App. Firenze 07.04.2016 (sull’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti)
Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio il decreto del 07.04.2016 con il quale, in riforma della pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Firenze, la competente Corte di Appello ed ha omologato l’accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato ex art. 182 bis L.F. da tre società coinvolte nell’operazione di composizione.
Nell’esame dei motivi di reclamo, il Collegio coglie l’occasione per ricordare che l’accordo di ristrutturazione dei debiti non dà luogo ad una procedura concorsuale e resta destinato a produrre effetti solo sul piano negoziale.
Nel quadro delineato dall’art. 182 bis L.F., infatti, manca sia un provvedimento di apertura che la nomina di organi di gestione o controllo dell’impresa. Gli effetti dell’accordo, inoltre, non incidono sui rapporti pendenti, non coinvolgono la massa dei creditori e restano sostanzialmente limitati ai creditori aderenti.
Scendendo nell’esame dei profili processuali che emergono dalla pronuncia, il Giudice di secondo grado ritiene preferibile che la domanda di omologazione dell’accordo sia preceduta dalla pubblicazione del medesimo nel Registro delle Imprese, affermazione questa che non posso non condividere, non fosse altro perché non si può chiedere l’omologazione di un accordo che non sia “efficace” e quindi comprensivo della sua pubblicazione.
Dal punto di vista sostanziale, invece, la Corte rileva che l’attestazione può dirsi completa anche laddove, nell’ambito di un accordo di gruppo, siano esaminate congiuntamente le posizioni dei creditori aderenti, purché dall’elaborato si evinca con precisione la consistenza dell’attivo e del passivo di ciascuna società ricorrente.
In ordine alla “cristallizzazione” dei dati contabili, infine, il Collegio evidenzia come uno scarto rispetto alla valutazione è inevitabile e quindi fisiologico, visto che (come accade anche in sede di redazione del bilancio) non è possibile fotografare definitivamente una situazione in continua evoluzione.
Non esistono quindi ostacoli all’omologazione dell’accordo.
Buona lettura.
Simone Giugni
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Corte d’Appello di Firenze, 7 aprile 2016. Presidente De Simone.
Relatore Monti.
Decreto
Cenni sulla vicenda processuale.
Con ricorsi depositati l’11 agosto 2015 presso la Cancelleria del Tribunale di Firenze, le società Ir. s.p.a., Ir. Holding s.r.l. ed Immobiliare Po. V. s.r.l., facenti capo allo stesso gruppo di controllo, chiedevano separatamente l’omologazione ai sensi dell’art. 182 bis l.f. dell’accordo di ristrutturazione congiuntamente stipulato coi creditori il 24 luglio 2015 e pubblicato il 30 luglio 2015 nel registro delle imprese. Tale accordo, sottoscritto essenzialmente dalle banche portatrici delle posizioni creditorie largamente prevalenti (per l’84,27% nella Ir., il 97,32% nella Ir. Holding ed il 79,89% nella Immobiliare Po. V.), prevedeva in sostanza la postergazione, e/o lo stralcio e/o la conversione dell’indebitamento in strumenti finanziari partecipativi (SFP) assimilabili ad apporti di capitale, in modo da consentire alle tre società del gruppo di soddisfare con le risorse rese correlativamente disponibili tutti i creditori estranei nell’arco di tempo previsto dalla legge. I ricorsi erano accompagnati dalla relazione di attestazione congiuntamente rilasciata da un professionista abilitato in ordine alla veridicità dei dati aziendali ed all’attuabilità del piano di ristrutturazione.
All’esito dell’istruttoria, con decreti emessi il 21 ottobre 2015, il giudice adito negava l’omologazione, sulla base di considerazione di tipo procedurale, contabile e lessicale. Dal primo punto di vista, il Tribunale censurava che l’accordo fosse stato prima pubblicato nel registro delle imprese e poi sottoposto all’omologazione, mentre sarebbe stato più corretto seguire l’ordine inverso. Dal secondo punto di vista, si deprecava che l’attestazione fosse stata concepita in forma aggregata, senza riferimento analitico alla posizione di ciascuna delle società coinvolte, col risultato di rendere “poco chiara e specifica” le situazioni patrimoniali inerenti; secondariamente, sempre nell’ottica della rappresentazione dei dati aziendali, l’attestazione appariva al giudice non sufficientemente aggiornata, in quanto riferita al 31 dicembre 2014 senza tener conto delle modifiche verosimilmente sopravvenute medio tempore. Dal terzo punto di vista, il provvedimento negativo segnalava “una sorta d’incertezza” sulla definitività del vincolo negoziato coi creditori, talvolta evocato dall’attestatore allo stato di progetto o trattativa, “ma soprattutto” esprimeva perplessità sul carattere soggettivo della formula utilizzata dal professionista: “si ritiene di poter essere in grado di dichiarare”, tale da rendere incerta l’assertività oggettiva della dichiarazione.
Avverso tali decisioni, le società interponevano altrettanti reclami ex art. 182 bis comma 5 l.f., separati ma praticamente identici, dolendosi in estrema sintesi di quanto segue.
Sulle modalità procedurali da seguire, non precisate dalla legge e controverse in dottrina e giurisprudenza, la difesa, pur continuando a ritenere che la pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese dovesse precedere e non seguire l’omologazione, sminuiva comunque la rilevanza della questione, riducendola a livello di mera irregolarità sanata dal congiunto verificarsi dei due elementi (pubblicazione e omologazione), da ritenersi indifferentemente perseguibili in ordine alterno, nel silenzio del legislatore, ferma restando ovviamente l’identità del testo
Quanto all’accordo “di gruppo”, essendo pacifica la possibilità di concentrare nello stesso accordo la posizione di più società collegate, la relazione dell’attestatore conteneva nondimeno “separati riferimenti alle singole componenti attive e passive e dunque alle distinte posizioni delle tre società e dei relativi creditori” (pag. 11 reclamo), così da soddisfare le esigenze di analiticità richiamate dal Tribunale e da offrire ai terzi “una rappresentazione che consenta una valutazione distinta per ciascuna società”(ib. Pag. 12).
Circa l’aggiornamento dei dati contabili, la difesa evidenziava l’impossibilità di pervenire all’omologazione con una rappresentazione in tempo reale, stante la complessità dell’iter da percorrere, articolato in più fasi progressive – quella della formazione dell’accordo (nella specie coinvolgente imprese bancarie dotate di appari deliberativi tutt’altro che snelli), quella dell’esame dell’attestatore e, infine, quella del controllo giudiziale e della relativa istruttoria – e faceva notare come analogo differimento si verifichi di regola per l’approvazione del bilancio, che giunge parecchi mesi dopo la chiusura dell’esercizio, imponendo semmai di verificare l’incidenza delle dinamiche successive, senza però inficiare l’attendibilità del punto di partenza, tanto più che l’esattore aveva nella specie esaminato l’evoluzione al 31 marzo 2015 delle principali voci contabili, ribadendo l’attuabilità del piano e constatando il raggiungimento degli obiettivi di periodo. Nel settembre 2015 le società avevano poi redatto una situazione al 30 giugno 2015 che evidenziava risultati addirittura più favorevoli di quelli previsti.
Sotto il profilo lessicale, a parere della difesa i rilievi del Tribunale erano privi di fondamento, dal momento che, né il testo dell’attestazione, né la formula conclusiva, lasciavano dubbi sui contenuti. Lo sporadico utilizzo del termine “proposta”, o “trattativa”, in luogo di “accordo”, era spiegabile col fatto che l’esame del professionista era iniziato prima della sottoscrizione finale dei creditori, poi comunque intervenuta a tale da rendere l’oggetto indiscutibile. Tanto meno lo stile introduttivo della formula di attestazione rinnegava l’assunzione di responsabilità inerente, esplicitamente sancita nella dichiarazione finale con cui il professionista aveva affermato la veridicità dei dati e l’attuabilità del piano di ristrutturazione. Del resto, permanendo qualche dubbio in proposito, il Tribunale avrebbe dovuto semmai convocare l’asseveratore, non certo negare l’omologazione.
Da ultimo, le società reclamanti enfatizzavano come l’accordo non avesse incontrato la minima opposizione del ceto creditorio, che anzi lo aveva accettato in misura largamente preponderante, prestandosi a convertire in partecipazione di capitale oltre € 27 milioni di debiti e concedendo oltre € 8 milioni di stralci, con un beneficio finanziario complessivo di oltre € 35 milioni a tutto vantaggio dei creditori residuali, destinato a svanire in mancanza di omologa, così da travolgere le sorti di una realtà imprenditoriale, che aveva sì incontrato seri problemi finanziari, ma era validissima dal punto di vista produttivo e tecnologico, al punto da svolgere un ruolo leader nel mercato di riferimento, con l’impiego di circa 350 dipendenti.
Previa riunione dei tre procedimenti, la causa è stata discussa trattenuta in decisione all’udienza camerale odierna.
Concisa esposizione dei motivi della decisione
Giova preliminarmente ricordare come l’accordo di ristrutturazione dei debiti non dia luogo ad una procedura concorsuale, essendo destinato a produrre effetti sul piano negoziale. Nel quadro delineato dall’art. 182 bis l.f., manca invero un provvedimento di apertura a cui facciano seguito progressivi adempimenti giudiziali, così come manca la nomina di organi di gestione o di controllo dell’impresa, che resta saldamente nelle mani dell’imprenditore e sotto la sua esclusiva responsabilità. Gli effetti dell’accordo, coerentemente, non incidono sui rapporti pendenti e non coinvolgono la massa dei creditori in quanto tale, ovvero non si riverberano erga omnes, ma restano limitati ai creditori aderenti, se non per l’introduzione di un modesto termine generale di moratoria: in particolare, siccome l’accordo deve consentire il pagamento integrale dei creditori estranei entro un certo limite, la legge inibisce momentaneamente le azioni cautelari ed esecutive, inoltre sospende il decorso delle prescrizioni ed evita le decadenze che si sarebbero verificate nel frattempo. Vigente il principio dell’autonomia privata, questo è l’unico aspetto coinvolgente i terzi cui dovrebbe preoccuparsi il giudice nel concedere l’omologazione, mentre, negandola, egli impedisce l’esplicarsi degli effetti negoziali in capo a coloro che li hanno sottoscritti.
La profonda simmetria che viene in tal modo a manifestarsi sui fronti contrapposti degli interessi in gioco non può che indurre a guardare con estremo favore l’omologazione degli accordi di ristrutturazione, non tanto per acritico ossequio al dogma della volontà negoziale, quanto perché lo strumento, evitando in radice l’impiego di costosi rimedi concorsuali, porta in dote un risultato di grande importanza collettiva: il superamento della crisi d’impresa, se non addirittura la rimozione dello stato d’insolvenza. Anche per questo, non possono condividersi le argomentazioni addotte dal Tribunale a sostegno del provvedimento reiettivo, che si ritengono prive di fondamento giuridico.
Cominciando l’esame dal tema procedurale, l’opzione ermeneutica che antepone il deposito dell’accordo di ristrutturazione presso il registro delle imprese alla domanda di omologazione sembra decisamente preferibile a quella inversa suggerita dal giudice di primo grado, animata dalla preoccupazione, francamente poco comprensibile, di “sancire l’identità dell’accordo pubblicato con quello oggetto di deposito” o di “consentire ai creditori di consultare la documentazione completa”. Non v’è chi non veda che la coincidenza tra due cose qualsiasi può essere riscontrata a distanza di tempo soltanto confrontando la seconda con la prima, sicché può rientrare sotto il potenziale controllo del Tribunale la conformità fra il testo dell’accordo sottoposto all’omologazione e quello già depositato nel registro delle imprese, mentre sfugge al suo dominio l’eventuale pubblicazione successiva di un accordo diverso da quello omologato, il che all’evidenza depone a favore della tesi sostenuta dalle società reclamanti. Quanto alla documentazione di supporto, la legge non ne parla, parla soltanto dell’accordo, ed è ragionevole ridurre a questo l’interesse dei creditori, tanto più in presenza di un’attestazione professionale esterna sulla veridicità dei dati, che ad esempio manca nel caso dei bilanci, pubblicati sotto la esclusiva responsabilità degli organi sociali e senza il corredo di pezze giustificative. Tra l’altro, è arduo immaginare in che modo un creditore qualunque – prima della pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese, essendo per puro caso venuto a sapere che è stata depositata una domanda di omologazione ex art. 182 bis l.f. – potrebbe mai accedere (a che titolo?) presso la cancelleria del Tribunale alla documentazione allegata dal debitore ricorrente. Esaurita con questo la pars destruens, militano costruttivamente a favore della soluzione procedurale opposta argomenti sia logici che letterali. Se infatti, a norma dell’art. 182 bis l.f., entro 30 giorni dalla pubblicazione dell’accordo i creditori possono proporre opposizione al Tribunale, il quale, decise le opposizioni, procede all’omologazione, questo ragionevolmente significa che l’omologazione deve seguire la pubblicazione dell’accordo e non precederla. Se così non fosse, sarebbe stato quanto meno necessario disciplinare un autonomo giudizio di opposizione successivo, mentre nel meccanismo concepito dal legislatore l’opposizione – innescata dal creditore che ovviamente ha già visto l’accordo e non lo gradisce – può razionalmente svolgersi davanti al giudice dell’omologazione condizionandone in contraddittorio il risultato. Detto altrimenti, sembra del tutto logico innestare l’opposizione nel giudizio di omologazione dell’accordo di ristrutturazione già pubblicato e già efficace inter partes, in coerenza a quanto avviene in forza del (non lontano) disposto dell’art. 180 l.f. nel caso del concordato preventivo approvato dai creditori. In tale quadro, l’omologazione consolida verso i terzi (nei limiti precisati) gli effetti della pubblicazione, mentre il diniego li travolge.
Passando all’esame della sostanza contabile, non v’è dubbio che i rilievi del Tribunale assumano maggior pregnanza, non tanto con riferimento al problema dell’aggiornamento dei dati, quanto con riferimento alla fisionomia marcatamente “di gruppo” e centrata su Ir. s.p.a. della relazione di asseverazione, dalla quale risulta nondimeno possibile estrapolare i dati patrimoniali essenziali anche delle altre due società coinvolte. In particolare, per quanto concerne l’attivo, la tabella inserita a pag. 18 riporta schematicamente i cespiti al 30 settembre 2014 ed al 31 dicembre 2014 dei tre enti societari, mentre la narrativa seguente contiene una disamina esplicativa non priva di riferimenti alle situazioni specifiche, oltre che “un’analisi sull’evoluzione al 31 marzo 2015 delle principali voci di bilancio che potenzialmente possono presentare criticità (pag. 18 ib.). Per quanto concerne il passivo ed il patrimonio netto, analoga tabella si trova a pag. 48 scandita dagli stessi estremi temporali e parimenti seguita da commenti esplicativi che prendono in considerazione tutt’e tre le società.
Ma l’indicazione realmente determinante si trova a pag. 48, laddove, sotto la rubrica “situazione debitoria e requisiti richiesti dall’art. 182 bis l.f.”, l’attestatore, “dopo avere verificato le voci esposte nella situazione patrimoniale e riscontrato la corretta imputazione delle varie voci”, si cura di “riportare una sintesi chiara dell’esposizione debitoria (…) evidenziano i creditori aderenti alla proposta di accordo di ristrutturazione e quelli che, invece non lo sono”.
Così prende corpo l’ultima tabella esposta a pag. 49, che riassume i debiti sottoposti al trattamento di ristrutturazione (157,97 migliaia di euro per Ir., 17,40 per Immobiliare Po.V. e 10,76 per Ir. Holding), autorizzando il professionista a concludere che “stante i dati e i calcoli riportati (…) i creditori aderenti alla proposta di accordo rappresentano rispettivamente l’84,27% per Ir. s.p.a., il 79,98% per Immobiliare Po.V. s.r.l. in liquidazione e il 97,32% per Ir. Holding s.r.l.” (ib.). A fronte di ciò, si potrà criticare l’impostazione seguita dall’attestatore, ma non negare la capacità dell’elaborato di far comprendere la consistenza dell’attivo e del passivo di ciascuna società ricorrente.
In ordine al differimento cronologico dei dati, bisogna riconoscere che lo scarto rispetto al momento della valutazione è in certa misura inevitabile e quindi fisiologico. Estrarre un resoconto istantaneo da un flusso continuo e complesso di eventi aziendali prende di per sé un certo tempo, ma soprattutto, dopo averlo fatto, ci vuole altro tempo per operare una pluralità sequenziale di valutazioni, da parte dei creditori, dell’attestatore, del Tribunale. Ora la catena si è allungata, perché dopo il Tribunale è toccato alla Corte d’Appello e ci sono voluti altri mesi, d’altra parte l’accordo resta sempre quello, basato su quei dati, e non si può pensare di farne stipulare un altro più aggiornato, anche perché finirebbe sotto la stessa trafila consumando altro tempo. D’altra parte, non a torto, la difesa fa notare come lo stesso inconveniente si verifichi abitualmente per l’approvazione del bilancio, che arriva molti mesi dopo la chiusura dell’esercizio, eppure resta il più valido strumento per apprezzare la realtà societaria. Siccome l’osservazione non può che essere condivisa, da un lato occorre fare il possibile per accorciare l’attesa, d’altro lato bisogna rassegnarsi a convivere con la tirannia del tempo, che può essere adeguatamente combattuta, non già spostando in continuazione l’oggetto della valutazione, bensì monitorando l’incidenza tendenziale degli accadimenti sopravvenuti, onde verificare che non alterino il quadro di riferimento iniziale al punto da fargli perdere significatività. Nella specie, non solo l’attestatore aveva già soppesato l’evoluzione della situazione contabile fino al marzo 2015, ma le notizie più recenti inducono confermare la validità del piano di ristrutturazione, mostrando il raggiungimento degli obiettivi di periodo. In ogni caso, non consta che terzi creditori abbiano presentato istanze di fallimento o promosso azioni esecutive contro le società reclamanti, né tanto meno risulta che i creditori aderenti abbiano rinnegato o disdettato l’accordo, la cui permanente efficacia, si noti, era espressamente subordinata all’ottenimento dell’omologazione entro 9 mesi dalla stipulazione (non ancora decorsi, anche se ormai vicini). Questo significa che gli stessi creditori, prefigurandosi tempi non brevi per giungere all’omologazione, avevano considerato validi entro quell’orizzonte temporale i dati contabili di partenza, sicché non si vede ragione per opinare d’ufficio diversamente.
Anche sotto il profilo formale-terminologico, i rilievi mossi dal Tribunale sembrano tranquillamente superabili. Al riguardo, è opportuno in via preliminare segnalare che esistono 2 versioni della relazione di asseverazione, la prima in data 14 luglio 2015 (anteriore alla sottoscrizione dell’accordo del 24 luglio 2015) fa riferimento alla bozza preparatoria, mentre la seconda, in data 6 agosto 2015, rinnova la precedente riferendosi all’accordo ormai raggiunto. Ora, è ben vero che anche quest’ultima, per evidente refuso, mantiene qualche richiamo alla “proposta” o alle “trattative”, nondimeno si riferisce chiaramente al testo definitivo, che del resto è allegato alla relazione stessa, in modo da rendere inequivoco e tangibile l’oggetto della dichiarazione.
Come rimarca la difesa, non essendo dubbio che l’accordo sia stato infine sottoscritto nei termini asseverati, l’averlo talvolta definito accidentalmente “proposta” non ne muta la natura vincolante, né inficia i contenuti dell’asseverazione. Come se non bastasse, il dott. Vr. è comparso all’odierna udienza insieme ai difensori e alle parti, riassumendosi implicitamente la paternità della dichiarazione giurata e del suo oggetto, il che vale a dissipare definitivamente ogni dubbio al riguardo. Quanto al tenore letterale della formula dichiarativa, il fatto che l’attestazione sia introdotta (alle prime righe di pag. 90) dalla involuta locuzione soggettiva “si ritiene di poter essere in grado di dichiarare” non può far obliterare che comunque essa si conclude (alle ultime righe della stessa pagina) in termini oggettivi e perentori, con la seguente espressione: “in conclusione, ai sensi dell’art. 182 bis l.f., si attesta: la veridicità dei dati contabili contenuti nella situazione patrimoniale al 31 dicembre 2014 posti a base del piano e degli accordi di ristrutturazione; l’attuabilità degli accordi di ristrutturazione dei debiti; l’idoneità del piano di rimborso ad assicurare il regolare pagamento dei creditori non aderenti all’accordo entro 120 giorni, rispettivamente, dall’omologazione per i debiti già scaduti a quella data, ovvero dalla loro naturale scadenza, per i debiti non ancora scaduti alla data di omologazione”, così soddisfacendo pienamente le esigenze di assertività imposte dalla legge. Confutate le ragioni del diniego proveniente dal Tribunale, l’esposizione degli elementi favorevoli all’omologazione può essere relativamente rapida. Nulla resta da aggiungere, in particolare, per quanto concerne la veridicità dei dati contabili, direttamente attestata dal professionista e non contraddetta da alcun elemento di prova contraria, anche solo a livello di sospetto. In ordine alla fattibilità del piano di ristrutturazione, giova ricordare che gli accordi, trasfusi in un articolato estremamente ampio e complesso, anche perché sostituisce un precedente patto siglato coi creditori nel 2010, “si sostanziano (i) in un allungamento dei termini di ripagamento del debito finanziario (…) sulla base di un meccanismo di ‘parametrazione’ del rimborso del debito sulla base (ii) di una conversione di parte dell’indebitamento finanziario di medio/lungo termine in strumenti finanziari partecipativi di capitale” (pag. 66 rel.). In particolare, è previsto il rimborso a partire dal 2016 fino al 2019 di una componente minima annuale dell’esposizione finanziaria verso i creditori aderenti, mentre dal 2020 sino al termine del piano sarà attuato un ammortamento corrispondente ai flussi di cassa generati a servizio del debito, al netto di un minimo di € 450.000,00 e fatta salva l’eventuale maggior eccedenza che dovesse residuare alla chiusura di ogni esercizio. Una quota di circa € 35.321.000,00 (pari a circa il 26,2% dell’indebitamento finanziario totale, indicato in € 134.800.000,00 circa al 31 dicembre 2014) verrà invece, per circa € 8.274.000,00 stralciata e per € 27.047.000,00 circa convertita in strumenti finanziari partecipativi (SFP) emessi da Ir., ovvero dalla realtà economica incomparabilmente più consistente del gruppo, destinata ad incorporare Ir. Holding, mentre l’Immobiliare Po.V. verrà definitivamente liquidata attraverso la dismissione del patrimonio e la restituzione ai concedenti dei cespiti in leasing. Gli SFP verranno sottoscritti dal ceto bancario aderente all’accordo di ristrutturazione attraverso la conversione del credito, col riconoscimento di un regime privilegiato rispetto alla posizione dei precedenti soci in vista di eventuali proventi distribuibili. A sostegno del capitale circolante, ovvero per consentire la prosecuzione ordinaria dell’attività d’impresa, gli accordi prevedono il mantenimento delle linee di credito commerciale in essere, con un meccanismo di rinnovo annuale per tutto l’arco di attuazione del piano. Gli effetti dell’accordo sul patrimonio netto contabile della società capofila si faranno sentire in termini di un drastico incremento dei mezzi propri e di una correlativa riduzione delle passività, destinati i primi a passare da € 4.107.000,00 circa nel 2014 ad € 26.387.000,00 circa nel 2015, con parallela riduzione dell’esposizione finanziaria stimata in misura di € 28.328.000,00 circa e destinata ad attestarsi nel 2023 intorno ad € 61.628.000,00 (cfr. pag. 68 rel.), ovvero meno della metà della situazione di partenza. L’esame dei flussi di cassa intermedi, seppur nello scenario industriale più pessimistico, consentirà a parere dell’asseveratore, anche in virtù di un parziale rinnovo dello scadenzario concordato coi fornitori, di soddisfare il ceto estraneo all’accordo (cfr. il paragrafo 11: “esame dei flussi finanziari per il soddisfacimento dei creditori estranei all’accordo” a pag. 87 e segg. rel.) nei tempi previsti dalla legge.
Ovviamente, esula dalle competenze di questo giudice valutare l’efficienza del business plan, ma non v’è dubbio che lo sforzo illustrato vada nella direzione giusta e gli argomenti spesi dal professionista che lo attesta si mostrano esaurienti, ben sviluppati e convincenti, promettendo il riequilibrio economico e persino il ritorno alla redditività del gruppo costituito dalle tre società reclamanti. D’altra parte, i creditori che hanno sottoscritto il piano di ristrutturazione evidentemente ci credono, tanto da avere sopportato consistenti sacrifici per vararlo, mentre quelli che vi sono rimasti estranei non perdono suo tramite alcun mezzo di tutela ed in qualunque momento, cessata la breve moratoria accordata dalla legge, potrebbero liberamente far valere le proprie ragioni, al limite anche in direzione di uno sbocco concorsuale. Ora, se i creditori, com’è ormai assodato dalla giurisprudenza di legittimità, sono sovrani nel valutare la convenienza di qualunque proposta concordataria, non si vede perché mai il giudice dovrebbe porre un freno alla volontà negoziale che si manifesti analogamente in via stragiudiziale, come per l’appunto accade nella fattispecie con l’assenso della stragrande maggioranza degli creditori interessati, che, in misura nettamente superiore a quella minima del 60% prevista dalla legge, si sono spontaneamente offerti, postergando le proprie ragioni e mantenendo l’operatività delle linee di credito in vigore, di creare le condizioni per consentire il pagamento integrale della minoranza rimasta estranea all’accordo di ristrutturazione.
in riforma dei provvedimenti impugnati, le domande di omologazione vanno pertanto accolte. Ogni altra questione resta assorbita o superata. In assenza di controparti soccombenti, non vi è luogo a provvedere sulle spese processuali.
P.Q.M.
la Corte d’Appello di Firenze, sezione I civile, ogni altra domanda ed eccezione disattesa, in riforma dei decreti emessi dal Tribunale di Firenze il 21 ottobre 2014, omologa l’accordo di ristrutturazione debiti sottoscritto ex art. 182 bis l.f. da Ir. s.p.a., Ir. Holding s.r.l. ed Immobiliare Po. V. s.r.l., dispone non luogo a provvedere sulle spese processuali.
Firenze, 18 marzo 2016.
Depositato in cancelleria il 7 aprile 2016.