Trib. Monza 04.02.2013 (sull’istanza di fallimento)
Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio il decreto reso dalla Sezione Fallimentare del Tribunale di Monza in data 04.02.2013.
Il provvedimento è effettivamente un po’ datato ma risponde ad uno dei quesiti che nell’ultimo periodo, probabilmente a causa della dilatazione dei tempi e dell’aumento dei costi delle procedure di recupero crediti, mi viene posto più spesso, ossia se per poter presentare istanza di fallimento occorra o meno munirsi di titolo esecutivo.
Il Tribunale di Monza, che nell’ipotesi affrontata effettivamente rigetta l’istanza di fallimento, individua con precisione l’onere della prova del ceditore istante, il quale è chiamato a dimostrare:
- la titolarità di una pretesa “incontestata o portata da un titolo esecutivo”;
- l’insolvenza del debitore.
E’ quindi chiaro che, in caso di contestazioni sulla pretesa, la mancanza di un titolo esecutivo potrebbe rivelarsi ostativa. Laddove, invece, il credito risulti esplicitamente od implicitamente riconosciuto, l’istante può provare a risparmiarsi altre “fatiche”.
Buona lettura.
Simone Giugni
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TRIBUNALE DI MONZA
Sezione III civile
FALLIMENTARE
riunito in camera di consiglio in persona dei sigg. magistrati:
1) Dott. Alida Paluchowski Presidente rel.
2) Dott. Mirko Buratti Giudice
3) Dott. Caterina Giovannetti Giudice
esaminato il ricorso n. 644/12, introdotto su ricorso presentato da
S.R.L.
contro
S.R.L.
ha pronunciato il seguente
DECRETO
letti gli atti ed i documenti allegati al ricorso,
sentito il giudice relatore designato;
Considerato che all’esito dell’istruttoria compiuta è emerso che la creditrice ha presentato istanza di fallimento sulla base di un credito del tutto contestato, non munito di titolo, nonostante il tempo trascorso, nascente da un contratto di appalto nel quale i pagamenti avrebbero dovuto essere eseguiti sulla base dei SAL, mentre apparentemente non lo sono stati, dove a fronte di un valore di contratto di euro 2.053.000 sono stati già versati euro 1973.455 di corrispettivo, pur se il lavoro è stato consegnato con ben 450 giorni di ritardo, rispetto al termine contrattuale essenziale, (evenienza che da sola giustificherebbe l’eccezione di compensazione per 216.000 euro di penali, superiori al credito residuo);
Preso atto che è stata contestata anche l’assenza di regolarità dei Durc della creditrice di cui si assume l’apocrificità, per cui la appellante rischia, come è avvenuto alla società s.r.l., anche essa appaltante di lavori nei confronti di s.r.l., di subire la sospensione dell’efficacia del titolo abilitativo alla costruzione da parte del Comune di Giurano (cfr. racc. 20-.11.2012 prodotta in atti);
Rilevato che l’amministratore della creditrice ha ammesso a verbale dell’udienza del 22.10.2013 di essere inadempiente verso la previdenza per circa euro 200.000, assumendo che la sua inadempienza è consequenziale a quella della convenuta e può essere opposta a questa, in quanto l’obbligo insoddisfatto della debitrice legittimerebbe quello della creditrice;
Considerato che, la riforma della legge fallimentare ha trasformato il procedimento per la declaratori di fallimento da procedimento di interesse ed impulso pubblico ad un procedimento che, pur mantenendo un interesse pubblico è avviabile esclusivamente da parte di un creditore privato ex art. 6 o del Pubblico Ministero ex art. l.f., (su segnalazione di un giudice civile o in base ad elementi emersi nel corso di un indagine penale). Il creditore deve dimostrare, prima di tutto la sua legittimazione, ovvero la titolarità di una pretesa incontestata o portata da un titolo esecutivo, giudiziale o negoziale, poi l’insolvenza del debitore che abbia le caratteristiche dimensionali per essere sottoposto al fallimento. Nel caso in esame la legittimazione è incerta e le contestazioni della pretesa creditoria appaiono ictu oculi dotate di apprezzabile solidità, (e così deve avere reputato anche il creditore, che puntualmente ha puntualmente evitato di munirsi di un titolo e di fare alcuna attività esecutiva a dimostrazione dell’insolvenza) cosicché non si rinviene la legittimazione certa dell’asserito creditore ad ottenere la declaratoria di fallimento. La esimente che non avrebbe mai agito giudizialmente perché avrebbe parlato con l’Ing. , direttore dei lavori ed asserito, socio, occulto o palese, non si sa, della e del gruppo di cui la stessa fa parte, non solo non è una giustificazione sufficiente, ma dopo il trascorrere di anni (asseritamente) appare del tutto incredibile.
Va detto poi, incidenter tantum, che le comunicazioni inviate in attesa della udienza ex art. 15 alla debitrice (cfr. lettera 30.11.2012. del ) sono il tipico esempio dell’utilizzo improprio ed alternativo dell’istanza di fallimento come strumento di pressione per il recupero crediti, prassi alquanto discutibile.
Ma vi è di più, l’impresa asseritamente debitrice, certamente è in una situazione di tensione come ogni operatore del settore edile in Italia da due anni a questa parte stante la paralisi del settore immobiliare e l’assenza di ripresa, ma non ha scoperti verso l’erario, di alcun tipo, secondo le risultanze delle autonome indagini disposte dal giudice relatore (cfr. dichiarazione Equitalia) e non ha protesti né decreti ingiuntivi esecutivi pendenti, né procedure esecutive in corso.
In ordine alla situazione patrimoniale al 30.11.2012 prodotta, pur avendo maturato una perdita di bilancio di euro 101.699,00 (rispetto a ricavi per 6.160.2829, si osserva che possiede una riserva di ben 1.201.695,34 oltre la riserva legale ed il capitale, costituita per lo più da finanziamento soci Infruttifero a dimostrazione che gli stessi non si limitano a mantenere sottocapitalizzata la società ma l’hanno dotata di mezzi propri (dovendosi equiparare i finanziamenti infruttiferi a quelli in conto capitale).
Possiede, poi un patrimonio immobiliare facilmente aggredibile, sul quale la creditrice, una volta munita di titolo, potrà soddisfarsi.
L’affermazione poi che la debitrice ha subito la chiusura del credito bancario, non corrisponde a verità, è negata e non è provata in alcun modo, mentre, al contrario è provato che la stessa intrattiene il conto corrente (doc. 16).
Ritenuto che la richiesta di condanna della creditrice istante, la cui condanna viene respinta, non sia stata caratterizzata da temerarietà, si respinge la pretesa di risarcimento del danno avanzata dalla società debitrice.
Tutto ciò premesso
Visto l’art. 5 e 1 l.f.
RESPINGE
l’istanza di fallimento in oggetto per carenza di certezza sulla pretesa economica azionata e per esistenza di componenti patrimoniali idonee a garantire la obbligazione ove effettivamente dovuta.
Così deciso in Monza Camera di Consiglio della sezione terza il 29.01.2013.
Il Presidente est.
Dott. Alida Paluchowski