Cass. Sez. I 14.09.2016 n. 18090 (sull’annullamento del concordato preventivo)

Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la sentenza n. 10828 resa dalla Sez. I Civile della Corte di Cassazione in data 14.09.2016 (relatrice Dott.ssa Rosa Maria Di Virgilio).

La pronuncia prende le mosse dal ricorso presentato dalla Curatela del fallimento contro la sentenza della Corte di Appello di Napoli che, in accoglimento del reclamo presentato da una società in concordato preventivo, aveva revocato il decreto di annullamento del c.p. medesimo reso dal Tribunale partenopeo.

I Giudici di appello, in particolare, avevano ritenuto che le condotte contestate alla società nella richiesta di annullamento (silenzio sulle vicende che avevano portato a sequestro penale dei beni sociali per uso di fatture per operazioni inesistenti) non integrassero le ipotesi di “dolosa esagerazione del passivo” o di “sottrazione o dissimulazione dell’attivo” richieste dall’art. 186 L.F. per l’annullamento del concordato già omologato.

Secondo la Corte di Appello, inoltre, mancava la prova del requisito soggettivo del dolo, né era riscontrabile la dolosa sottrazione di quella parte rilevante dell’attivo potenzialmente costituita dal credito risarcitorio della società nei confronti dei propri amministratori, evidentemente responsabili dei danni derivanti dagli illeciti penali contestati.

In sede di giudizio di legittimità la Cassazione riforma la sentenza di appello rilevando, in particolare, come debba essere rigettata quell’interpretazione che assegna natura tassativa all’indicazione delle fattispecie richieste per l’annullamento del concordato.

La formulazione letterale degli artt. 137 e 138 L.F., che parla espressamente di “compatibilità”, viene ritenuta infatti espresso indice della volontà del legislatore di evitare un rinvio “secco” alla disciplina del concordato fallimentare.

Il Supremo Collegio pone quindi l’accento sulla norma dell’art. 173 L.F., che prevede espressamente la possibilità di revocare l’ammissione al concordato preventivo in caso di “altri atti di frode” accompagnati dalla consapevole volontarietà della condotta (e non, invece, dalla dolosa premeditazione).

Per la Corte vi è quindi eadem ratio tra le fattispecie legittimanti la revoca dell’ammissione al c.p. e quelle che ne determinano l’annullamento post omologa.

Si esclude pertanto che determinate condotte, qualora siano idonee a ledere gli interessi del ceto creditorio, possano avere o non avere effetti sulla procedura di concordato a seconda del momento in cui vengano ad emergere.

A mio avviso la sentenza in esame, pur nell’apprezzabile tentativo di armonizzare il sistema, è espresso indice della necessità di colmare a livello giurisprudenziale evidenti lacune della disciplina, lacune delle quali la prossima riforma della legge fallimentare dovrebbe necessariamente tener conto.

Buona lettura.

Simone Giugni

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente -

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere -

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere -

Dott. FERRO Massimo – Consigliere -

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10828/2015 proposto da:

FALLIMENTO _______________. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona dei Curatori prof. avv. S.M. e dott. P.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA _____________ presso l’avvocato _____________, rappresentato e difeso dall’avvocato _____________, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

_____________S.R.L. IN LIQUIDAZIONE IN CONCORDATO PREVENTIVO, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, _____________, presso l’avvocato _____________, rappresentata e difesa dall’avvocato _____________, giusta procura in calce al controricorso;

- controricorrente -

contro

_____________

- intimati -

avverso la sentenza n. 60/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 20/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/07/2016 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato _____________che ha chiesto l’accoglimento del ricorso; udito, per la controricorrente, l’Avvocato _____________, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 6-20/3/2015, la Corte d’appello di Napoli, in accoglimento del reclamo di _____________ s.r.l. in liquidazione, ha revocato il decreto di annullamento del concordato preventivo depositato dal Tribunale di Napoli il 10/11/2014 e la sentenza di fallimento del (OMISSIS), ed ha compensato le spese tra le parti.

La Corte di merito, nello specifico e per quanto ancora rileva, ha ritenuto la mancanza dei presupposti per la pronuncia di annullamento del concordato, possibile, ex art. 138 l.f., richiamato dall’art. 186 l.f., solo ed esclusivamente nelle ipotesi di dolosa esagerazione del passivo, ovvero di sottrazione o dissimulazione dell’attivo, ma non nel caso della dolosa sottoesposizione del passivo o di esposizione di attivo inesistente; ha rilevato che, nel caso, il sequestro penale dell’immobile sociale del 7/1/2014, all’interno di un procedimento per l’uso di fatture per operazioni inesistenti con la conseguente evasione di imposte, a fronte dell’omologazione del concordato col decreto del 30/10/2013, si palesava come un atto successivo, e comunque non rientrante nella tipologia di atto della parte; che nessun occultamento di poste attive era riscontrabile nei comportamenti che avevano dato causa al sequestro; che la dichiarazione di credito iva inesistente non dava causa ad occultamento dell’attivo o ad esagerazione dello stesso, così come l’avere nascosto i comportamenti evidenziati nei verbali di constatazione della Guardia di Finanza, relativi alla emissione ed all’uso di fatture per operazioni inesistenti, avvenuti negli anni dal 2009 al 2012.

Secondo la Corte d’appello, inoltre, mancava la prova del requisito soggettivo del dolo, nè era riscontrabile la dolosa sottrazione di parte rilevante dell’attivo, costituita dal “credito risarcitorio della società nei confronti dei propri amministratori per i danni derivati dagli illeciti oggetto di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate”, trattandosi di credito subordinato all’esito delle vicende giudiziarie in corso, instaurate dopo l’omologazione del concordato, e comunque di una posta neutra, essendo il credito risarcitorio verso gli amministratori pari all’ammontare delle ulteriori passività.

Ricorre il Fallimento _____________ s.r.l. in liquidazione, sulla base di un unico motivo di ricorso.

Si difende con controricorso la società.

La controricorrente ha depositato, fuori termine, memoria ex art. 378 c.p.c..

 

Motivi della decisione

 

1.1.- Con l’unico motivo di ricorso, il Fallimento si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 186 e 138 l.f..

Secondo il Fallimento, è erronea l’affermazione della Corte d’appello che il provvedimento di sequestro, nell’ambito del procedimento per l’uso di fatture per operazioni inesistenti e conseguente evasione di imposte, non potesse integrare la fattispecie di dolosa sottrazione o dissimulazione dell’attivo, ed a riguardo obietta che, alla data di presentazione della domanda di concordato, detto provvedimento era assolutamente prevedibile. Quanto ai comportamenti che hanno determinato il sequestro, gli stessi non sono stati dichiarati, così dolosamente orientandosi il consenso dei creditori e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti o ha sottratto attivo, se c’è stato il pagamento, o, in caso contrario, ha dolosamente esagerato il passivo.

Secondo la parte, vi sarebbe stato occultamento dell’attivo, in relazione al credito risarcitorio nei confronti dei propri amministratori e il dolo è in re ipsa, avuto riguardo all’entità delle risorse sottratte.

In linea generale, infine, il ricorrente prospetta che l’azione di annullamento del concordato si pone come una proiezione post omologazione della revoca dell’ammissione ex art. 173 l.f., da cui la possibilità di fare ricorso all’annullamento ogni qual volta il consenso dei creditori sia stato carpito con dolo, e non solo nelle due ipotesi restrittivamente previste dall’art. 138 l.f..

2.1.- Il motivo va accolto, per le ragioni di seguito esposte.

L’art. 186 l.f., nel prevedere la risoluzione e l’annullamento del concordato preventivo, all’ultimo comma dispone: “Si applicano le disposizioni degli artt. 137 e 138, in quanto compatibili, intendendosi sostituito al curatore il commissario giudiziale”.

L’art. 138 l.f., che disciplina l’annullamento del concordato fallimentare, al comma 1 dispone: “Il concordato omologato può essere annullato dal tribunale, su istanza del curatore o di qualunque creditore, in contraddittorio con il debitore, quando si scopre che è stato dolosamente esagerato il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo. Non è ammessa alcuna altra azione di nullità. Si procede a norma dell’art. 137″.

La Corte del merito, nella sentenza impugnata, ha ritenuto di revocare il decreto di annullamento del concordato preventivo, non rientrando l’attività fraudolenta posta in essere dagli amministratori della società, che aveva determinato un incremento del passivo, nella tipologia esattamente tipizzata dal legislatore come “dolosa esagerazione del passivo” o “dolosa sottrazione o dissimulazione rilevante dell’attivo”.

A tale interpretazione, che assegna natura tassativa alla indicazione delle fattispecie la cui ricorrenza rende ammissibile l’annullamento del concordato preventivo, e che è anche seguita da parte della dottrina, non può prestarsi adesione.

La stessa formulazione letterale del rinvio agli artt. 137 e 138 l.f., nei limiti della compatibilità, è indice della sensibilità del legislatore del correttivo della non adeguatezza di un rinvio “secco” alla disciplina di un procedimento, il concordato fallimentare, diverso da quello regolato, e comunque deve richiamare l’interprete all’esigenza di privilegiare ed applicare i principi propri dell’istituto disciplinato.

Ciò posto, nell’ottica di ricostruire e valorizzare la disciplina propria del concordato preventivo, va evidenziato che l’art. 173 l.f., nel prevedere le fattispecie la cui ricorrenza comporta la revoca dell’ammissione al concordato, fa riferimento all’occultamento o dissimulazione di parte dell’attivo, alla dolosa omissione di denuncia di uno o più crediti, all’esposizione di passività insussistenti o “altri atti di frode”; detta norma è stata interpretata nel senso che gli atti di frode vanno intesi, sul piano oggettivo, come le condotte volte ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, aventi valenza potenzialmente decettiva per l’idoneità a pregiudicare il consenso informato degli stessi sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, inizialmente ignorate dagli organi della procedura e dai creditori e successivamente accertate nella loro sussistenza o anche solo nella loro completezza ed integrale rilevanza, a fronte di una precedente rappresentazione del tutto inadeguata, purchè siano caratterizzati, sul piano soggettivo, dalla consapevole volontarietà della condotta, di cui, invece, non è necessaria la dolosa preordinazione (così la pronuncia 17191 del 2014, in senso conforme alla precedente 9050/2014).

Ora, è di chiara evidenza come sussista l’eadem ratio tra le fattispecie legittimanti la revoca dell’ammissione al concordato e quelle che determinano l’annullamento dell’omologazione del concordato; e, sul piano dei fatti, sarebbe davvero di difficile comprensione come determinate condotte, unificate dall’essere atti di frode aventi valenza decettiva, possano assumere una diversa rilevanza, a seconda del momento in cui vengano ad emersione.

Proprio nell’ottica unificatrice della disciplina del concordato preventivo nella ricorrenza degli atti di frode di portata decettiva, la giurisprudenza di questa Corte si è espressa nel senso di ritenere che, nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, il controllo della regolarità della procedura impone al tribunale la verifica della persistenza sino a quel momento delle stesse condizioni di ammissibilità della procedura già scrutinate nella fase iniziale, dell’assenza di atti o fatti di frode ed, infine, in caso di riscontro positivo di tali condizioni, del rispetto delle regole che impongono che la formazione del consenso dei creditori sulla proposta concordataria sia stata improntata alla più consapevole ed adeguata informazione, da ciò conseguendo che, a fronte di atti o di fatti rilevanti ai fini previsti dall’art. 173 l.f., il tribunale deve respingere la domanda di omologazione nonostante la mancata apertura del relativo procedimento (così la pronuncia 10778/2014). A tale visione unificatrice si allinea pertanto l’esegesi qui proposta della normativa ex art. 186 l.f., proprio nella individuazione della identità della ratio, dall’iniziale revoca dell’ammissione al concordato, alla reiezione della omologazione sino all’annullamento del concordato omologato.

Deve pertanto affermarsi il seguente principio di diritto:

“L’annullamento del concordato preventivo omologato, ex art. 186 l.f., nel testo novellato dal D.Lgs. n. 169 del 2007, è un rimedio concesso ai creditori nei casi in cui la rappresentazione dell’effettiva situazione patrimoniale della società proponente, in base alla quale il concordato è stato approvato dai creditori ed omologato dal tribunale, sia risultata falsata per effetto della dolosa esagerazione del passivo, dell’omessa denuncia di uno o più crediti, ovvero della sottrazione o della dissimulazione di tale orientamento, o di altri atti di frode, idonei ad indurre in errore i creditori sulla fattibilità e sulla convenienza del concordato proposto”.

Va infine evidenziato che la diversa prospettiva interpretativa qui accolta incide necessariamente anche sulla valutazione dell’elemento soggettivo, sì che anche sotto profilo va accolta la censura svolta nel motivo.

3.1.- Conclusivamente, va accolto il ricorso e, cassata la pronuncia impugnata in relazione al motivo accolto, la causa va rinviata alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, che si atterrà a quanto sopra rilevato, ed alla quale si demanda anche la pronuncia sulle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2016

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