Cass. 25.11.2015 n. 24112 (sul fallimento della società e del socio illimitatamente responsabile)
Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la Sentenza n. 24112 resa dalla VI sez. Civ. della Corte di Cassazione (relatore Dott. Vittorio Ragonesi).
Il provvedimento contiene numerosi spunti di natura processuale.
In primo luogo, infatti, la Corte rileva che “a seguito delle modifiche alla legge fallimentare introdotte con il D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, i creditori che hanno proposto il ricorso di fallimento nei confronti di una società di persone o di un imprenditore apparentemente individuale non sono litisconsorti necessari nel procedimento di fallimento in estensione previsto dalla L. Fall., artt. 15 e 147, promosso ad istanza del curatore. I predetti creditori sono, invece, litisconsorti necessari nel giudizio di reclamo alla sentenza dichiarativa di fallimento proposto dal socio illimitatamente responsabile, cui il fallimento sia stato successivamente esteso, in ragione dei pregiudizi che la revoca del fallimento potrebbe arrecare alle loro pretese, che, a norma della L. Fall., art. 148, si intendono avanzate anche nel fallimento dei singoli soci”.
Inoltre, il socio accomandatario dichiarato fallito non è parte necessaria del procedimento di fallimento per estensione del socio accomandante illimitatamente responsabile. “Ciò si desume dal fatto che nel procedimento di opposizione alla dichiarazione di fallimento della società e dei soci illimitatamente responsabili, legittimati passivi sono solo il curatore e i creditori istanti, ai sensi della L. Fall., art. 18, e non è litisconsorte il socio illimitatamente responsabile, sia perché egli non è legittimato a contestare il fondamento della dichiarazione di fallimento della società, sia perché egli può opporsi alla estensione del fallimento nei propri confronti, facendo valere la eventuale estraneità alla compagine sociale”
Interessante, infine, è il coordinamento tra l’art. 10 e l’art. 147 della L.F. sulla decorrenza del termine annuale per la dichiarazione della società e del socio.
A parere dei Supremo Collegio, infatti, “in tema di dichiarazione del fallimento del socio illimitatamente responsabile di società di persone, il principio di certezza delle situazioni giuridiche impone che la decorrenza di detto termine per il socio occulto receduto non possa farsi risalire alla data del suo recesso, né, tanto meno, a quella della dichiarazione di fallimento della società, poiché l’evento fallimentare non scioglie il vincolo societario, ma piuttosto a quella in cui lo scioglimento del rapporto sia portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. Occorre pertanto, in concreto, tener conto della data della eventuale pubblicizzazione del recesso o di quella in cui i creditori ne abbiano avuto conoscenza o lo abbiano colpevolmente ignorato”.
Buona lettura.
Simone Giugni
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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DOGLIOTTI Massimo - Presidente -
Dott. RAGONESI Vittorio - rel. Consigliere -
Dott. CRISTIANO Magda - Consigliere -
Dott. SCALDAFERRI Andrea - Consigliere -
Dott. ACIERNO Maria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 14543/2012 proposto da:
B.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,
_________________, presso lo studio dell'avvocato ___________, che lo
rappresenta e difende unitamente all'avvocato _______________, giusta
mandato a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO ____________S.A.S. e FALLIMENTO __________ B.M.,
in persona del Curatore Dott. _______________ elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA ______________________, presso lo studio
dell'avvocato _____________________,rappresentati e difesi
dall'avvocato ________________, giusta mandato
a margine del controricorso;
- controricorrenti -
e contro
FALLIMENTO Z.F.C., Z.F.C., M.
G., E.A., MI.LU., S.O.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 259/2012 della CORTE D'APPELLO di TRIESTE,
depositata il 24/04/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
20/10/2015 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;
udito l'Avvocato __________________, per delega orale dell'Avvocato
________________, che si riporta.
FATTO E DIRITTO
La Corte, rilevato che sul ricorso n. 14543/2012 proposto da B. M..
Nei confronti del Fallimento _____________________________Sas + 6 il Consigliere relatore ha depositato ex art. 380 bis c.p.c., la relazione che segue.
“Il relatore Cons. Ragonesi, letti gli atti depositati, osserva quanto segue:
Con sentenza del Tribunale di Pordenone n. 94/2010 il socio accomandante della _____________________. s.a.s., B.M., veniva dichiarato fallito in estensione, a seguito della dichiarazione di fallimento della società e della Z.F.C., quale soda accomandataria della società stessa.
Successivamente, B.M. proponeva reclamo contro la sentenza di estensione del fallimento, adducendo la nullità della sentenza per violazione del litisconsorzio necessario, la violazione del limite temporale annuale di fallibilità, la non fallibilità del socio accomandante, nonché l’insussistenza dei presupposti per far assumere all’accomandante la qualità di socio illimitatamente responsabile.
Con sentenza n. 251/2012, la Corte d’Appello di Trieste rigettava il reclamo e confermava la sentenza gravata con condanna del reclamante a rifondere le spese di lite del grado.
Avverso quest’ultimo provvedimento B.M. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di dieci motivi.
Hanno depositato unico controricorso il Fallimento ____________________________________________s.a.s. ed il Fallimento B. M.. Non hanno svolto attività difensiva gli altri intimati.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 102, 161 e 354 c.p.c., per non avere il Giudice d’Appello rimesso la causa al giudice di primo grado dopo avere constatato che alcuni litisconsorti necessari – il M., la E., la Mi. e la S., quali creditori istanti del fallimento, e la Z. F.C., quale socia dichiarata fallita – non avevano partecipato al primo grado di giudizio.
Con il secondo motivo lamenta la violazione degli artt. 102 e 354 c.p.c., in quanto la Corte d’Appello, dopo aver ordinato l’integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c., nei confronti del Fallimento di Z.F.C. riconoscendole, secondo il ricorrente, la posizione di litisconsorte necessario, non ha poi disposto la rimessione del giudizio al primo grado ex art. 354 c.p.c., per violazione del contraddittorio, stante la mancata partecipazione del Fallimento di Z.F. al procedimento di primo grado. A tal proposito il ricorrente si duole anche di un vizio di contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato.
I due motivi, in quanto connessi, possono essere trattati congiuntamente.
Va rammentato che a seguito delle modifiche alla legge fallimentare introdotte con il D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, i creditori che hanno proposto il ricorso di fallimento nei confronti di una società di persone o di un imprenditore apparentemente individuale non sono litisconsorti necessari nel procedimento di fallimento in estensione previsto dalla L. Fall., artt. 15 e 147, promosso ad istanza del curatore. I predetti creditori sono, invece, litisconsorti necessari nel giudizio di reclamo alla sentenza dichiarativa di fallimento proposto dal socio illimitatamente responsabile, cui il fallimento sia stato successivamente esteso, in ragione dei pregiudizi che la revoca del fallimento potrebbe arrecare alle loro pretese, che, a norma della L. Fall., art. 148, si intendono avanzate anche nel fallimento dei singoli soci (Cass. 10795/2014).
Nel caso di specie, i creditori istanti non hanno partecipato al primo grado del giudizio di fallimento del singolo socio ma sono intervenuti nel giudizio di reclamo alla sentenza di estensione del fallimento, dichiarando di accettare il procedimento allo stato in cui si trovava ed integrando, in tal modo, il contraddittorio nei loro confronti.
In riferimento alla posizione del Fallimento di Z.F.C., lo stesso non può essere considerato litisconsorte necessario nel giudizio di dichiarazione di fallimento per estensione di B. M.;
infatti, a prescindere dall’integrazione disposta dalla Corte d’Appello ai sensi dell’art. 331 c.p.c., il socio accomandatario dichiarato fallito non è parte necessaria del procedimento di fallimento per estensione del socio accomandante illimitatamente responsabile.
Ciò si desume dal fatto che nel procedimento di opposizione alla dichiarazione di fallimento della società e dei soci illimitatamente responsabili, legittimati passivi sono solo il curatore e i creditori istanti, ai sensi della L. Fall., art. 18, e non è litisconsorte il socio illimitatamente responsabile, sia perché egli non è legittimato a contestare il fondamento della dichiarazione di fallimento della società, sia perchè egli può opporsi alla estensione del fallimento nei propri confronti, facendo valere la eventuale estraneità alla compagine sociale (Cass. 20166/2004).
Il principio affermato vale a fortiori laddove si tratti del procedimento di fallimento per estensione di un socio illimitatamente responsabile, potendo, invero, il socio già dichiarato fallito intervenire ex art. 105 c.p.c., nel giudizio concernente la dichiarazione di fallimento per estensione dell’altro socio.
I motivi, pertanto, appaiono infondati.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione della L. Fall., artt. 10 e 147, osservando che la dichiarazione di fallimento è intervenuta quando ormai era decorso oltre un anno dalla dichiarazione di fallimento della società ed affermando, quindi, che a distanza di tale tempo non poteva essere dichiarato il suo fallimento in estensione.
Va a tal proposito rammentato che, in tema di dichiarazione del fallimento del socio illimitatamente responsabile di società di persone, il principio di certezza delle situazioni giuridiche impone che la decorrenza di detto termine per il socio occulto receduto non possa farsi risalire alla data del suo recesso, nè, tanto meno, a quella della dichiarazione di fallimento della società, poichè l’evento fallimentare non scioglie il vincolo societario, ma piuttosto a quella in cui lo scioglimento del rapporto sia portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. Occorre pertanto, in concreto, tener conto della data della eventuale pubblicizzazione del recesso o di quella in cui i creditori ne abbiano avuto conoscenza o lo abbiano colpevolmente ignorato (Cass. 18927/2005).
Dal richiamato orientamento di questa Corte si desume che non è corretto far decorrere il termine annuale, di cui alla L. Fall., art. 147, dalla dichiarazione di fallimento bensì dal momento in cui il socio occulto – nel caso di specie si tratta di socio limitatamente responsabile che però assume, in violazione di legge, la qualità di socio a responsabilità illimitata ed è dunque paragonabile alla posizione del socio occulto – rende i creditori edotti, con idonee forme di pubblicità, dello scioglimento del suo rapporto sociale.
La ratio della disciplina è, infatti, quella di bilanciare l’interesse del socio con l’interesse dei terzi e dei creditori i quali devono sapere con certezza che un soggetto non è più socio di una determinata società. Nel caso di specie, il Giudice di merito ha sottolineato che nessun recesso del B., volto ad attestare lo scioglimento del suo rapporto sociale con la società fallita, era stato dedotto nè pubblicizzato con adeguate forme e su tale punto il ricorrente non muove alcuna contestazione.
Ad ulteriore conferma della correttezza dell’interpretazione data dal giudice di merito, va rammentato che lo scioglimento di società in nome collettivo non comporta nè l’estinzione della società stessa, la quale continua ad esistere, sia pure sostituendo lo scopo liquidatorio a quello lucrativo, nè lo scioglimento del rapporto sociale inerente i singoli soci, i quali restano, pertanto, illimitatamente responsabili sino alla cancellazione della società dal registro delle imprese, decorrendo da tale momento il termine di un anno L. Fall., ex art. 10, per la dichiarazione di fallimento in estensione dei medesimi soci, al pari della società (Cass. 18964/2013).
Dunque, anche nella suddetta pronuncia ora richiamata, questa Corte ha individuato il giorno dal quale far decorrere il termine annuale in un evento certo, quale è la cancellazione della società dal registro delle imprese e non il semplice fallimento e scioglimento della stessa.
Il terzo motivo appare, pertanto, infondato.
Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione della L. Fall., art. 147, comma 1, sostenendo la sua non fattibilità in quanto socio accomandante nonchè l’omessa e insufficiente motivazione riguardo la scelta del giudice di merito di ritenere fallibile il socio accomandante, che per sua natura non è illimitatamente responsabile.
Invero, la Corte d’Appello ha ampiamente motivato il provvedimento dichiarativo del fallimento del B. evidenziando che lo stesso, nonostante fosse socio accomandante, aveva compiuto atti di ingerenza nella gestione sociale della società e pertanto, come sostiene la giurisprudenza di questa Corte, deve rispondere di fronte ai terzi, illimitatamente e solidalmente, per tutte le obbligazioni sociali, con conseguente sua esposizione al fallimento (Cass. 29794/2008).
Le altre censure mosse dal ricorrente attengono a profili di fatto non censurabili in questa sede di legittimità.
Con il quinto motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di un documento decisivo dal quale sarebbe risultata l’inconciliabilità tra la veste ricoperta dalla Z. all’interno del processo ed il suo ruolo di testimone e contesta, inoltre, la valutazione del giudice di merito circa l’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla Z..
Il motivo appare infondato.
Oltre a rilevare che il ricorrente continua a sostenere che la Z. F. dovesse essere considerata litisconsorte necessaria – tesi non condivisibile come già evidenziato – e, dunque, non ammissibile come testimone, va principalmente osservato che il ricorrente non contesta la reale ratio decidendi del giudice di merito il quale ha affermato che l’eventuale incapacità del testimone doveva essere eccepita subito dopo l’espletamento della prova, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., e nel caso di specie, non avendo il difensore del B. eccepito tempestivamente la nullità della testimonianza, l’eventuale incapacità del teste deve considerarsi sanata.
Con il sesto ed il settimo motivo il B. lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere il giudice del reclamo utilizzato due verbali di polizia giudiziaria ai fini della formazione del proprio convincimento, sostenendo, altresì, che tali documenti attenevano ad indagini preliminari in corso e che non potevano essere nella disponibilità della Curatela. Lamenta, inoltre, un vizio di omessa, insufficiente ed illogica motivazione circa la valutazione di credibilità del teste Z. sulla base delle sommarie informazioni rese da due soggetti in sede di indagini penali e contenute nei due verbali della p.g..
I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente, appaiono infondati.
Premesso che, circa l’illegalità della acquisizione della documentazione in questione da parte della curatela, nulla viene effettivamente dedotto ed allegato, limitandosi il ricorrente ad apodittiche affermazioni sul punto senza circostanziare in modo specifico le circostanze circa l’acquisizione dei verbali e del periodo di tempo in cui gli stessi sono stati acquisiti e, cioè, se gli stessi erano o meno coperti ancora dal segreto istruttorio, va comunque rammentato che è orientamento costante di questa Corte ritenere che il giudice civile, ai fini del proprio convincimento, può autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale e, segnatamente (come nella specie), le dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali (Cass. 22020/2007).
Inoltre, va evidenziato che l’ulteriore contestazione riguardante la valutazione della Corte territoriale circa l’attendibilità del teste, attiene ad un profilo di merito che come tale non può essere oggetto di contestazione in questa sede di legittimità.
Con l’ottavo ed il nono motivo il ricorrente contesta il vizio di omessa e insufficiente motivazione circa il valore probatorio riconosciuto alle sommarie informazioni testimoniali ed a un documento allegato dalla Curatela, attestante uno scambio di corrispondenza tra il B. ed alcuni fornitori della società.
Anche tali censure sono inammissibili perchè sotto una veste formale di vizio di motivazione in realtà il ricorrente contesta il modo in cui il giudice di merito ha valutato le risultanze probatorie. Tale contestazione non è ammissibile in quanto la valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (Cass. 1414/2015).
Con l’ultimo motivo di ricorso il B. censura l’ammissione nel giudizio di primo grado di alcuni capitoli di prova dedotti dalla curatela che, secondo il ricorrente, non chiedevano di narrare i fatti ma di esprimere delle valutazioni.
Il ricorrente sostiene che l’eccezione di inammissibilità di tali capitoli di prova era stata sollevata anche in sede di reclamo e che la Corte d’Appello abbia omesso di pronunciarsi su tale punto.
In riferimento alle dichiarazioni dei Signori M., E., Mi. e S. la contestazione mossa non è pertinente:
infatti, dalla sentenza impugnata, si desume che tali dichiarazioni non sono state utilizzate, in quanto rilasciate da creditori istanti che non potevano ricoprire il ruolo di testimoni, data l’inconciliabilità di tale veste con la posizione di parte nel medesimo giudizio.
Non vi è, invece, omessa pronuncia sull’ammissione dei capitoli della testimonianza rilasciata dalla Z.F., dal momento che la Corte territoriale ha – come già evidenziato – ampiamente motivato l’utilizzabilità di tale testimonianza sul presupposto che la Z.F. non ricoprisse la qualifica di litisconsorte necessaria nel procedimento di fallimento del B..
Inoltre, il Giudice di merito ha affermato che la nullità della testimonianza (..) deve essere eccepita subito dopo l’espletamento della prova, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2, sicchè in mancanza di tempestiva eccezione – non formulata dal difensore del B. a verbale dell’udienza del 26.10.2010 – deve intendersi sanata, senza che la preventiva eccezione di incapacità a testimoniare, proposta a norma dell’art. 246 c.p.c., possa ritenersi comprensiva dell’eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante la previa opposizione (in tal senso Cass. 8358/2007).
Risulta, dunque, implicitamente rigettata la richiesta di dichiarare inammissibili i capitoli di prova, che, infatti, sono stati specificamente considerati e richiamati nella pronuncia della Corte territoriale.
Alla luce di ciò, anche l’ultimo motivo di ricorso appare infondato.
Ove si condividano i testè formulati rilievi, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all’art. 375 c.p.c..
P.Q.M.
Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio.
Roma 20.5.15.
Il Cons. relatore”.
Considerato che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra e che pertanto il ricorso va rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 3000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi ed oltre spese forfettarie e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2015