Cass. 27.05.2015 n. 14056 (sull’applicabilità dell’art. 2467 c.c. alle S.p.a.)
Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la sentenza n. 14056 resa dalla prima sezione civile della Corte di Cassazione in data 27.05.2015.
Nella stessa la Suprema Corte affronta il tema dell’applicabilità dell’art. 2467 c.c., norma cardine in materia di postergazione dei finanziamenti soci, alle società per azioni.
La questione è di evidente rilevanza pratica, soprattutto alla luce delle possibilità di invocare la richiamata disposizione nell’ambito delle azioni di responsabilità.
Dopo aver osservato che l’integrazione del diritto, per estensione o per analogia, attiene al rapporto tra le norme ed i fatti (piuttosto che al rapporto tra modelli normativi), i Giudici ritengono impossibile risolvere il problema dell’applicabilità dell’art. 2467 c.c. con riferimento ad astratti modelli di società.
Ci si chiede poi se, ai fini dell’applicazione della regola generale della postergazione, i presupposti indicati dagli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c. possano in concreto verificarsi anche rispetto al socio di società per azioni.
A questo proposito, si osserva che il modello di S.p.a. può essere applicato anche a società “chiuse” e di modeste dimensioni, nelle quali può ben presentarsi il problema della sottocapitalizzazione nominale.
La Cassazione conclude, pertanto, per l’applicabilità del citato art. 2467 c.c. alle società per azioni.
Buona lettura.
Simone Giugni
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REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi. Sigg.ri Magistrati:
dott. Aldo Ceccherini Presidente
dott. Aniello Nappi Consigliere
dott. Antonio Didone Consigliere
dott. Andrea Scaldaferri Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
L.E.D.G., domiciliato in , , presso l’avv. R.M., rappresentato e difeso dall’avv. L.M.M., come da mandato a margine del ricorso
- ricorrente -
Contro
Fallimento C. s.p.a., in liquidazione, domiciliato in , via , presso l’avv. M.O., che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. M.M., come da mandato a margine del controricorso
- controricorrente -
avverso
il decreto n. 6176/2009 del Tribunale di Padova, depositato il 6 marzo 2009
Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. A.N.
Uditi i difensori, M. per il ricorrente e B. delegato per il resistente
Udite le conclusioni del P.M., dr. P.P., che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
Svolgimento del processo
Con il decreto impugnato il Tribunale di Padova ha rigettato l’opposizione proposta da L.E.D.G. avverso lo stato passivo del fallimento della C. s.p.a.
L’opponente aveva lamentato di essere stato ammesso con postergazione e senza interessi sul capitale per un credito di euro 79.501,27 da finanziamento soci; e di essere stato ammesso senza privilegio ipotecario per un credito di euro 406.918,55 di cui era cessionario della Banca.
Quanto al credito di euro 79.501,27, i giudici del merito hanno ritenuto che, benchè prevista per le società a responsabilità limitata dell’art. 2467 c.c., la postergazione del credito dei soci per i finanziamenti alla società sia estensibile anche alle società per azioni; e comunque la società fiduciaria cui L.E.D.G. era succeduto aveva riconosciuto che si trattava di conferimenti in conto capitale e non di finanziamenti; sicchè non potevano riconoscersi interessi a un credito inesigibile. Quanto al credito di euro 406.918,55, i giudici del merito hanno ritenuto che eccedesse il limite della quota capitale di euro 1.652.662,08 convenuto per la garanzia ipotecaria.
Ricorre per cassazione L.E.D.G. sulla base di sei motivi d’impugnazione, illustrati anche da memoria, cui resiste con controricorso il Fallimento C. s.p.a.
Motivi della decisione
1. I primi tre motivi del ricorso attengono alla postergazione del credito di euro 79.501,27.
1.1- Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione degli art. 2467 c.c. e 3 comma 1, lettera a), della legge n. 366 del 2001.
Sostiene che l’art. 2467 c.c., relativo alle società a responsabilità limitata, non è applicabile analogicamente o estensivamente alle società per azioni, attesa la diversa natura che il legislatore delegante ha imposto ai due tipi di società, l’uno focalizzato sul ruolo del socio l’altra su quello dell’azione quale strumento del marcato dei capitali di rischio.
Il motivo è infondato.
L’integrazione del diritto, per estensione o per analogia, attiene al rapporto tra le norme e i fatti, piuttosto che al rapporto tra modelli normativi. Il problema dell’applicabilità dell’art. 2467 c.c. alle società per azioni non può dunque essere risolto con un riferimento ad astratti modelli di società. Occorre valutare in concreto la conformazione effettiva di ciascuna specifica compagine sociale, come dimostra del resto la disposizione dell’art. 2497 quinquies c.c., che esplicitamente estende l’applicabilità dell’art. 2467 c.c. ai finanziamenti effettuati in favore di qualsiasi tipo di società da parte di chi vi eserciti attività di direzione e coordinamento.
Dall’art. 2497 quinquies c.c. si desume chiaramente in realtà che il riferimento al “tipo” di società non può essere di per sé ostativo all’applicazione della norma dettata dall’art. 2467 c.c., ma occorre appunto verificare in concreto se una determinata società esprima un assetto dei rapporti sociali idoneo a giustificarne l’applicazione.
Occorre chiedersi allora se, ai fini dell’applicazione della regola della postergazione, i presupposti indicati dagli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c. possano in concreto verificarsi anche rispetto al socio di società per azioni.
Come si è ben rilevato in dottrina, ai diversi “modelli” di società possono corrispondere realtà economiche molto diverse, non determinate dalla forma prescelta.
Sicché anche imprese di modeste dimensioni e con compagini sociali familiari o comunque ristrette (“chiuse”) possono essere esercitate nella forma della società per azioni; e giustificare quindi l’applicazione dell’art. 2467 c.c., la cui ratio è appunto quella di regolare i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale in società “chiuse” (fenomeni determinati dalla convenienza dei soci a ridurre l’esposizione al rischio d’impresa, ponendo i capitali a disposizione della società nella forma del finanziamento anziché in quella del conferimento).
Nel caso in esame il ricorrente neppure deduce che l’effettivo assetto sociale della C. S.p.a. potesse risultare ostativo all’applicazione della norma sulla postergazione. E il suo riferimento al solo modello di società è destituito di fondamento; sicchè il motivo deve essere rigettato.
1.2 – Il rigetto del primo motivo del ricorso risulta assorbente anche del secondo motivo, con il quale il ricorrente deduce vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che i giudici del merito abbiano attribuito valore determinante alla dichiarazione resa dalla società fiduciaria cui egli era succeduto circa la natura delle erogazioni, benché si trattasse di dichiarazione anteriore all’erogazione del finanziamento.
La qualificabilità dell’erogazione come contributo in conto capitale, piuttosto che come finanziamento, assumerebbe infatti rilevanza solo se non si ritenesse applicabile l’art. 2467 c.c.
1.3 – Con il terzo motivo il ricorrente deduce vizi di motivazione della decisione impugnata in ordine alla situazione patrimoniale e finanziaria della società.
Sostiene che, contrariamente a quanto affermato dai giudici del merito, lo stato di liquidazione della società era irrilevante e il patrimonio effettivo della società non era affatto negativo (essendo sottostimato un immobile).
Il motivo è inammissibile, perché propone censure attinenti al merito della decisione imputata, congruamente giustificata con riferimento alla situazione contabile ufficiale della società.
2.Il quarto il quinto e il sesto motivo del ricorso attengono tutti alla negata natura ipotecaria del credito di euro 406.918,55; e vanno dunque esaminati congiuntamente.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli art. 1282 e 1283 c.c, lamentando che i giudici del merito abbiano erroneamente qualificato come obbligazione di capitale l’obbligazione per gli interessi capitalizzati ai soli fini dell’anatocismo.
Con il quinto motivo il ricorrente deduce vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che i giudici del merito abbiano erroneamente desunto dalla convenzione di anatocismo la conseguenza della impossibilità di distinguere credito per sorte capitale e credito per interessi.
Con il sesto motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2855 c.c. e vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che i giudici del merito abbiano erroneamente escluso l’estensione agli interessi della garanzia ipotecaria.
I motivi sono tutti infondati.
Non v’è dubbio alcuno che, quand’anche sia convenuto l’anatocismo, il credito per sorte capitale possa essere tenuto distinto dal credito per interessi (Cass., sez. III, 16 febbraio 1965, n. 252, m. 310360, Cass., sez. un., 2 dicembre 2010, n. 24418, m. 615489, Cass., sez. I, 2 luglio 2014, n. 15135, m. 631492). Infatti gli art. 2749,2788 e 2855 c.c. prevedono limiti alla estensione dei privilegi e delle garanzie reali agli interessi pattuiti dalle parti.
Tuttavia, come risulta dallo stesso ricorso, che riproduce il testo del decreto dichiarativo di esecutività dello stato passivo (cfr. fogli 15 – 17), nel caso in esame al credito di euro 406.918,55 non fu disconosciuta la garanzia ipotecaria perché fu imputato al capitale piuttosto che agli interessi, bensì perché si trattava di una quota del saldo passivo di conto corrente eccedente i limiti dell’apertura di credito accordata alla C. e garantita da ipoteca. Sicché, hanno ritenuto i giudici del merito, per questa quota del saldo passivo vi era stata da parte della banca, dante causa del ricorrente, un’erogazione aggiuntiva di credito che, in quanto eccedente i limiti dell’apertura di credito garantita da ipoteca, era imputabile ad altro rapporto contrattuale, non assistito dalla garanzia ipotecaria.
Nel pieno rispetto dell’art. 2855 c.c., dunque, al ricorrente venne riconosciuta la garanzia ipotecaria sia per la quota capitale corrispondente al limite dell’apertura di credito (euro 1.652.662,08) sia per gli interessi al tasso del 7,7% annuo sino alla scadenza dell’annualità in corso alla data della dichiarazione del fallimento, oltre gli interessi al tasso legale fino alla vendita del bene ipotecato.
Il ricorrente riprende dal suo ricorso in opposizione allo stato passivo e riproduce ora nel ricorso per cassazione il medesimo errore di interpretazione del decreto dichiarativo dell’esecutività dello stato passivo, ritenendo che per il credito di euro 406.918,55 la garanzia sia stata esclusa in quanto non imputabile agli interessi ma al capitale. Mentre è evidente dal testo del decreto, riprodotto nel ricorso, che quel credito venne escluso, non perché imputabile al capitale piuttosto che agli interessi, ma perché eccedente i limiti dell’apertura di credito. E questa ratio decidendi del decreto del giudice delegato non risulta censurata né l’atto di opposizione allo stato passivo né con l’attuale ricorso, fondato esclusivamente sulla possibilità di distinguere tra sorte capitale e interessi anatocistici.
Vero è che la motivazione esibita sul punto dal tribunale è alquanto ambigua, in quanto intesa a confutare le argomentazioni esibite con l’opposizione allo stato passivo. Ma non rileva in cassazione i. difetto di motivazione su un motivo di opposizione inammissibile in quanto non pertinente alla effettiva ratio decidendi del provvedimento opposto (Cass., sez. III, 20 agosto 1980, n. 4942, m. 408808, con riferimento all’appello).
3. Si deve pertanto concludere con il rigetto del ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi euro 12.200, di cui euro 12.000 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.
Roma, 27 maggio 2015
Il Presidente
Il consigliere relatore
(dr. Aniello Nappi)