App. Firenze 31.08.2015 (sul concordato in continuità aziendale)

Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la sentenza resa dalla Corte di Appello di Firenze in data 31.08.2015.

Nella stessa il Collegio, rigettando il reclamo promosso contro la sentenza di fallimento emessa dal Tribunale di Arezzo a seguito della dichiarazione di inammissibilità di una domanda di concordato preventivo, torna a pronunciarsi sul tema del concordato in continuità aziendale.

Il reclamante in particolare aveva eccepito che, poiché la domanda aveva ad oggetto una prosecuzione di attività limitata nel tempo, non sarebbero state applicabili alla fattispecie le prescrizioni dettate dall’art. 186 bis L.F.

Per la Corte fiorentina, invece, per concordato in continuità aziendale deve intendersi quello strutturato sopra un piano aziendale che preveda, in qualsivoglia prospettiva, la prosecuzione dell’attività di impresa e quindi “l’assunzione del relativo rischio”. Nessun pregio, invece, ha la qualificazione del concordato come di tipo “misto” (definizione che non rileva ai fini dell’identificazione di un tertium genus del concordato).

A mia modesta opinione ritengo che, di là dalla dibattuta e sempre soggettiva definizione di “continuità aziendale”, il maggior profilo di interesse della sentenza sta nell’esplicito riferimento al c.d. “rischio d’impresa”.

Laddove, infatti, permanga un fattore di incertezza sul fatto che la prosecuzione dell’attività sia funzionale o meno all’interesse dei creditori, ecco che la necessità che questi ultimi possano esprimere un consenso informato alla proposta impone le cautele di cui all’art. 186 bis L.F.

Diversamente, a mio avviso, nell’ipotesi in cui detto rischio non si riverberi sui creditori (ad esempio nel caso, già affrontato, in cui i costi della limitata prosecuzione dell’attività siano coperti da finanza esterna).

Buona lettura.

Simone Giugni

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte d’Appello di Firenze, Sezione I civile, composta dai magistrati:

 

- dott. Pietro                            MASCAGNI                            Presidente

- dott. Nicola Antonio             DINISI                                    Consigliere

- dott. Eugenia             DI FALCO                              Consigliere rel.

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

nella causa n. 504-2015 R.G. iscritta al ruolo il 12.3.2015

promossa da

M. s.r.l. in persona del legale rappresentante A.M., rappresentata e difesa dagli avv.ti A.U.P e G.V.V. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in                              , come da mandato in calce al presente reclamo

RECLAMANTE

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO di M. s.r.l. in persona del Curatore Fallimentare dr. G.B., rappresentata e difesa dall’avv. C.L. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in                  , come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta

RECLAMATA

e contro

RECLAMATO

e contro

RECLAMATA

e nei confronti del

P.M. presso il Tribunale di Arezzo

e nei confronti del

trattenuta in decisione all’udienza del 21.7.2015 sulle seguenti

CONCLUSIONI

 

Parte reclamante M. s.r.l. come da reclamo, ed ivi,

“L’Ecc.ma Corte d’Appello di Firenze voglia, ai sensi degli artt. 18 e 162 comma 3 l.f., revocare il fallimento dichiarato con sentenza n. 14/15 dal Tribunale di Arezzo nonché il provvedimento di inammissibilità della domanda di concordato n. 35/14 con ogni conseguente statuizione volta a consentire alla parte istante di percorrere la via concordataria intrapresa con la procedura n. 35/14.

In via istruttoria si chiede di voler disporre l’acquisizione del fascicolo d’ufficio contenente il fascicolo di parte del procedimento prefallimentare e di quello di concordato preventivo tra loro riuniti.

Con vittoria di spese e compensi oltre accessori di legge di entrambi i gradi di giudizio”

 

Parte reclamata Curatela del Fallimento M. s.r.l. come da comparsa di costituzione e risposta, ed ivi,

“Voglia l’Ill.ma Corte d’Appello adita, rigettata ogni contraria istanza e deduzione, respingere il reclamo ex art. 18 L.F. proposto da M. s.r.l. e, per l’effetto, confermare il provvedimento di inammissibilità emesso dal Tribunale di Arezzo il 13.2.2015 (n. cron. 279) nonché di confermare la sentenza di fallimento nei confronti di M. s.r.l. emessa il 13.2.2015 (n. 14/2015).

Con vittoria di compenso e spese”.

 

 

P.G. “visto per intervento, con reiezione del proposto reclamo”.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con decreto in data 10.2.2015 il Tribunale di Arezzo dichiarava inammissibile la proposta di concordato preventivo presentata da M. s.r.l. e con sentenza in pari data dichiarava il fallimento della stessa società.

Quanto alla inammissibilità della proposta di concordato il Tribunale rilevava in primo luogo che non risultava presentata da parte della società ricorrente, entro il termine del 15.12.2014 che era stato assegnato il 23.10.2014 ai sensi e per gli effetti dell’art. 161 c.6 L.F, una proposta concordataria sottoscritta del legale rappresentante della società ex art. 152 L.F., adempimento da ritenersi non surrogabile né dal depositato del ricorso né dalla approvazione della proposta da parte dell’organo amministrativo della società.

Sotto altro profilo il Tribunale, premesso che la proposta concordataria dovesse essere qualificata di tipo “misto” e che per la parte relativa alla continuità aziendale dovesse trovare applicazione l’art. 186 bis L.F., rilevava che con riferimento ai costi ed ai ricavi connessi alla anzidetta continuità aziendale mancasse la relazione del professionista attestatore, così da non potersi valutare la attendibilità delle stime dei flussi operate dalla società debitrice; rilevava che anche il Commissario Giudiziale, sentito all’udienza del 29.1.2015, aveva segnalato che non risultavano indicate le coperture patrimoniali atte a garantire la sostenibilità della continuità, tenuto conto in particolare della misura dei finanziamenti bancari, pari ad euro 129.000,00, rispetto ai costi della continuità, stimati in euro 650.000.

Avverso la sentenza di fallimento, con riferimento alla dichiarata inammissibilità del concordato, proponeva reclamo M. s.r.l.

Con il primo motivo di reclamo la ricorrente denunziava erroneità della decisione in punto di ritenuta mancata sottoscrizione della proposta deducendo che la società aveva allegato alla memoria difensiva depositata il 29.1.2015 la proposta concordataria sottoscritta dal suo legale rappresentante, oltre al verbale di determina del legale rappresentante del 26.1.2015 come da documenti m.1 e 2 che riproduceva in copia in allegato al reclamo; deduceva, altresì, che il legale rappresentante della società proponente aveva presenziato all’udienza del 29.1.2015 ed aveva rappresentato l’idoneità e la sostenibilità del piano concordatario, così assumendo una condotta da considerarsi indice della volontà e dell’impegno del debitore nei confronti dei creditori; in ogni caso rappresentava la possibilità di regolarizzazione degli atti, alla luce di una interpretazione sostanzialistica e di buon senso.

Con il secondo motivo di reclamo la ricorrente denunziava erroneità della decisione nella parte in cui aveva qualificato la proposta concordataria di tipo misto, e cioè con parziale carattere di continuità, sostenendo trattarsi, invece, di concordato liquidatorio, con mera previsione della prosecuzione dell’attività di impresa limitata nel tempo, assimilabile ad un esercizio provvisorio nella prospettiva della miglior liquidazione e del miglior pagamento dei creditori.

Con il terzo ed ultimo motivo di reclamo denunziava la illegittimità del giudizio di inammissibilità della domanda formulato dal Tribunale in quanto basato su argomentazioni relative alla fattibilità economica del piano sulla base della ricezione pedissequa ed acritica di una non approfondita opinione espressa dal Commissario Giudiziale e senza avere nemmeno disposto una analisi rigorosa, eventualmente rimessa ad un CTU, in violazione degli artt. 160,161,162 e 186bis l.f.

Chiedeva quindi la revoca del fallimento e del decreto di inammissibilità del concordato, con l’adozione di ogni consequenziale provvedimento idoneo a consentire alla società di percorrere la via concordataria intrapresa.

La Curatela del Fallimento di M. s.r.l. si costituiva in giudizio e previa ricostruzione dei passaggi in cui si era sviluppato il procedimento contrastava il reclamo e ne chiedeva il rigetto.

I creditori istanti D.C. e F., ritualmente intimati, rimanevano contumaci.

Il P.G. concludeva per il rigetto del reclamo.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Esaminati gli atti, la Corte ritiene che il reclamo avverso la dichiarazione di fallimento sia infondato e debba essere respinto, sulla scorta dei rilievi in fatto e delle considerazioni in diritto che seguono.

Come si è riferito nella breve esposizione che precede, i motivi di reclamo spiegati avverso la dichiarazione di fallimento attengono alla dichiarazione di inammissibilità della proposta di concordato, come previsto dall’art. 162 c.3 L.F.

Con il primo motivo di reclamo la società ha contestato la decisione di inammissibilità della proposta deducendo violazione ed errata interpretazione degli artt. 151 1 161 l.f. e 182 c.p.c. in relazione alla affermata omessa presentazione di una proposta concordataria sottoscritta dal legale rappresentante della società nel termine assegnato con provvedimento del 23.10.2014.

Secondo la reclamante tale affermazione in primo luogo sarebbe erronea perché “l’esponente ha provveduto a depositare unitamente alla memoria in vista dell’udienza fissata ex art. 162 c.2 l.f. la proposta concordataria sottoscritta dal legale rappresentante della società M. s.r.l. oltre al verbale di determina del legale rappresentante del 26.1.2015”

Il motivo, resistito ex adverso, a giudizio della Corte è infondato e deve essere respinto perché la  reclamante pur richiamando correttamente la contestata decisione del Tribunale, che riconduce l’inammissibilità della proposta alla sua mancata presentazione entro il termine che era stata assegnato allo scopo con il provvedimento 23.10.2014, deduce il proprio adempimento anziché con riferimento al termine del 15.12.2014 che era stato fissato dal Tribunale con il decreto del 23 ottobre (e che non risulta essere stato mai prorogato), con riferimento alla presentazione della proposta, sottoscritta dal legale rappresentante della società, effettuata “in vista dell’udienza fissata ex art. 162 l.f.” vale a dire il 28.1.2015.

Il reclamante, inoltre, non riferisce che già con il decreto in data 8.1.2015 depositato in data 9.1.2015 e ritualmente comunicato, il Tribunale aveva rilevato che con ricorso in data 15.12.2014 m: s.r.l. aveva presentato una proposta concordataria “ non sottoscritta dal legale rappresentante della società debitrice né approvata nelle forme di cui all’art. 152 l.f. così come stabilito dall’art. 161 c.4 l.f. ” ed aveva segnalato la “portata potenzialmente assorbente della suddetta omissione”.

Del resto, osserva la Corte, l’udienza fissata ex art. 162 l.f. cui si riferisce la reclamante è l’udienza che il Tribunale è tenuto a fissare per sentire il debitore quando ritiene che non ricorrano i presupposti per l’ammissione alla procedura, e non per la presentazione di proposte nuove quale risulta essere quella presentata dalla debitrice in vista dell’anzidetta udienza, in ipotesi sottoscritta dal legale rappresentante della società debitrice.

Poiché, in definitiva, non è contestato che la proposta concordataria presentata entro il termine fissato del 15.12.2014 fosse priva della sottoscrizione del legale rappresentante della società debitrice, requisito previsto dall’art. 161 c.1 l.f., il motivo deve essere respinto.

Alla fattispecie, che riguarda gli effetti sostanziali dell’atto, e la sua stessa esistenza quale proposta del debitore nei confronti della massa dei creditori, non risulta applicabile l’art. 182 c.p.c. invocato della reclamante, posto che quest’ultima disposizione disciplina il difetto di rappresentanza o di autorizzazione a stare in giudizio della parte e la possibilità di sanatoria delle irregolarità di un termine perentorio assegnato dal giudice.

Con il secondo ed il terzo motivo di gravame che, per la loro connessione, devono essere esaminati congiuntamente, la reclamante ha dedotto erroneità ed illegittimità della decisione di inammissibilità della proposta concordataria per violazione ed errata interpretazione degli artt. 160,161 e 186 bis l.f. con riferimento alla qualificazione della proposta stessa in termini di concordato “misto” e degli artt. 160, 161, 162 e 186 bis l.f. con riferimento alla valutazione della fattibilità economica del piano.

Anche questi motivi, che attengono ad una autonoma ratio decidendi circa la inammissibilità della proposta rispetto a quella sopra esaminata, sono infondati e devono essere disattesi.

Non è contestato, in fatto, che la relazione del professionista di cui all’art. 161 terzo comma L.F., depositata il 15.1.2015 unitamente al ricorso per l’apertura di concordato – doc. 5- non contenga l’attestazione, ex art. 186 bis c.2 lett. B) che la prosecuzione dell’attività di impresa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.

Secondo la reclamante, tuttavia, l’art. 186 bis L.F. non dovrebbe applicarsi alla fattispecie perché la proposta concordataria non sarebbe di tipo “misto”, come, a suo dire erroneamente, ritenuto dal Tribunale ma “essenzialmente liquidatoria” e ciò sia perché per concordato misto dovrebbe intendersi quello in cui la prosecuzione dell’attività di impresa avviene mediante l’utilizzazione di una parte soltanto dell’attivo mentre, nella specie, è prevista una continuazione dell’attività, assimilabile ad un esercizio provvisorio, in funzione della successiva liquidazione integrale dell’attivo, sia perché la prospettiva di continuazione è limitata nel tempo ed in funzione del miglior soddisfacimento dei creditori.

Secondo la reclamante, inoltre, a prescindere dalla qualificazione del concordato, il Tribunale illegittimamente avrebbe scrutinato la convenienza economica della proposta con specifico riferimento alla sostenibilità della continuità dell’esercizio dell’attività di impresa, esaminando questioni che avrebbero dovuto essere rimesse alla valutazione dei creditori e, al contrario, trascurando di esaminare elementi significativi ai fini della realizzabilità del piano, tra cui in particolare la lettera del 12.12.2014 della Cassa di risparmio di Firenze, principale creditore privilegiato della società, con la quale era stata mostrata disponibilità alla prospettiva di completamento degli immobili.

A giudizio della Corte, come si è anticipato, questi motivi sono infondati e devono essere respinti.

In primo luogo deve disattendersi l’assunto della reclamante secondo cui il proposto concordato sia di tipo liquidatorio e, come tale, non soggetto alla disciplina prevista dell’art. 186 bis L.F.

La proposta, come si legge a pag. 16 del documento prodotto dalla società come detto il 28.1.2015, è la seguente “ l’operazione concordataria prevede, quindi, in via preliminare la vendita di alcuni immobili già terminati o per i quali si è ritenuta più opportuna la vendita al grezzo, sia per dare esecuzione ad alcuni preliminari di vendita già parzialmente eseguiti ( con l’incasso di somme) che per consentire la formazione di una prima liquidità che consentisse di procedere con gli impegni del concordato, e con la finitura degli altri immobili, per consentire il realizzo ad un valore sensibilmente superiore. Per quanto riguarda i preliminari di vendita, si considera come credito, ai fini del piano concordatario, il valore indicato nei compromessi al netto degli importi già versati/permutati. La società pertanto non richiede lo scioglimento di tali contratti, così come concesso dall’art. 169 bis. L. Fall. Considerando che l’esecuzione degli stessi risulta essere ad oggi la miglior opzione per la soddisfazione del ceto creditorio, essendo già identificati i compratori.

Successivamente si provvederà alla finitura degli altri immobili, per poi procedere alla vendita e l’intera operazione dovrebbe trovare la sua naturale conclusione entro giugno 2018”.

Giova premettere che per concordato in continuità aziendale come disciplinato dalla legge fallimentare deve ritenersi qualificato dalla modalità di adempimento dell’obbligazione di pagamento che presuppone la prosecuzione dell’attività di impresa, prosecuzione che è previsto possa avvenire sotto la persistente gestione del debitore, oppure attraverso la cessione dell’azienda a terzi o, infine, per mezzo del conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società appositamente costituite, e può prevedere anche la liquidazione dei beni non funzionali all’esercizio della impresa.

Nella fattispecie concreta la Corte ritiene del tutto condivisibili le considerazioni svolte dal primo giudice in ordine alla riconducibilità della proposta concordataria alla previsione dell’art. 186 bis L.F., quale concordato con continuità aziendale.

La continuità aziendale, infatti, è ravvisabile nel prospettato programma di definizione dei contratti preliminari di alcuni immobili e di completamento dei lavori di costruzione di altri, secondo un cronoprogramma di durata triennale che prevede talune vendite in funzione della realizzazione della liquidità necessaria per sostenere le altre attività.

Appare perciò immune da censure il provvedimento del Tribunale reclamato che ha qualificato il concordato di tipo “misto”, espressione che, peraltro deve ritenersi sia stata utilizzata non in senso tecnico per fare riferimento ad un tertium genus rispetto al concordato liquidatorio ed a quello in continuità aziendale che non appare configurabile ma semplicemente per indicare che quantomeno con riferimento alla parte della proposta inerente il completamento degli immobili e la loro successiva collocazione sul mercato, la proposta stessa risultava riconducibile a quello in continuità, con le conseguenze, in termini di obblighi di allegazione ricadenti sul proponente, previste dall’art. 186 bis L.F.

Per completezza sul punto si rileva che non ha fondamento normativo la definizione di concordato misto prospettata dalla reclamante a sostegno del motivo di doglianza, che, cioè, sarebbe tale quello che prevedrebbe che l’attività aziendale prosegua mediante l’utilizzazione di una parte soltanto dell’attivo mentre altra parte viene liquidata atomisticamente; quella così definita, infatti, è una delle ipotesi di concordato con continuità espressamente previste dall’art. 186 L.F., risulta caratterizzata come le altre, dalla circostanza della prosecuzione dell’attività di impresa.

Ciò posto, poiché è pacifico che la proposta concordataria avente i caratteri della continuità aziendale non sia stata corredata dalla relazione prevista dal piano concordatario è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori, deve confermarsi la decisione di inammissibilità della proposta di concordato per l’impossibilità di valutare la fattibilità giuridica della proposta stessa.

Come ha avuto occasione di affermare la Suprema Corte “ …. L’obbligo per il tribunale di verificare la completezza e la regolarità della documentazione depositata a sostegno della domanda di concordato risulta infatti, innanzitutto, dalle indicazioni testuali del legislatore, che per l’appunto ha espressamente subordinato l’apertura della procedura al riscontro operato dal giudicante sotto tale aspetto (l fall. Art. 163). Al di là del dato testuale, di per sé assorbente, alle medesime conclusioni si perverrebbe tuttavia anche ove mancasse la norma ora richiamata, alla luce della configurazione dell’istituto del concordato preventivo, quale risultante dai reiterati interventi normativi succedutesi a far tempo dalla L. 14 maggio 2005, n. 80. Come è noto, il legislatore con l’intervento riformatore della disciplina del concordato preventivo ne ha inteso rafforzare i profili negoziali rispetto a quelli pubblicistici; ed ha quindi rimesso direttamente ai creditori la valutazione in ordine alla economicità della soluzione proposta dal debitore, assegnando al giudice il compito di controllare la regolarità della procedura, anche sotto il profilo dell’esistenza dei presupposti giuridici idonei a consentirne un esito positivo: la nuova disciplina ha dunque segnato un arretramento dei compiti del giudice per quanto riguarda la convenienza economica della proposta concordataria, poiché non più sottoposta alla sua valutazione, ed a tale arretramento ha fatto corrispondente seguito nello stesso ambito un avanzamento delle competenze dei creditori, chiamati direttamente a decidere sulla bontà dell’offerta, e non più sostenuti dall’intervento tutorio del giudice. Da ciò discende che il presupposto per il corretto esercizio del nuovo compito assegnato ai creditori va individuato nella completezza e nell’affidabilità della documentazione prodotta ( illustrata ed interpretata dapprima dal professionista attestatore, e quindi dal commissario giudiziale), perché solo la puntuale conoscenza della situazione realmente esistente può consentire loro di esprimere convenientemente il giudizio che sono chiamati a formulare …” (cfr. Cass. Sez. I, 4.6.2014 n. 12549).

A tali condivisibili principi, che la Corte condivide, si è attenuto il Tribunale, laddove ha sottolineato l’impossibilità di verificare, in assenza della relazione del professionista attestatore prevista dall’art. 186 bis L.F., con riferimento i flussi e ai costi e dei ricavi connessi alla prosecuzione dell’esercizio dell’impresa, la veridicità dei dati esposti dal debitore, la tenuta della continuità aziendale e la sua funzionalità al miglior soddisfacimento dei creditori. Nonché un illegittimo sindacato circa la fattibilità economica del piano, il Tribunale ha effettuato un doveroso rilievo del difetto di allegazione prescritto dalla legge proprio in funzione della corretta informazione dei creditori.

La infondatezza dei motivi di doglianza attinenti alla declaratoria di inammissibilità del concordato determina il rigetto del decreto avverso la dichiarazione di fallimento.

Tenuto conto della contumacia dei creditori istanti (che, a differenza della Curatela, potrebbero giovarsi della condanna della fallita al pagamento delle spese processuali dopo il suo ritorno in bonis) non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente procedimento.

Si da atto che sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13 comma 1 quater D.P.R. 115-2002.

P.Q.M.

 

La Corte d’Appello, definitivamente pronunziando, ogni diversa domanda, eccezione o difesa disattese,

respinge il reclamo di M. s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Arezzo n. 14-2015 in data 10.2.2015, depositata in data 13.2.2015, dichiarativa del suo fallimento;

da atto che sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13 comma 1 quater D.P.R. 115-2002.

Così deciso in Firenze, nella camera di consiglio del 21 luglio 2015

 

Il consigliere Estensore                                                                                Il Presidente

Dr. Eugenia Di Falco                                                                                     dr. Pietro Mascagni

 

 

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