Cass. 07.07.2015 n. 14052 (sulla legittimazione del Liquidatore Giudiziale a proporre l’azione di responsabilità)
Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la Sentenza n. 14052 resa dalla I sez. Civ. della Corte di Cassazione (relatrice Dott.ssa Magda Cristiano) in data 07.07.2015.
Nella stessa si affronta, con ampia motivazione, il tema della legittimazione del Commissario Giudiziale e/o del Liquidatore Giudiziale del concordato preventivo ad esperire l’azione di responsabilità nei confronti del soggetto che aveva ricoperto in precedenza le medesime cariche.
La Corte evidenzia in primo luogo che, pur essendo il giudizio in esame soggetto alla previdente disciplina, le argomentazioni spese valgono sic et simpliciter anche alla luce delle norme attuali.
Ciò premesso deve escludersi che l’azione di responsabilità sia esperibile dal Commissario Giudiziale, organo cui sono attribuite funzioni di vigilanza, informazione, consulenza ed impulso (finalizzate al controllo della regolarità del comportamento del debitore ad alla tutela dell’effettiva informazione dei creditori), ma non anche di amministrazione o gestione, né di rappresentanza del debitore o del ceto creditorio.
A conclusioni diverse il Supremo Collegio giunge invece in ordine alla legittimazione del Liquidatore Giudiziale.
Secondo costante giurisprudenza, infatti, l’omologazione del concordato con cessione dei beni non implica il mutamento della loro titolarità ma comporta il trasferimento al Liquidatore dei poteri di gestione e di disposizione finalizzati alla liquidazione dei beni stessi ed alla ripartizione del loro ricavato.
Ne consegue che spetta al Liquidatore Giudiziale, nell’ambito del mandato conferitogli, la legittimazione attiva e passiva in tutte le controversie relative ai rapporti obbligatori sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione (compresa, quindi, l’azione di responsabilità).
Buona lettura.
Simone Giugni
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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CECCHERINI Aldo - Presidente -
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Consigliere -
Dott. CRISTIANO Magda - rel. Consigliere -
Dott. SCALDAFERRI Andrea - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 17513/2012 proposto da:
C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, ______________
, presso l'avvocato __________________________, che lo rappresenta e
difende, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
E. S.N.C. IN CONCORDATO PREVENTIVO, in persona del Commissario e
liquidatore giudiziale pro tempore, elettivamente domiciliata in
, presso l'avvocato _________________, che la rappresenta e difende
unitamente all'avvocato _______________, giusta procura in calce al
controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 352/2012 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE,
depositata il 07/12/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
08/04/2015 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato ______________, con delega, che
ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l'Avvocato ______________, con
delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del primo motivo,
assorbito il secondo motivo, inammissibilità in subordine rigetto
del terzo motivo.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il dr. P.D., nella sua qualità di commissario e liquidatore giudiziale del concordato preventivo con cessione dei beni della E. s.n.c., omologato il 4.12.91, nel febbraio del 2003 promosse, in nome e per conto della procedura, un’azione di risarcimento dei danni nei confronti del dr. C.L., che aveva rivestito le medesime cariche, di commissario e, contestualmente, di liquidatore del concordato, sino all’agosto 2000, imputandogli l’adozione di errate scelte di gestione che avevano causato il depauperamento dell’attivo concorsuale.
La causa, nella quale il C. si costituì eccependo il difetto di legittimazione del nuovo organo ad agire nei suoi confronti e contestando anche nel merito la fondatezza dell’avversa pretesa, fu definita in primo grado con sentenza del Tribunale di Firenze che accolse la domanda dell’attore e condannò il convenuto al pagamento della somma di Euro 100.609 oltre accessori.
L’appello proposto dal C. contro la decisione è stato accolto solo parzialmente dalla Corte d’appello di Firenze che, con una prima sentenza non definitiva, ha affermato che il P., nella sua duplice qualità, era legittimato a proporre l’azione di responsabilità nei confronti del suo predecessore, mentre con la sentenza definitiva ha liquidato il danno nella minor misura di Euro 76.236.
La corte territoriale ha osservato, con riguardo alla questione di diritto, che al commissario giudiziale compete in via generale la tutela del ceto creditorio e che, poichè la L. Fall., art. 165, lo definisce pubblico ufficiale e prevede che gli si applichi la L. Fall., art. 38, è del tutto logico concludere che anche dopo l’omologa i suoi i poteri non siano ristretti a quelli previsti dagli arti 185/186 l. fall., ma comprendano la legittimazione ad agire in responsabilità nei confronti del liquidatore. Ha aggiunto che, poichè il P. era anche liquidatore giudiziale, la legittimazione attiva avrebbe dovuto essergli riconosciuta anche nel caso in cui l’obbligazione risarcitoria facente capo al precedente liquidatore avesse dovuto ritenersi rientrante fra i rapporti attinenti alla liquidazione.
Nel merito il giudice d’appello ha liquidato il danno nella misura determinata dal ctu nominato nel grado, sommando alle perdite derivate dall’ingiustificata prosecuzione della gestione provvisoria dell’impresa quelle determinate dal minor realizzo di merci poste tardivamente in vendita.
Le sentenze sono state impugnate da C.L. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui il commissario e liquidatore giudiziale del concordato Eliocopia ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo di ricorso C.L. lamenta il rigetto dell’eccezione di difetto di legittimazione attiva del commissario giudiziale a promuovere l’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore del concordato. Rileva che, ai sensi della L. Fall., art. 185 e segg., ante riforma, al commissario giudiziale, dopo l’omologazione, spetta solo di sorvegliare l’adempimento del concordato secondo le modalità stabilite nella sentenza e di promuovere l’intervento del tribunale, nei casi previsti dalla L. Fall., artt. 137 e 138, per farne dichiarare l’annullamento o la risoluzione. Tali compiti, a dire del ricorrente, comportano che al commissario spetti una tutela del ceto creditorio non sorretta da un potere diretto di azione rispetto agli atti del debitore; al contrario, il potere di sindacare la gestione liquidatoria, spetterebbe unicamente ai creditori, di cui il liquidatore è mandatario ex lege, non essendo il commissario munito del potere di rappresentarli.
2) Col secondo motivo il ricorrente contesta che l’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore giudiziale cessato possa essere promossa dal liquidatore nominato in sua sostituzione, atteso che i compiti di chi venga investito dell’incarico sono limitati alta realizzazione del valore dei beni ceduti ed alla ripartizione del ricavato fra i creditori, secondo le modalità stabilite nella sentenza.
Dei due motivi, che sono fra loro connessi e possono essere esaminati congiuntamente, solo il primo appare fondato. Ne consegue che il ricorso contro la sentenza non definitiva, che ha affermato che la legittimazione ad agire in responsabilità contro il cessato liquidatore giudiziale del concordato spetta non solo al commissario giudiziale, ma anche al nuovo liquidatore, deve essere respinto, previa parziale correzione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., della motivazione in diritto che sorregge la decisione.
Deve infatti escludersi che l’azione sia esperibile dal commissario giudiziale, organo cui sono attribuite (nella previgente cosi come nell’attuale disciplina) funzioni composite – di vigilanza, informazione, consulenza ed impulso, complessivamente finalizzate al controllo della regolarità del comportamento del debitore ed alla tutela dell’effettiva informazione dei creditori – ma non anche di amministrazione o gestione, nè di rappresentanza del debitore o del ceto creditorio (Cass. nn. 4800/98, 11662/98).
Invero, come è stato già ripetutamente affermato da questa Corte (Cass. n. 4183/014, 22913/011, 19632/07) nel corso della procedura il commissario giudiziale, non è portatore di specifici interessi da far valere in sede giurisdizionale e non è abilitato all’esercizio di azioni, nè in proprio nè in veste di sostituto processuale.
Sarebbe dunque assai singolare riconoscere a tale organo la legittimazione ad agire in rappresentanza del debitore o dei creditori dopo il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione (prevista nella disciplina applicabile ratione temporis), che determina(va) l’esaurimento della procedura di concordato e l’apertura di una fase meramente esecutiva (regolata dagli artt. 185 e 186 l. fall.), dalla quale discende(va) la cessazione delle sue funzioni di ingerenza attiva, destinate a trasformarsi in funzioni di mera sorveglianza sull’adempimento del concordato (Cass. n. 6859/95), comprendenti il potere/dovere di provocare l’intervento del tribunale ai fini della risoluzione o della revoca dello stesso. L’assunto non trova smentita nel fatto che, a norma dell’art. 165, al commissario giudiziale si applicavano (e si applicano) la L. Fall., artt. 36, 37, 38 e 39, atteso che il rinvio alle citate disposizioni deve ritenersi effettuato nei limiti in cui esse sono compatibili con le specifiche prerogative dell’organo: al nuovo commissario che, al pari del suo predecessore, non sostituisce e non rappresenta nè il debitore nè i creditori, non può quindi spettare la legittimazione a promuovere l’azione L. Fall., ex art. 38, comma 2, (ciò senza contare, che, mutatis mutandis, si tratterebbe comunque dell’azione di responsabilità contro il cessato commissario e non di quella contro il liquidatore).
A conclusioni diverse deve giungersi in ordine alla legittimazione del liquidatore. Secondo la giurisprudenza di questa Corte l’omologazione del concordato consistente (quale quello di specie) nella cessione dei beni, contemplato dalla L. Fall., art. 182, non comporta il trasferimento della proprietà dei beni e dei crediti ceduti (salvo che non si versi in ipotesi di vera e propria cessione traslativa), bensì il trasferimento al liquidatore dei poteri di gestione e di disposizione finalizzati alla liquidazione dei beni medesimi ed alla ripartizione del loro ricavato fra gli aventi diritto, che gli vengono affidati in virtù del mandato irrevocabile (ex art. 1723 c.c., comma 2) che a tal fine gli viene conferito anche nell’interesse dei creditori (Cass. n. 7661/05, cfr. anche Cass. n. 15699/011). Ne consegue che, mentre il creditore conserva il diritto ad esercitare in proprio le azioni a tutela del patrimonio ed a resistere in quelle di accertamento dei crediti proposte dopo l’omologazione (al fine di evitare che, a causa delle pretese vantate da terzi su taluni dei beni o dei crediti ceduti o dell’ingresso di nuovi creditori, venga meno la possibilità di dare esecuzione al concordato) spetta al liquidatore, nell’ambito del mandato conferitogli, la legittimazione attiva e passiva in tutte le controversie relative ai rapporti obbligatori sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione (cfr. Cass. n. 7661/05 cit., nonchè Cass. nn. 8102/013, 11520/010).
Occorre a questo punto stabilire se fra tali controversie rientri o meno anche l’azione di responsabilità di cui si discute.
Al quesito può senz’altro darsi risposta positiva avuto riguardo all’attuale disciplina, che ha compiutamente definito lo statuto del liquidatore.
Il legislatore della riforma, proprio al fine di garantire che “le operazioni liquidatorie si svolgano correttamente ed efficacemente nell’interesse dei creditori” (cfr. relazione accompagnatoria al decreto correttivo n. 169/97), ha infatti significativamente integrato l’antecedente testo dell’art. 182 – estendendo al liquidatore giudiziale l’applicazione, in quanto compatibili, della L. Fall., artt. 28, 29, 37, 38, 39 e 166, dettati per il curatore – ed ha rimodellato l’attività liquidatoria nel concordato sulla base delle norme che regolano la liquidazione del patrimonio fallimentare, attribuendo al comitato dei creditori una funzione di direzione e di controllo dell’operato del liquidatore. Attraverso il rinvio agli artt. 37 e 38, si è dunque, per un verso, codificata la procedura di revoca del liquidatore (omettendo soltanto di chiarire se, escluso il potere di intervento d’ufficio del giudice delegato, l’iniziativa in materia spetti esclusivamente al comitato dei creditori od anche al commissario giudiziale nell’esercizio dei poteri di sorveglianza che gli competono) e, per l’altro, non solo commisurato il perimetro della responsabilità dell’organo alla diligenza professionale richiesta dalla natura dell’incarico, ma anche specificamente individuato nel nuovo liquidatore il soggetto cui spetta in via esclusiva di agire per farla valere, non sussistendo per quest’ultimo (legittimato a stare in giudizio per tutte le controversie derivanti dalla liquidazione) le ragioni di incompatibilità all’applicazione del II comma dell’art. 38 ricorrenti per il commissario giudiziale.
Deve peraltro ritenersi che (quantomeno in relazione al rinvio agli artt. 37 e 38, che qui interessano) la L. Fall., art. 182, comma 2, pur se introdotto solo dal D.Lgs. n. 169 del 2007, non rechi in sè alcuna sostanziale novità ma risponda, piuttosto, ad un’esigenza di chiarificazione, che ha indotto il legislatore a regolare espressamente la materia, in modo da limitare l’insorgenza di dispute giurisprudenziali e dottrinarie e di evitare all’interprete di dover ricercare, all’interno della stessa legge fallimentare o del codice civile, le norme di volta in volta applicabili, eventualmente in via analogica od estensiva.
Va in proposito rilevato, in primo luogo, che, pur nel silenzio della L. Fall., art. 182, ante riforma, non si dubitava che il liquidatore potesse essere revocato dall’incarico e fosse tenuto a rispondere del proprio operato (cfr. Cass. n. 4177/2000). Risulta d’altro canto evidente, a prescindere dall’esistenza di un’espressa previsione di legge, che l’azione di risarcimento dei danni nei confronti del liquidatore non è volta a preservare i beni ceduti dalle pretese dei terzi e rientra a pieno titolo fra quelle derivanti dalla liquidazione.
Ne consegue che, anche nella disciplina anteriore, il liquidatore nominato in sostituzione di quello cessato o revocato doveva ritenersi legittimato ad esercitarla, nell’interesse dell’intero ceto creditorio, in forza del mandato conferitogli ed a tutela del patrimonio del quale gli era stata affidata la gestione.
Deve escludersi, per contro, che l’azione spettasse al singolo creditore: questi infatti, secondo i principi generali, può agire per ottenere il ristoro dei soli danni derivatigli in via diretta e immediata dall’inadempimento del soggetto gestore alle obbligazioni discendenti dalla legge e dal contratto, ma non può farne valere la responsabilità in relazione a quegli atti di mala gestio le cui conseguenze pregiudichino le possibilità di soddisfacimento di tutti i creditori sul ricavato dei beni gestiti.
Non può, infine, pervenirsi a diversa soluzione solo in ragione della mancanza, nel regime ante riforma, di un’esplicita indicazione dei soggetti abilitati ad assumere l’iniziativa per la revoca del liquidatore. Al di là del fatto che, in detto regime, al tribunale erano riconosciute ampie possibilità di attivarsi d’ufficio o su sollecitazione anche di un singolo creditore, deve infatti ritenersi che il potere di sorveglianza attribuito al commissario giudiziale dall’art. 186 comprendesse (e comprenda) anche il controllo sulla legittimità e sulla convenienza degli atti di liquidazione: ciò che conduce, in conclusione, a rilevare come l’incompatibilità fra la contestuale assunzione delle due cariche, di commissario e di liquidatore, oggi testualmente evincibile dal comb. disp. della L. Fall., art. 182, comma 2, e art. 28 (Cass. n. 1237/013), fosse insita nel sistema e come, nel caso di specie, proprio l’inosservanza di tale regola abbia impedito la tempestiva revoca del liquidatore e consentito l’emersione dei fatti addebitatigli solo a seguito della sua volontaria rinuncia all’incarico.
3) Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione della sentenza definitiva impugnata, lamenta in primo luogo che il giudice del merito abbia ritenuto provata la sua responsabilità in ordine al deprezzamento del magazzino merci, a suo dire erroneamente desunto dal mero raffronto fra il valore contabile risultante dai bilanci dell’Eltocopia s.n.c. alla data di omologazione del concordato e quello ricavato dalla successiva vendita (eseguita tramite IVG), senza che gli sia stata addebitata una condotta negligente nella conservazione dei beni e senza che sia stato esaminato l’inventario redatto, ai sensi della L. Fall., art. 172, al momento della loro presa in consegna, mai prodotto dall’attore; deduce, sotto altro profilo, che la corte territoriale avrebbe, altrettanto erroneamente, “ritenuto provato il danno, dapprima ritenendo che fosse stata provata la generica doglianza relativa all’operato dell’imprenditore concordatario in bonis, e successivamente, parificandone l’attività di gestione in proprio all’attività di liquidazione, così confondendo la perdita contabile di gestione (la quale è espressione del rischio di impresa e non può essere fonte di responsabilità per se stessa) con la responsabilità del liquidatore”; osserva, infine, che la corte del merito ha omesso di motivare in ordine alla eventuale responsabilità del nuovo liquidatore, che ha materialmente proceduto alla vendita del magazzino. Le tre distinte censure nelle quale si articola il motivo vanno dichiarate inammissibili.
3.1) La prima è priva di riferimento alla motivazione in base alla quale il giudice a quo ha riconosciuto l’esistenza di un danno da perdita di valore del magazzino, fondata sul rilievo che nel corso dell’esercizio provvisorio le scorte, appostate ad un valore contabile di oltre 213 milioni di lire, erano state riassortite (il che conduceva ad escludere che si trattasse di fondi di magazzino) e che doveva addebitarsi al C. di non averle ricomprese nell’ambito della cessione unitaria dell’azienda, dalla quale sarebbe stato ricavato mediamente un 20% del loro valore, anzichè il prezzo irrisorio realizzato attraverso la loro vendita separata eseguita per il tramite dell’I.V.G..
3.2) La seconda, scarsamente comprensibile nella sua formulazione testuale (sopra riportata in corsivo), sembra non tener conto che la corte fiorentina ha riconosciuto che la responsabilità del liquidatore non poteva farsi discendere sic et simpliciter dai risultati negativi della gestione provvisoria, ma ha tuttavia ritenuto che dovesse imputarsi al C. sia di aver effettuato, nel corso di tale gestione, spese ingiustificate ed esorbitanti (affidando fra l’altro la contabilità ad una s.r.l. di cui deteneva il 99% delle quote), sia di aver richiesto al tribunale l’autorizzazione alla sua prosecuzione, omettendo di segnalare che essa aveva prodotto perdite già nel corso del primo esercizio.
3.3) La terza attiene, infine, ad un tema di indagine che non risulta essere stato devoluto alla corte d’appello e che non poteva pertanto essere dedotto per la prima volta nella presente sede di legittimità.
La novità della questione di diritto trattata giustifica la compensazione fra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 8 aprile 2015.
Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2015