Cass. 10.08.2016 n. 16951 (sul conflitto di competenza nei giudizi prefallimentari)

Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la sentenza n. 16951 resa dall’Ecc.ma Co n. 6277 in data 10.08.2016.

Nel caso portato all’attenzione del Collegio si discute sul tema della trattazione di procedimenti prefallimentari di fronte a due tribunali diversi.

Due i rilevanti principi espressi dalla Corte.

Innanzitutto, i Giudici di legittimità evidenziano come il principio di conservazione degli atti compiuti nel corso di una procedura fallimentare aperta sulla base di una sentenza di fallimento emessa da tribunale incompetente si rinvenga nella trasmigrazione del processo avanti il giudice competente, senza che sia pronunciata la revoca del fallimento.

In tale ipotesi, opera, infatti, il principio per cui la risoluzione del conflitto positivo di competenza territoriale tra due tribunali fallimentari e la conseguente individuazione, quale giudice competente, di un tribunale diverso da quello che per primo ha dichiarato il fallimento, non comportano la cassazione della relativa sentenza e la caducazione degli effetti sostanziali della prima dichiarazione di fallimento, ma solo la prosecuzione del procedimento avanti al tribunale ritenuto competente, presso il quale la procedura prosegue con le sole modifiche necessarie (sostituzione del giudice delegato) o ritenute opportune (sostituzione del curatore), avuto riguardo al principio dell’unitarietà del procedimento fallimentare a far tempo dalla pronuncia del giudice incompetente, enunciato dall’art. 9-bis legge fall. (introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 8), ma desumibile anche dal sistema e dai principi informatori della legge fallimentare, nel testo anteriormente vigente”.

Per l’effetto, la Corte rileva che “nell’ipotesi di pluralità di procedimenti pendenti avanti a tribunali diversi per la dichiarazione di fallimento del medesimo debitore e a domanda di legittimati non coincidenti, il conflitto reale o virtuale andrà regolato solo dopo la dichiarazione di fallimento, ai sensi dell’art. 9-ter legge fall., tenuto conto del principio della prevenzione che permette, nel frattempo, di dichiarare il fallimento escludendosi in ogni caso l’applicazione del criterio dirimente di cui all’art. 39, comma 1, c.p.c.”.

Buona lettura.

Simone Giugni

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(omissis)

IL PROCESSO

 

La società T.  s.r.l. impugna la sentenza App. Roma 10.1.2014, n. 113/2014 che ebbe a respingere il suo reclamo, interposto ex art. 18 L. Fall. avverso la sentenza dichiarativa del proprio fallimento resa da Trib. Roma il 2.5.2013.

Secondo il collegio romano, andava in primo luogo condiviso il rigetto dell’eccezione di litispendenza sollevata, già davanti al tribunale, relativamente ad altra istruttoria prefallimentare preventivamente introdotta a carico della medesima società ma presso il diverso Tribunale di Isernia, da ritenersi comunque competente, non potendosi nemmeno accedere alla tesi della competenza concorrente dei due uffici, il secondo dei quali era stato adito da creditori diversi e dopo il passaggio dell’anno dal trasferimento dal Molise in Roma della sede sociale. Ritenne invero la corte d’appello che difettasse la identità di soggetti, posto che i creditori istanti avanti al tribunale di Roma non erano gli stessi. In ogni caso, non poteva comunque darsi un’applicazione piana dell’art. 39 c.p.c., dato il prevalente intento del legislatore, con l’art. 9 L. Fall., di assicurare, con la trasmigrazione degli atti al tribunale competente, la continuazione della tutela concorsuale del credito, laddove in sede di reclamo venga scoperta la erronea competenza del tribunale dichiarante il fallimento. Dunque ricorreva l’art. 9 ter L. Fall., sussistendo un conflitto positivo di competenza reale o virtuale, da regolare con il criterio della prevenzione e però estraneo alla vicenda decisoria attribuita alla corte d’appello, dovendo semmai il Tribunale di Isernia o trasmettere gli atti della procedura prefallimentare a quello di Roma oppure richiedere d’ufficio il regolamento di competenza.

In secondo luogo, andava ribadito l’avvenuto superamento della soglia di 30.000 Euro di cui alla L. Fall., art. 15, u.c., risultante dagli atti per debiti scaduti e non pagati, senza osservazioni critiche della reclamante sulla esistenza delle passività.

Veniva poi disattesa la questione della rilevanza della desistenza di un istante per il fallimento, in quanto altra istanza sopravviveva e comunque anche la prima era pervenuta al giudice nello stesso giorno della sentenza di fallimento (2.5.2013), con delibera del collegio dell’anteriore 24.4.2013.

Quanto al difetto di interesse dell’istante sopravvissuto (M. s.p.a.), in conseguenza della conclusione di una transazione e rateazione del debito, differito al 30.6.2013, si trattava di condotte delle parti successive alla rimessione della causa al Collegio, avvenuta con udienza del 23.4.2013 e comunque non v’era prova dell’estinzione del debito, infatti ammesso al passivo.

Circa infine l’insolvenza, essa risultava dai numerosi protesti, non apparendo per nulla agevole la definizione dei debiti, come comprovato dalle risultanze dello stato passivo accertato per oltre 6 milioni di euro, dalle criticità delle poste attive del bilancio, dalla dismissione di un complesso immobiliare, dalla cessazione dell’attività.

Il ricorso è affidato ad un motivo.

 

I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il motivo si deduce la violazione della L. Fall., art. 9 ter, art. 12 preleggi, art. 39 c.p.c., comma 1, avendo il tribunale erroneamente omesso di rilevare la litispendenza del giudizio presso il Tribunale di Isernia e conseguentemente disporre la cancellazione della causa dal ruolo.

1. Va in primo luogo osservato che, pur non risultando agli atti la prova dell’avviso di ricevimento conclusivo della notifica postale del ricorso anche a Gruppo tessile C. s.r.l., litisconsorte necessario, l’infondatezza del motivo stesso rende irrilevante la cennata irregolarità.

Nella vicenda, già davanti al tribunale ha avuto luogo – e correttamente è stato descritto – un fenomeno di litispendenza prefallimentare, allorchè il Tribunale di Roma si è trovato a decidere su istanze di fallimento per le quali si è ritenuto competente ratione loci ai sensi della L. Fall., art. 9, u.c..

Invero, la prima delle istanze di fallimento presentate contro la società T. s.r.l. avanti al tribunale capitolino venne depositata successivamente al decorso del termine di un anno dal trasferimento – dal circondario di Isernia a quello di Roma – della sede legale della stessa società. Tale circostanza già di per sè radica correttamente la competenza territoriale del Tribunale di Roma ai sensi dell’art. 9, comma 2 L. Fall., poichè la delimitazione temporale di opponibilità del mutamento di sede, per come intervenuto nell’anno antecedente all’esercizio dell’iniziativa per la dichiarazione di fallimento, ha riguardo alla specifica singola istanza o richiesta e dunque alla sua data, condizionando la competenza (da affermare e sempre che il trasferimento sia stato effettivo e quella domanda sia pendente) del solo tribunale che ne sia investito. La stessa regola cessa così di operare quando sia trascorso l’anno, nel senso che viene meno la proroga di competenza del tribunale (della anteriore sede dell’impresa), se l’iniziativa fallimentare sia ciononostante esercitata avanti a quell’ufficio giudiziario ed al contempo nessun ostacolo si frappone a che il tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa possa procedere alla relativa trattazione e dichiarare il fallimento, come nella specie puntualmente avvenuto.

2. Appare poi condivisibile altresì l’assunto dell’inapplicabilità del (diverso) art. 39 c.p.c., comma 1, avendo il giudice di merito accertato, in primo luogo, l’inesistente coincidenza delle parti nel procedimento prefallimentare ancora pendente avanti al Tribunale di Isernia (benchè preventivamente adito) rispetto a quelle del procedimento avanzato presso il Tribunale di Roma, altri essendo i creditori istanti. Va invero riconosciuto che il legislatore della riforma per un verso non ha disciplinato in modo espresso la pendenza contemporanea di più procedimenti per la dichiarazione di fallimento del medesimo debitore ma davanti a tribunali diversi, regolando piuttosto, all’art. 9 ter L. Fall. e all’insegna del criterio della prevenzione temporale, il solo caso della pluralità di pronunce dichiarative, con l’unico correttivo della possibile richiesta d’ufficio del regolamento di competenza ex art. 45 c.p.c., in alternativa alla trasmissione degli atti da parte del tribunale pronunciatosi per secondo. Così questa Corte ha statuito che il principio dell’unitarietà del procedimento fallimentare a far tempo dalla sentenza pronunciata dal giudice poi dichiarato incompetente, desumibile dall’art. 9 bis L. Fall., non può analogicamente applicarsi, in difetto di eadem ratio, al conflitto di competenza relativa ad una procedura fallimentare non ancora iniziata, sicché, ove il tribunale dichiari la propria incompetenza a pronunciarsi sul ricorso di fallimento e trasmetta gli atti al tribunale ritenuto competente, quest’ultimo, se, a sua volta, si ritenga incompetente, può richiedere d’ufficio il regolamento di competenza anche oltre il temine di venti giorni stabilito dall’articolo predetto (Cass. 6423/2016).

Per altro verso, non può dirsi applicabile il principio – reso in una fattispecie diversa – per cui tra la domanda di concordato preventivo e l’istanza o la richiesta di fallimento ricorre, in quanto iniziative tra loro incompatibili e dirette a regolare la stessa situazione di crisi, un rapporto di continenza, conseguendone la riunione dei relativi procedimenti ai sensi dell’art. 273 c.p.c., se pendenti innanzi allo stesso giudice, ovvero l’applicazione delle disposizioni dettate dall’art. 39 c.p.c., comma 2, in tema di continenza e competenza, se pendenti innanzi a giudici diversi (Cass. 9935/2015). Nel caso del concordato preventivo caratterizzante è la domanda, proveniente dal medesimo soggetto e la limitata incompatibilità della regolazione fallimentare della medesima crisi rispetto a quella concordatizia, non ponendosi una questione di competenza dei giudici ma di appropriatezza del procedimento con corsuale.

3. In secondo luogo, la ratio conservativa degli atti compiuti nel corso di una procedura aperta sulla base di una sentenza dichiarativa emessa da tribunale incompetente, si evidenzia nell’analoga trasmigrazione del processo, senza che sia pronunciata la revoca del fallimento: opera in tema il principio per cui la risoluzione del conflitto positivo di competenza (territoriale) tra due tribunali fallimentari e la conseguente individuazione, quale giudice competente, di un tribunale diverso da quello che per primo ha dichiarato il fallimento, non comportano la cassazione della relativa sentenza e la caducazione degli effetti sostanziali della prima dichiarazione di fallimento, ma solo la prosecuzione del procedimento avanti al tribunale ritenuto competente, presso il quale la procedura prosegue con le sole modifiche necessarie (sostituzione del giudice delegato) o ritenute opportune (sostituzione del curatore), avuto riguardo al principio dell’unitarietà del procedimento fallimentare a far tempo dalla pronuncia del giudice incompetente, enunciato dall’art. 9 bis L. Fall. (introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 8), ma desumibile anche dal sistema e dai principi informatori della legge fallimentare, nel testo anteriormente vigente. Tant’è che anche il periodo sospetto cui si riferisce l’azione revocatoria fallimentare, ai sensi dell’art. 67 L. Fall., decorre a ritroso dalla prima dichiarazione di fallimento (Cass. 22544/2010). Proprio a tale criterio ha fatto riferimento la sentenza impugnata, ove ha descritto la (mera) ipotesi concessiva di una alternativa applicazione dell’art. 39 c.p.c., osservando che anche in quel caso il riconoscimento della incompetenza per territorio del tribunale dichiarante il fallimento giammai avrebbe condotto al risultato processuale avuto di mira dall’impugnazione della fallita, cioè la revoca del suo fallimento.

Può dunque ulteriormente affermarsi che, nell’ipotesi di pluralità di procedimenti pendenti avanti a tribunali diversi per la dichiarazione di fallimento del medesimo debitore e a domanda di legittimati non coincidenti, il conflitto reale o virtuale andrà regolato solo dopo la dichiarazione di fallimento, ai sensi dell’art. 9 ter L. Fall., tenuto conto della prevenzione che dunque permette, nel frattempo, di dichiarare il fallimento ove se ne accertino i presupposti, escludendosi in ogni caso l’applicazione del criterio dirimente di cui all’art. 39 c.p.c., comma 1.

Il ricorso va dunque rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. D.P.R., art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2016.

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