115/2002, l’obbligo dei reclamanti di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello già versato.

 

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Venezia, definitivamente decidendo sul reclamo proposto ex art. 18 l. fall. da I. C. in proprio e quale liquidatore della E. s.r.l. in liquidazione e da S.M., nei confronti del Fallimento della E. s.r.l. in liquidazione e dei curatori del Fallimento C. in liquidazione s.r.l., avverso la sentenza dichiarativa di fallimento n. 51/2014 del tribunale di Treviso,

 

- rigetta il reclamo:

- condanna le parti reclamanti alla rifusione delle spese di lite in favore del Fallimento E. s.r.l. in liquidazione, quantificate nella somma di euro 7.300,00 per compenso, oltre al rimborso forfettario e agli oneri fiscali e previdenziali:

da atto dell’obbligo delle parti reclamanti di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del comma I-bis del citato art. 13.

Venezia, 16 ottobre 2014

 

            Il consigliere estensore                                  Il Presidente

                         Paola Di Francesco                                        Vittorio Rossi

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