Trib. Vicenza 11.05.2016 (sulle azioni proposte nei confronti del debitore in concordato)

Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la sentenza resa dal Tribunale di Vicenza in data 11.05.2016 (Giudice Monocratico Dott.ssa Elena Sollazzo).

Il provvedimento affronta, tra le altre cose, l’interessante tema dell’azione revocatoria ordinaria promossa dalla curatela fallimentare nei confronti di una società ammessa al concordato preventivo e, di conseguenza, il problema “dell’incrocio” tra due diverse procedure concorsuali.

Il Tribunale, con ampia motivazione, conclude per l’inammissibilità della domanda di inefficacia ex art. 2901 c.c. formulata dal fallimento.

Il G.U. rileva, infatti, che al momento dell’instaurazione del giudizio la procedura di concordato preventivo era già pendente. L’art. 168 L.F., nella stesura applicabile ratione temporis alla fattispecie, prevedeva già il divieto per i creditori – dalla data di presentazione del ricorso e sino all’omologa della procedura – di iniziare o proseguire azioni revocatorie sul patrimonio del debitore.

E’ poi noto che l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., pur non prevedendo effetti recuperatori o restitutori al patrimonio del debitore medesimo, è idonea a determinare l’inefficacia dell’atto revocato e l’assoggettamento del bene al diritto del revocante di procedere ad esecuzione forzata sullo stesso.

Pertanto, pur essendo l’azione teoricamente ammissibile in pendenza della procedura di concordato preventivo, la stessa non può sortire l’effetto pratico cui è destinata (ovvero l’esecuzione forzata sui beni oggetto del negozio revocato), essendo impedita, fin dalla data di deposito della domanda di concordato, ogni azione esecutiva sui beni del debitore.

La domanda va pertanto dichiarata inammissibile per carenza di interesse ad agire in capo a parte attrice.

Non è difficile immaginare che il ragionamento del Tribunale di Vicenza non resterà esente da critiche. Sarà interessante in particolare, se ve ne dovesse essere l’opportunità, riesaminare la fattispecie in presenza di domande di concordato non ancora omologate (come era accaduto, invece, nel caso di specie).

Buona lettura.

Simone Giugni

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI VICENZA

IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA

Il Giudice, dott.ssa Elena Sollazzo ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile promossa con atto di citazione notificato in data 19.12.2008

DA

Fallimento C.E. s.r.l., già corrente in S., via Cap. S. 15 (C.F. (…)), in persona del Curatore, dott.ssa M.D.V., rappresentato e difese dall’avvocato _______________________, domicilio eletto in _______________________;

-ATTORE-

CONTRO

C.P. s.r.l. in liquidazione ed in concordato preventivo, corrente in T., G. G. 35 (C.F.(…)), rappresentata e difesa dall’avvocato _______________________, domicilio eletto in _______________________;

B.N. S.p.A., corrente in R. via V. V. 119 (P.IVA (…)), rappresentata e difesa dagli avvocati _______________________, domicilio eletto in _______________________;

-CONVENUTI-

 

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

 

Con atto di citazione in data 19.12.2008 il Fallimento C.E. s.r.l. conveniva in giudizio la società C.P. s.r.l. in liquidazione ed in concordato preventivo, nonché la B.N. S.p.A., esponendo che, con sentenza n. 50/2007 resa in data 17.5.2007, il Tribunale di Vicenza aveva dichiarato il fallimento di C.E. s.r.l.; che, in data 10.2.2004 la società poi fallita aveva venduto tutti gli immobili di cui era proprietaria alla società C.P. S.p.A. (ora C.P. s.r.l.) con atto del Notaio _______________________, rimanendo senza alcun bene all’attivo; che il prezzo di tale compravendita era stato pattuito in Euro 4.000.000 oltre IVA; che la società acquirente aveva provveduto solo in parte al pagamento del prezzo dovuto, rimanendo debitrice verso la società venditrice dell’importo di Euro 860.000; che la società poi fallita, in data 29.12.2003, aveva concesso ipoteca volontaria sui beni immobili oggetto della vendita di cui sopra, a garanzia di un finanziamento di Euro 10.000.000 erogato da B.N. in favore della C.P..

Tanto premesso chiedeva, nei confronti di C.P., che il Tribunale dichiarasse, ai sensi dell’art. 2901 c.c., l’inefficacia dell’atto di compravendita immobiliare stipulato tra C.E. e C.P. nel febbraio del 2004; in subordine, sul presupposto che il mancato pagamento dell’intero prezzo costituisse grave inadempimento della società acquirente, chiedeva che il Tribunale dichiarasse la risoluzione del contratto di compravendita ai sensi dell’art. 1453 c.c. e condannasse C.P. alla restituzione dei beni.

Nei confronti di B.N., il Fallimento C.E. chiedeva che, anche la concessione di ipoteca volontaria effettuata dalla società poi fallita in data 29.12.2003, venisse revocata ai sensi dell’art. 2901 c.c..

Con distinte comparse e patroni si costituivano in giudizio, sia C.P. s.r.l., che B.N. S.p.A, contestando il fondamento delle avverse domande (la difesa di C.P. anche l’ammissibilità delle stesse) e chiedendone il rigetto.

La causa, istruita solo a mezzo delle prove documentali offerte dalle parti, in data 28.1.2016, veniva riservata per la decisione sulle conclusioni di cui ai fogli allegati al verbale di udienza.

La domanda di inefficacia ex art. 2901 c.c. della compravendita stipulata tra C.E. e C.P. in data 10.2.2004 è inammissibile.

Tale domanda (come pure quella di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c.) è stata proposta dal Fallimento C.E. nel dicembre del 2008, allorché era pendente la procedura di concordato preventivo relativa alla società C.P., per essere stata depositata la domanda di concordato (11.2.2008) ed emesso il decreto di ammissione (19.6.2008).

L’art. 168 legge fallimentare, nella formulazione applicabile ratione temporis alla fattispecie, preclude ai creditori, dalla data di presentazione del ricorso e fino al momento di omologa del concordato preventivo, di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore .

È noto che l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. opera a tutela della effettività della responsabilità patrimoniale del debitore, non producendo effetti recuperatori o restitutori al patrimonio del debitore medesimo, ma determinando l’inefficacia dell’atto revocato e l’assoggettamento del bene al diritto del revocante di procedere ad esecuzione forzata sullo stesso (Cassazione n. 16793/2015).

Tale azione, indubbiamente ammissibile pur in pendenza della procedura di concordato preventivo, di fatto, non può sortire l’effetto pratico cui è destinata (ovvero l’esecuzione forzata sul bene oggetto del negozio revocato), essendo impedita, in forza della norma da ultimo citata, fin dalla data di deposito della domanda di concordato, ogni azione esecutiva sui beni del debitore.

Tale preclusione è inoltre divenuta definitiva, risultando documentato in atti che, con decreto del 14.5.2009, il Tribunale di Vicenza ha omologato il concordato preventivo di C.P..

La domanda va pertanto dichiarata inammissibile per carenza di interesse ad agire in capo alla parte attrice, come dalla stessa riconosciuto in sede di memoria ex art. 183 n. 2 c.p.c. depositata il 9.7.2009.

La domanda di risoluzione (e quella correlata di restituzione del bene), in quanto proposte in epoca successiva alla domanda di concordato preventivo, va invece dichiarata improponibile.

La Suprema Corte (Cassazione n. 12710/2001; Cassazione n. 3588/1996) ha chiarito che nel divieto di cui all’art. 168 legge fallimentare rientrano, non soltanto le azioni proprie del processo di esecuzione (artt. 474 e seguenti c.p.c.), ma anche qualsiasi iniziativa del creditore volta a realizzare unilateralmente, al di fuori della procedura concorsuale, il contenuto dell’obbligazione del debitore concordatario.

Tra tali iniziative va indubbiamente compresa l’azione esercitata dalla curatela fallimentare che, pur avendo natura costitutiva, mira a produrre un effetto restitutorio, assolutamente equivalente all’azione esecutiva.

Considerato che, con decreto del 14.5.2009, il Tribunale di Vicenza ha omologato il concordato preventivo di C.P., la domanda in esame è divenuta definitivamente improponibile.

In comparsa conclusionale il Fallimento C.E. ha introdotto una domanda volta alla declaratoria di nullità della vendita del 10.2.2004 ex art. 1418 c.c., per illiceità della causa, osservando come detta vendita sia stata posta in essere a soli fini distrattivi, in assenza di idonea giustificazione e con l’obbiettivo di privare i creditori di C.E. di qualsivoglia bene su cui soddisfare le loro legittime pretese.

Tale domanda è inammissibile, in quanto proposta per la prima volta in sede di comparsa conclusionale.

È inoltre del tutto infondata .

Invero, in assenza di una norma che vieti, in via generale, di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il rogito lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non è di per sé illecito, sicché la sua conclusione non è nulla per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinante comune alle parti, apprestando l’ordinamento, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, dei rimedi speciali che comportano, in presenza di particolari condizioni, l’applicazione della sola sanzione della inefficacia (Cassazione n. 23158/2014).

È invece fondata e meritevole di accoglimento la domanda di inefficacia dell’atto di concessione di ipoteca volontaria, da parte della società poi fallita, in favore della B.N., a garanzia di un finanziamento di Euro 10.000.000 erogato da quest’ultima in favore di C.P..

Ricorrono nella fattispecie tutti i presupposti richiesti dalla legge per l’esercizio dell’azione revocatoria:

a) La legittimazione attiva della curatela fallimentare (che ha dimesso, quale documento n.14, lo stato passivo dei creditori di C.E.) non è stata in alcun modo contestata dalle parti convenute e sussiste ai sensi degli artt. 66 legge fallimentare e 2901 c.c. a tutela delle ragioni della massa.

b) E’ documentato in atti (si veda il documento n. 11 della convenuta C.P.) che, con atto del Notaio _______________________, C.E. ha concesso ipoteca volontaria sui beni di sua proprietà, distinti in Catasto Terreni in Comune di S. al foglio (…), mappali (…) ed al NCEU Comune di S., foglio (…), mappale (…), a garanzia di un finanziamento di Euro 10.000.000 erogato da B.N. in favore di C.P..

Per effetto di tale concessione l’intero patrimonio immobiliare di C.E. restava sottoposto alla garanzia reale, passibile quindi di essere esecutato in caso di inadempimento dal parte del debitore finanziato .

Tale atto è indubbiamente un atto di disposizione patrimoniale revocabile ai sensi dell’art. 2901 c.c., in quanto dà luogo ad una modifica del patrimonio del debitore, con rischio di compromissione delle pregresse ragioni degli altri creditori della società datrice di ipoteca.

Non è condivisibile la tesi difensiva della parte convenuta secondo la quale opererebbe nella fattispecie l’esclusione di cui all’art. 2901 III comma c.c., in quanto la costituzione di ipoteca è avvenuta a garanzia di un debito scaduto.

Invero, la disposizione contenuta nel terzo comma dell’art. 2901 c.c., in forza della quale non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto, ha la sua ragione nella natura di atto dovuto della prestazione del debitore una volta che si siano verificati gli effetti della mora ex art. 1219 c.c., e non nell’assenza di una diminuzione della sua garanzia patrimoniale generale. Tale norma pertanto non è applicabile, né in via di interpretazione estensiva, né per analogia, alla concessione di ipoteca per debito già scaduto, che è negozio di disposizione patrimoniale ed è quindi aggredibile con l’azione revocatoria ai sensi degli articoli 2901 e 2902 c.c. (Cassazione n. 6321/2010; Cassazione n. 16570/2002; Cassazione n. 7119/1996).

c)Ricorre inoltre il requisito dell’eventus damni.

La concessione di ipoteca è infatti negozio di disposizione patrimoniale suscettibile di determinare una diminuzione della garanzia patrimoniale generica del debitore, potendo concretamente, seppure in modo mediato, condurre allo stesso risultato finale dell’alienazione del bene assoggettato alla garanzia (Cassazione n. 19963/2005; Cassazione n. 7119/1996).

Nella fattispecie si è avuta la concessione di una garanzia reale estesa all’intero patrimonio immobiliare della società datrice di ipoteca, la cui situazione patrimoniale successiva alla creazione del titolo di prelazione impugnato, quale risultante dal bilancio documento n. 17 di parte attrice, non consentiva il soddisfacimento integrale degli altri creditori.

Le osservazioni sui vantaggi che C.E. avrebbe ricavato a fronte dell’iscrizione ipotecaria (attesa la vantaggiosità dell’operazione immobiliare programmata da C.E. e C.P.) non hanno riflesso sui diversi rapporti di credito tra il datore di ipoteca ed i suoi creditori, gli unici che interessino in questa sede, in quanto esposti al rischio di restare insoddisfatti per effetto dell’impugnata concessione di garanzia reale.

c)Quanto al requisito soggettivo, è noto che, in tema di revocatoria ordinaria, ai fini della scientia damni per gli atti compiuti dal debitore successivamente al sorgere del credito, non è necessaria l’intenzione di nuocere ai creditori, ma è sufficiente la consapevolezza, anche nel terzo acquirente, che mediante l’atto di disposizione il debitore diminuisca il proprio patrimonio e quindi la garanzia spettante ai creditori, ai sensi dell’art. 2740 c.c., in modo da recare pregiudizio alle ragioni di costoro (sul punto si veda Cassazione n. 10430/2005).

Nel caso in cui il debitore disponga del suo patrimonio mediante una vendita contestuale di una pluralità di beni, la consapevolezza sua e dei terzi acquirenti del pregiudizio patrimoniale che tali atti recano alle ragioni del creditore, ai fini dell’esercizio, da parte di quest’ultimo, dell’azione pauliana, sono in re ipsa.

Alla vendita di una pluralità di beni può certamente assimilarsi quella della costituzione di ipoteca sull’intero patrimonio immobiliare del datore di ipoteca.

Anche in tale circostanza infatti il beneficiario del negozio non può non rendersi immediatamente consapevole che, per effetto della costituzione della prelazione, i beni vengono di fatto sottratti alla garanzia della massa dei creditori per essere assoggettati a quella esclusiva dei titolari dell’ipoteca, rendendo così più difficile per i primi il soddisfacimento delle proprie ragioni (Cassazione n. 18034/2013; Cassazione n. 10430/2005; Cassazione n. 6248/1999).

Nella fattispecie, peraltro, l’ipoteca è stata concessa a favore di un terzo (C.P.) e questo rende ancora più evidente la menomazione della garanzia patrimoniale dei creditori del datore di ipoteca.

Deve pertanto escludersi che la banca non fosse consapevole delle conseguenze che la costituzione dell’ipoteca sull’intero patrimonio immobiliare di C.E. avrebbe avuto nei confronti dei creditori.

Né può fondatamente sostenersi che, alla data del 29.12.2003, la banca non conoscesse lo stato economico, patrimoniale e finanziario della datrice di ipoteca, poi fallita, in quanto il finanziamento veniva erogato in favore di altra società e non era di alcun interesse per B.N. acquisire tali informazioni.

È infatti pratica comune degli istituti di credito (che sono operatori qualificati e particolarmente avveduti) prima di concedere un finanziamento di rilevante entità, quale è quello per cui è causa, acquisire i bilanci (a prescindere la pubblicazione o meno degli stessi) ed ogni altra documentazione utile a conoscere la situazione economica, finanziaria e patrimoniale non solo della società finanziata, ma anche di quella datrice di ipoteca , ovvero del soggetto che garantisce il rientro del capitale investito .

La banca, alla data del 29.12.2003, era pertanto indubbiamente a conoscenza della difficile situazione economica, finanziaria e patrimoniale di C.E., quale risultante dai bilanci documenti n. 16 e 17 di parte attrice, da cui si evince che la società datrice di ipoteca non aveva ricavi, aveva debiti per oltre 3.500.000 Euro e capitalizzava tutti i costi.

Anche a voler prescindere da tali considerazioni, va evidenziato che, alla data del 29.12.2003, C.E. era già indebitata con B.N. per 2.700.000 Euro (come si evince dal documento n. 15 dimesso in atti da parte attrice) e che l’operazione di mutuo con contestuale cessione di ipoteca aveva tra le sue finalità anche quella di consentire a B.N. di rientrare nella pregressa posizione debitoria.

Nel contratto di finanziamento si legge infatti che la prima erogazione di Euro 2.500.000 sarebbe avvenuta dopo l’acquisizione dell’ipoteca e contro l’estinzione dell’apertura di credito in conto speciale di Euro 1.032.913,80 concessa da B.N. a C.E..

Oltre a ciò dal documento n. 15 di parte attrice si evince che nell’anno 2003 la società poi fallita operava con B.N. sconfinando di oltre 80.000 Euro rispetto al fido accordatole.

Tali circostanze provano che l’istituto di credito era perfettamente a conoscenza della situazione di difficoltà in cui C.E. versava nel momento in cui la stessa concesse l’ipoteca su tutto il proprio patrimonio immobiliare ed integrano gli estremi del requisito soggettivo necessario alla revocabilità dell’atto.

Quanto al regime delle spese di lite, si ritiene, rispetto al rapporto processuale tra il Fallimento C.E. e C.P., che ricorrano giusti motivi, rappresentati dalla particolarità delle questioni trattate e dalla definizione in rito della controversia, per disporne l’integrale compensazione tra le parti.

Quanto al rapporto processuale tra il Fallimento C.E. e B.N., le spese vanno regolate in base al criterio della soccombenza e quindi poste a carico della società convenuta .

Vista la nota spese depositata da parte attrice, dette spese vengono così liquidate in base ai criteri di cui al D.M. Giustizia n. 55/2014:

fase di studio: Euro 14.000;

fase introduttiva: Euro 9.700;

fase istruttoria e/o di trattazione: Euro 28.318;

fase decisoria: Euro 25.000.

totale: Euro 77.018, da versarsi in favore dell’Erario, essendo il Fallimento C.E. ammesso al beneficio del gratuito patrocinio a spese dello Stato.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale di Vicenza, definitivamente pronunciando tra le parti, ogni contraria istanza, domanda ed eccezione disattesa, così provvede:

a) dichiara inammissibile la domanda, svolta dal Fallimento C.E. s.r.l. nei confronti di C.P. s.r.l. in liquidazione ed in concordato preventivo, di inefficacia ex art. 2901 c.c. dell’atto di compravendita stipulato con atto Notaio _______________________;

b) dichiara improponibile la domanda, svolta dal Fallimento C.E. s.r.l. nei confronti di C.P. s.r.l. in liquidazione ed in concordato preventivo, di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. della compravendita di cui al punto a);

c)in accoglimento della domanda svolta dal Fallimento C.E. s.r.l. nei confronti di B.N. S.p.A., dichiara ai sensi dell’art. 2901 c.c. l’inefficacia nei confronti di parte attrice della concessione di ipoteca volontaria effettuata da C.E. s.r.l. con atto n. 121834 _______________________ e della conseguente iscrizione ipotecaria effettuata presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Schio ai numeri 267 RG e 50 RP in data 13.1.2004 sui seguenti immobili: catasto terreni Comune di S., foglio (…), mappali (…); NCEU Comune di S., foglio (…), mappale (…);

d)compensa tra il Fallimento C.E. s.r.l. e C.P. s.r.l. in liquidazione ed in concordato preventivo, le spese di lite;

e)condanna B.N. S.p.A. al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 77.018 a titolo di compensi, oltre alle spese anticipate e prenotate a debito come da foglio notizie ed oltre a spese generali, IVA e CPA, disponendo che il pagamento venga eseguito in favore dell’Erario.

Così deciso in Vicenza, il 3 maggio 2016.

Depositata in Cancelleria il 11 maggio 2016.

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