Cass. Sez. I 24.11.2015 n. 23975 (sul termine per la presentazione dell’istanza “ultratardiva” di ammissione al passivo)

Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la Sentenza n. 23975 resa dalla I sez. Civ. della Corte di Cassazione (relatore Dott. Carlo De Chiara) in data 24.11.2015.

Il provvedimento, dal carattere squisitamente processuale, affronta in modo chiaro ed analitico il tema dei termini per la presentazione dell’insinuazione “ultratardiva” al passivo del fallimento.

Nella circostanza affrontata, in particolare, un creditore aveva dimostrato di aver avuto conoscenza tardiva dell’apertura del fallimento ma aveva atteso comunque un tempo molto ampio (oltre nove mesi dalla comunicazione) per depositare la sua domanda di ammissione.

Il Tribunale aveva prima respinto l’istanza e poi rigettato l’opposizione rilevando che, una volta avuto conoscenza dell’apertura del fallimento, il creditore avrebbe comunque dovuto (da quel momento) proporre le proprie istanze nel termine concesso per il deposito delle domande tempestive ex art. 16 nn. 4 e 5 L.F.

La Cassazione respinge il ricorso proposto avverso il citato provvedimento di rigetto, affermando che non è giustificabile aver atteso un termine così ampio (pur non superiore ad un anno dall’effettiva conoscenza del fallimento) per il deposito dell’istanza di insinuazione.

A seguito del ritardo della comunicazione di apertura del fallimento, in particolare, al creditore deve essere concesso di disporre del tempo necessario a valutare l’opportunità di proporre l’istanza di insinuazione e poi di presentarla, ma non è pensabile che il creditore medesimo abbia a disposizione un altro anno.

Del resto, con riguardo al tema in esame, è lo stesso legislatore a dimostrare, prevedendo appunto la derogabilità del termine in presenza di cause di non imputabilità genericamente indicate, di posporre le esigenze di certezza a quelle di aderenza alla particolarità del caso concreto”.

Buona lettura

Simone Giugni

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                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                        SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CECCHERINI  Aldo                            -  Presidente   -
Dott. CRISTIANO   Magda                           -  Consigliere  -
Dott. SCALDAFERRI Andrea                          -  Consigliere  -
Dott. DE CHIARA   Carlo                      -  rel. Consigliere  -
Dott. MERCOLINO   Guido                           -  Consigliere  -
ha pronunciato la seguente:
                     sentenza
sul ricorso proposto da:
____________________________________ S.P.A.  (C.F.  (OMISSIS)),  in
persona  del  procuratore Dott.             M.A.,  rappresentata  e
difesa,  per  procura  speciale a margine del ricorso,  dagli  avv.ti
_____________________, ________________________   e  ________________
ed elett.te  dom.ta  presso  lo  studio di  quest'ultimo  in  _______
                                                       - ricorrente -
                               contro
FALLIMENTO _______________ S.R.L.;
                                                         - intimato -
avverso  il  decreto  n.  cron.  4497/13  del  Tribunale  di  Treviso
depositato il 17 ottobre 2013;
udita  la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del  15
ottobre 2015 dal Consigliere Dott. Carlo DE CHIARA;
udito per la ricorrente l'avv. _____________________, per delega;
udito  il  P.M.  in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott.
SALVATO Luigi, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Treviso ha respinto l’opposizione proposta dal _______________________ CAB s.p.a. avverso la declaratoria d’inammissibilità della propria domanda “ultratardiva” (ai sensi della L. Fall., art. 101, u.c., ult. parte) di ammissione al passivo del fallimento ______________ s.r.l..

Ha ritenuto, infatti, che, pur avendo la banca ricevuto l’avviso dell’apertura della procedura fallimentare, ai sensi della L. Fall., art. 92, soltanto il 3 gennaio 2012, allorché era già scaduto il termine annuale di cui all’art. 101, comma 1, della stessa legge, aveva tuttavia poi atteso più di 9 mesi e mezzo per la presentazione dell’istanza di ammissione al passivo, effettuata soltanto il 22 ottobre 2012, e non aveva dato alcuna giustificazione di questo ulteriore ritardo, tenuto conto che il legislatore ha valutato che novanta giorni siano un tempo ragionevole per presentare la domanda tempestiva (arg. L. Fall., ex art. 16, nn. 4 e 5).

La banca ha proposto ricorso per cassazione articolando un solo motivo di censura illustrato anche con memoria. Il curatore fallimentare intimato non ha svolto difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione della L. Fall., artt. 92, 101 e 112. La ricorrente sostiene che il termine limite di dodici o diciotto mesi previsto dall’art. 101, cit., comma 1, per la presentazione delle istanze d’insinuazione tardive, ha come presupposto l’avvenuta tempestiva comunicazione di cui all’art. 92, “decorrendo necessariamente dal ricevimento di una siffatta comunicazione”.

La limitazione, affermata dal Tribunale, a soli novanta giorni del termine per presentare la domanda una volta ricevuto l’avviso violerebbe, altresì, la L. Fall., art. 112, che prevede, per la presentazione delle istanze ultratardive giustificate, il solo limite del completamento del riparto dell’attivo, e in ogni caso sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., “attesa la disparità di trattamento in tale modo introdotta tra creditori non tempestivi”.

2. – Il motivo non merita accoglimento.

Anzitutto è errato affermare che il termine di dodici (o sino a diciotto) mesi di cui al comma 1 – richiamato dall’ultimo – della L. Fall., art. 101, decorra dalla data di ricevimento dell’avviso di cui all’art. 92, perchè invece il comma in questione esplicitamente fissa tale decorrenza dalla data del deposito del decreto di esecutività dello stato passivo.

Che, poi, possa ritenersi dipendente da causa non imputabile al creditore, ai sensi dell’art. 101, u.c., ultima parte, il ritardo dovuto all’ignoranza dell’apertura del fallimento per l’omissione del relativo avviso da parte del curatore, è affermazione condivisibile e condivisa da vari precedenti di questa Corte (cfr. Cass. 4310/2012, richiamata dalla ricorrente, e Cass. 9322/2013, riferite all’assetto attuale della disciplina del fallimento, successivo alla riforma del 2006, nonchè Cass. 4735/1979 e Cass. 11969/1999, pronunciate nel vigore del precedente testo della legge fallimentare, in base al quale l’incolpevolezza del ritardo dell’insinuazione rilevava ai soli fini delle spese, ai sensi dell’art. 101, comma 4, e art. 112). Ma da tale affermazione non può ricavarsi, a mò di corollario, la giustificazione di qualsiasi ritardo dell’insinuazione anche allorchè l’avviso non già sia stato omesso, ma sia solo tardato a sua volta, o quantomeno la giustificazione del ritardo non superiore a un anno dal ricevimento dell’avviso, come sostiene la ricorrente.

Tale giustificazione non è una conseguenza logica necessaria della giustificazione del ritardo da totale omissione dell’avviso, ma dovrebbe trovare fondamento in ulteriori considerazioni, che non è dato però rinvenire.

La L. Fall., art. 101, u.c., ultima parte, si limita a consentire la presentazione dell’istanza “ultratardiva” da parte del creditore allorchè quest’ultimo “prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile”, e non prevede la decorrenza di alcun nuovo termine annuale allorchè sia cessata la causa di giustificazione del ritardo del creditore, come presuppone la ricorrente.

Inoltre, se è onere del creditore istante giustificare il ritardo, non potrebbe bastare una giustificazione che non comprenda tutto il ritardo: se quest’ultimo è giustificato dall’ignoranza dell’apertura del fallimento dovuta alla mancanza dell’avviso di cui alla L. Fall., art. 92, come nell’ipotesi in esame, una volta che tale ignoranza sia venuta meno, grazie al ricevimento dell’avviso tardivo, l’ulteriore ritardo dovrà logicamente trovare giustificazione in altre ragioni.

Tra le quali rientra certamente quella derivante dall’esigenza di disporre del tempo necessario per valutare l’opportunità di proporre l’istanza di ammissione al passivo e poi di presentarla; ma pretendere che il creditore disponga comunque di un altro anno, o diverso periodo di tempo, per provvedervi, a prescindere da un effettivo impedimento a una più sollecita presentazione della domanda, significherebbe tradire la lettera e il senso della norma che richiede la giustificazione del ritardo.

Nè è possibile indicare in astratto quale sia il tempo necessario per la valutazione e la presentazione, di cui si è appena detto, da parte del creditore. E’ questo, infatti, un apprezzamento che non può effettuarsi se non in concreto, in base alle particolarità di ciascun caso, secondo un criterio di ragionevolezza la cui applicazione è rimessa al giudice (in tal senso va dunque rettificata la motivazione in diritto del decreto impugnato, che indica in astratto il termine di novanta giorni). L’inevitabile elasticità di tale criterio non costituisce seria controindicazione, rientrando l’applicazione di norme elastiche o standard valutativi nell’ordinario svolgimento della funzione giurisdizionale. Del resto, con riguardo al tema in esame, è lo stesso legislatore a dimostrare, prevedendo appunto la derogabilità del termine in presenza di cause di non imputabilità genericamente indicate, di posporre le esigenze di certezza a quelle di aderenza alla particolarità del caso concreto.

Tantomeno la tesi qui sostenuta viola il principio costituzionale di uguaglianza, come denunciato dalla ricorrente sul presupposto, probabilmente (nel ricorso invero la censura non è meglio specificata), che ad alcuni creditori – quelli tempestivamente avvisati dal curatore – sarebbe concesso un tempo più lungo per presentare la domanda tardiva, rispetto a coloro cui l’avviso sia fatto con ritardo. Così ragionando, infatti, si trascura di considerare che secondo la legge il termine decorre per tutti i creditori dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo e che le vicende dell’avviso della pendenza della procedura fallimentare rilevano soltanto ai fini e nei limiti della giustificazione del superamento di tale termine; tenuto conto, peraltro, che la notorietà della dichiarazione del fallimento non è affidata al solo avviso in questione, ma anche a una specifica pubblicità, quale l’annotazione nel registro delle imprese ai sensi della L. Fall., art. 17, commi 2 e 3.

3. – Il ricorso va in conclusione respinto.

In difetto di attività difensiva della parte intimata non occorre provvedere sulle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2015

 

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