Cass. 20.01.2015 n. 892 (sugli effetti del decreto di esecutività dello stato passivo)

Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la sentenza n. 892 resa dalla Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione in data 20.01.2015 (relatore Dott. Sergio Di Amato).

Il provvedimento contiene un’attenta analisi dell’efficacia degli effetti propri del decreto di esecutività dello stato passivo.

Dopo aver ribadito l’orientamento secondo il quale In sede di ripartizione dell’attivo del fallimento sono oggetto della cognizione del giudice delegato solo le questioni relative alla graduazione dei crediti ed all’ammontare della somma distribuita, restando esclusa la proponibilità, in tale sede, di ogni altra questione relativa all’esistenza, qualità e quantità dei crediti e dei privilegi, in quanto riservata in via esclusiva al procedimento dell’accertamento del passivo (tra le molte e da ultimo Cass. 10 giugno 2011, n. 12732), la Corte afferma che, ancorché non possa parlarsi propriamente di titolo esecutivo, il decreto di esecutività dello stato passivo svolge nella procedura fallimentare la stessa funzione svolta dal titolo esecutivo giudiziale nell’esecuzione individuale e, cioè, determina la misura del credito che può essere soddisfatta coattivamente.

Ne consegue che anche l’interpretazione del decreto di esecutività dello stato passivo, come quella del titolo esecutivo giudiziale nell’esecuzione individuale, si risolve nell’apprezzamento di un fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità se esente da vizi logici o giuridici, e non consiste in una interpretazione che si risolve nella ricerca del significato oggettivo della regola o del comando di cui il provvedimento è portatore e che richiede l’applicazione, in via analogica, dei canoni ermeneutici prescritti dall’articolo 12 e seguenti delle disposizioni sulla legge in generale, in ragione dell’assimilabilità per natura ed effetti dei provvedimenti giurisdizionali agli atti normativi (per tale assimilazione v. Cass. SS.UU 9 maggio 2008, n. 11501).

Buona lettura.

Simone Giugni

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott.   RENATO RODORF                                        – Presidente -

Dott.   SERGIO DI AMATO                                      - Rel. Consigliere -

Dott.   ANTONIO DIDONE                                       – Consigliere -

Dott.   ANDREA SCALDAFERRI                             – Consigliere -.

Dott.   LOREDANA NAZZICONE                            – Consigliere -

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 21703-2008 proposto da:

Banca I.S. S.P.A., nella qualità di incorporante del S.P.I. S.P.A. (che a sua volta aveva incorporato il B.di N. S.P.A.), di mandataria e procuratrice della S.G.A. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in omissis, via omissis, presso l’avvocato ___________________, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente –

contro

FALLIMENTO C. S.P.A., in persona del curatore avv. G. C., elettivamente domiciliato in omissis, via omissis, presso l’avvocato ___________________, rappresentato e difeso dall’avvocato ___________________, giusta procura a margine del controricorso;

- controricorrente –

 

avverso il decreto del TRIBUNALE di AVELLINO, depositato il 17/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/11/2014 dal Consigliere Dott. SERGIO DI AMATO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato ___________________che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Ritenuto in fatto e in diritto

     – che con decreto del 17 giugno 2008, il Tribunale di Avellino rigettava ilo reclamo proposto dalla Banca I. s.p.a. avverso il decreto col quale il giudice delegato al fallimento della s.p.a. C. aveva stabilito e reso esecutivo un piano di riparto parziale disattendendo le osservazioni della banca in ordine alla mancata attribuzione di una somma a titolo di interessi legali, per il periodo successivo al fallimento, sul credito per capitale ammesso al passivo con prelazione ipotecaria. In particolare, il Tribunale osservava che in sede di accertamento dello stato passivo era mancato un esplicito riconoscimento del credito; infatti, il decreto steso in calce alla domanda di ammissione, malgrado la specifica richiesta degli interessi, aveva limitato l’ammissione al credito ipotecario esplicitamente quantificato “più 2.000.000 (oltre accessori) per istanza”, con una formulazione che consentiva di identificare gli accessori soltanto nelle spese giudiziali, come era confermato anche dal diverso tenore dei provvedimenti resi su posizioni analoghe a quella della reclamante, nei quali si faceva esplicito riferimento agli interessi maturati ai sensi dell’art. 2855 c.c.; pertanto, in mancanza di una opposizione allo stato passivo da parte della banca, nessuna somma poteva essere attribuita a titolo di interessi successivi al fallimento;

- che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Banca I. s.p.a., deducendo: 1) la violazione degli artt. 95, 96, 97 e 110 l. fall, 2909 c.c. e 12 delle preleggi poiché dallo stato passivo, da ritenere prevalente rispetto alle annotazioni non firmate sulle domande, risultava l’ammissione al passivo del credito ipotecario “+ 2.000.000 per istanza oltre accessori”; di analogo tenore era la comunicazione del curatore che recava la formulazione “oltre LT 2.000.000 – per istanza oltre accessori”; pertanto, in base ai principi in tema di interpretazione del giudicato, alla formulazione usata nel decreto di esecutività dello stato passivo doveva essere attribuito il significato che poteva ricavarsi non solo dal dispositivo, con la chiara identificazione degli accessori negli interessi, ma anche dalla comunicazione del curatore e della stessa domanda della parte, con il conseguente rilievo del fatto che l’ammissione al passivo degli accessori corrispondeva alla richiesta della parte di ammissione degli interessi successivi al fallimento; 2) il vizio di motivazione per l’omessa considerazione della mancanza di qualsiasi motivazione del decreto nella parte in cui avrebbe rigettato parzialmente la domanda di ammissione al passivo; 3) il vizio di motivazione per la contraddittorietà in cui era incorso il Tribunale per avere, da un lato, affermato che la banca aveva chiesto l’ammissione al passivo degli interessi successivi alla dichiarazione dei fallimento e per avere, dall’altro, affermato che malgrado la dicitura “oltre accessori” era mancato un provvedimento di ammissione;

- che entrambe le parti hanno presentato la memoria;

- che il primo motivo è infondato. Invero, la ricorrente h erroneamente richiamato i principi elaborati da questa Corte in tema di rilievo officioso e di diretta interpretazione del giudicato da parte del giudice di legittimità. Nella specie, infatti, non si controverte sulla esistenza di un credito ipotecario della ricorrente per interessi successivi al fallimento e sulla esistenza o meno di un giudicato su detta controversia. Piuttosto, si controverte sulla portata dell’accertamento del passivo non come decisione che abbia risolto una controversia ancora in atto, ma come titolo che giustifica la partecipazione del creditore al riparto. Al riguardo, si deve ricordare che questa Corte, con riferimento all’esecuzione individuale, ha specificato più volte che “l’interpretazione del titolo esecutivo consistente in una sentenza passata in giudicato, compiuta dal giudice dell’opposizione a precetto o all’esecuzione, si risolve nell’apprezzamento di un “fatto”, come tale incensurabile in sede di legittimità se esente da vizi logici o giuridici, senza che possa diversamente opinarsi alla luce dei poteri di rilievo officioso e diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimità, atteso che, in sede di esecuzione, la sentenza passata in giudicato, pur ponendosi come “giudicato esterno” (in quanto decisione assunta fuori dal processo esecutivo), non opera come decisione della controversia, bensì come titolo esecutivo e, pertanto, al pari degli altri titoli esecutivi, non va intesa come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, bensì come presupposto fattuale dell’esecuzione, ossia come condizione necessaria e sufficiente per procedere ad essa” (Cass. 14 gennaio 2011, n. 760; Cass. 6 luglio 2010, n. 15852; Cass. 9 agosto 2007, n. 17482; Cass. 25 marzo 2003, n. 4382; Cass. 21 novembre 2001, n. 14727). Analogo discorso deve farsi quanto al valore dell’accertamento del passivo in sede di riparto fallimentare; infatti, è noto che in sede di ripartizione dell’attivo del fallimento, oggetto della cognizione del giudice delegato sono solo le questioni relative alla graduazione dei crediti ed all’ammontare della somma distribuita, restando esclusa la proponibilità, in tale sede, di ogni altra questione relativa all’esistenza, qualità e quantità dei crediti e dei privilegi, in quanto riservata in via esclusiva al procedimento dell’accertamento del passivo (e plurimus e dal ultimo Cass. 10 giugno 2011, n. 12732). Pertanto, ancorché non possa parlarsi propriamente di titolo esecutivo, il decreto di esecutività dello stato passivo svolge nella procedura fallimentare la stessa funzione svolta dal titolo esecutivo giudiziale nell’esecuzione individuale e cioè determina la misura del credito che può essere soddisfatta coattivamente.

Ne consegue che anche l’interpretazione del decreto di esecutività dello stato passivo, come quella del titolo esecutivo giudiziale nell’esecuzione individuale, si risolve nell’apprezzamento di un fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità se esente da vizi logici o giuridici, e non consiste, come assume il ricorrente, in una interpretazione che si risolve nella ricerca del significato oggettivo della regola o del comando di cui il provvedimento è portatore e che richiede l’applicazione, in via analogica, dei canoni ermeneutici prescritti dagli artt. 12 ss. D.p.c.c., in ragione dell’ammissibilità per natura ed effetti dei provvedimenti giurisdizionali agli atti normativi (per tale assimilazione v. Cass. S.u. 9 maggio 2008, n. 11501). Restano assorbite le ulteriori considerazioni sulla assenza di vizi logici e giuridici della motivazione laddove plausibilmente ha identificato gli accessori con quelli pertinenti alla somma liquidata a titolo di onorari per l’istanza di ammissione al passivo.

-          che il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili in quanto non corredati del momento di sintesi prescritto dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis;

-          che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna la Banca I. s.p.a. al rimborso delle spese di lite liquidate in euro 5.200,00=, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CP.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 novembre 2014.

 

Il Cons. Estensore                                                          Il Presidente.

 

 

 

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