Trib. Bologna 16.08.2016 (sulla legittimazione processuale del liquidatore giudiziale)
Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la sentenza resa dal Tribunale delle Imprese di Bologna in data 16.08.2016.
Nella stessa il Collegio ha avuto modo di occuparsi dell’azione di responsabilità promossa da una società in concordato preventivo, in persona del liquidatore giudiziale, nei confronti degli ex componenti del consiglio di amministrazione.
Dopo aver ribadito che la previsione, nelle società a responsabilità limitata, della possibilità per il singolo socio di esercitare l’azione non priva la società di analoga legittimazione, i giudici si chiedono se sia ammissibile o meno la domanda autonomamente presentata dal liquidatore giudiziale.
Il problema non si pone, ovviamente, nel caso in cui l’azione sia stata deliberata dalla società prima di proporre la domanda di concordato. In questo caso, infatti, la stessa non potrebbe che essere obbligatoriamente valorizzata nel piano concordatario, con conseguente piena legittimazione del liquidatore giudiziale nominato quale mandatario all’esecuzione del piano medesimo.
In caso contrario invece il Collegio, disattendendo la ricostruzione di parte attrice, evidenzia come nel concordato preventivo non si verifichi (a differenza che nel fallimento) uno spossessamento completo della gestione dell’impresa, con conseguente perdita della capacità processuale e/o della legittimazione attiva e passiva dell’imprenditore.
Nel regime dettato per il concordato preventivo (per il quale si parla, non a caso, di “spossessamento attenuato”) non vi è quindi il trasferimento in capo al liquidatore giudiziale del potere di intraprendere azioni risarcitorie che non sono state previste e valorizzate nel piano.
Il tutto, peraltro, in linea con il sistema che omette (si vedano infatti gli artt. 2394 bis c.c. e 146 L.F.) ogni riferimento al liquidatore giudiziale nel concordato preventivo tra gli organi delle procedure concorsuali legittimati all’esercizio dell’azione di responsabilità.
Buona lettura.
Simone Giugni
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA
SEZ. SPECIALIZZATA DIRITTO SOCIETARIO-TRIBUNALE IMPRESE CIVILE
Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. Anna Maria DRUDI Presidente relatore
dott. Giovanni SALINA Giudice
dott. Anna Maria ROSSI Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al N. 4989/2014 R.G.
promossa da:
IN LIQUIDAZIONE E IN CONCORDATO PREVENTIVO (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. R.L. e dell’avv. V.V, elettivamente domiciliato in VIA presso il difensore avv. V.V
ATTORE
contro
(C.F ), (C.F. ), (C.F. ) con il patrocinio degli avv.ti D.S., Z.A., T.D.D., M.E., Z.P, C.D., A.S, B.C, B.V., A.L., D.M., elettivamente domiciliati in presso il difensore avv. D.M.;
(C.F. ), con il patrocinio degli avv.ti B.C., B.M.,e B.C, elettivamente domiciliato in presso il difensore avv. B.C.
(C.F. ), con il patrocinio dell’avv. F.A., elettivamente domiciliato presso il difensore avv. F.A.
CONVENUTI
con la chiamata in causa di:
, con il patrocinio degli avv.ti P.M., S.E.M. e C.L. , elettivamente domiciliato in VIA presso i difensori
TERZO CHIAMATO
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come a verbale d’udienza di precisazione delle conclusioni.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Premesso in fatto che: -
con citazione 20.3.2014 IN LIQUIDAZIONE e IN CONCORDATO PREVENTIVO (d’ora in poi ), in persona del Liquidatore Giudiziale di tale ultima procedura, conveniva in giudizio avanti all’intestato Tribunale, , , , e , quale Erede di , chiedendone la condanna, a titolo risarcitorio, di oltre 28 milioni di euro in ragione di svariati comportamenti di mala gestio in tesi posti in essere dai medesimi nel periodo in cui avevano ricoperto la carica di componenti del Consiglio di Amministrazione di detta società prima della sua messa in liquidazione volontaria;
- si costituivano con unico difensore ,
e nonché, distintamente, e, nella
qualità : tutti contestando nel merito gli addebiti loro ascritti, ma pregiudizialmente contestando, sotto svariati profili, la legittimazione attiva del Liquidatore Giudiziale della procedura di Concordato Preventivo rispetto all’intrapresa azione di responsabilità sociale;
- tuttavia, su istanza dei primi, era previamente autorizzata la chiamata in causa di (socia di ) in Amministrazione Straordinaria, per responsabilità diretta ovvero a manleva rispetto alla domanda attrice, deducendo l’imputabilità alla stessa della causazione del dissesto finanziario di mediante l’esercizio di influenza dominante;
- si costituiva, quindi, anche , aderendo alle eccezioni di carenza di
legittimazione attiva di parte attrice e, nel merito, deducendo l’inammissibilità della propria chiamata in causa, la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni e l’infondatezza della domanda; - all’esito del deposito delle memorie ex art. 183, 6° comma, c.p.c., il Giudice – dato atto della complessità dell’istruttoria richiesta e della natura astrattamente dirimente delle eccezioni preliminari avanzate dai convenuti – disponeva per l’immediato passaggio della causa alla presente fase decisoria
osserva:
Va, in primo luogo, disattesa l’eccezione secondo la quale, a seguito della novellazione dell’art. 2476 c.c. – la quale prevede, al suo 3° comma, e per quanto qui di interesse, che l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori nelle S.r.l., sia– sarebbe ravvisabile una carenza di legittimazione processuale alla relativa azione da parte della società.
Tale da quella opposta, in forza della quale la legittimazione (straordinaria) attribuita al singolo socio non si sostituisce, ma si affianca alla legittimazione processuale ordinaria della società (Trib. Milano 10.4.2014, 28.5.2015; Trib. Roma 19.10.2015, ma anche Trib. Bologna 16.1.2015), quale titolare del relativo diritto risarcitorio, dalla cui tutela non potrebbe certo essere esclusa anche alla luce dei principi di cui all’art. 24 Cost. (cfr. Trib. Milano 18.7.2013) e come indirettamente confermato, sotto un profilo logico, dalla disciplina di rinuncia e transazione dell’azione da parte della società di cui al 5° comma del medesimo art. 2476 cit., necessariamente congruente solo con l’attribuzione alla stessa di una legittimazione diretta all’iniziativa giudiziale.
Né può ulteriormente dubitarsi (né ne dubita, in generale, la stessa dottrina citata da parte attrice) della necessità che l’azione sociale esercitata dalla società debba essere sostenuta dalla relativa delibera assembleare: ciò essendo avallato dallo stesso art. 2476, 5° comma, cit. ma, ovviamente, anche dal carattere di principio generale espresso dall’art. 2393 c.c. (V. Trib. Bologna 16.1.2015 e Trib. Milano 18.7.2013).
E vale fin d’ora sottolineare che la delibera assembleare è unanimemente qualificata quale condizione dell’azione ovvero, a differenza dei presupposti processuali, quale condizione “sostanziale” di proponibilità della domanda o quale possibilità giuridica – al pari della legittimazione (in senso tecnico) e dell’interesse ad agire – di decidibilità nel merito della stessa.
In altri termini la condizione dell’azione attiene alla verifica della ricomprensione dell’azione nella fattispecie normativa di riferimento e, dunque, all’esistenza o meno di una norma che preveda effettivamente, con essa, il diritto oggetto di tutela.
Tutto quanto superiormente premesso, con riferimento all’ulteriore eccezione di inammissibilità della domanda attrice – per essere stata autonomamente intrapresa dal Liquidatore Giudiziale nominato in sede di omologa del Concordato Preventivo della società – occorre interrogarsi se la precisata procedura attui necessariamente (come ritenuto da parte attrice) una cesura con i precisati principi generali.
Orbene, nessuno ovviamente dubita che, ove la società abbia previamente deliberato l’azione di responsabilità nei confronti dell’organo amministrativo, la stessa debba obbligatoriamente essere valorizzata nel piano concordatario con conseguente piena legittimazione del Liquidatore Giudiziale nominato, in quanto mandatario all’esecuzione del piano medesimo, all’esercizio della relativa azione.
Sul punto, sostiene parte attrice che tale delibera dovrebbe implicitamente ravvisarsi in quella assunta dalla società in data 26.8.2010, con la quale, unitamente alla messa in liquidazione della società, i contestualmente nominati liquidatori civili erano genericamente autorizzati anche alla “richiesta di ammissione della società alla procedura di concordato preventivo ovvero… ad altra procedura concorsuale”.
Tale deduzione non può essere accolta essendo evidente che l’assemblea dei soci, lungi dall’entrare nel merito della (solo eventuale) proposta concordataria, che poi sarebbe stata autonomamente deliberata dai Liquidatori ex art. 152 L.F. secondo lo schema della cessione dei beni, non ha certamente autorizzato alcuna azione nei confronti degli amministratori, la cui delibera deve essere specifica e non può essere evinta da un generico (e, peraltro, non necessario) placet rispetto all’apertura di una qualsiasi procedura concorsuale.
La precisata deduzione è stata poi ulteriormente approfondita – portando ad avallo una pronuncia giurisprudenziale del Tribunale di Roma del 1996 e due orientamenti di dottrina – con il finale assunto della totale irrilevanza di alcuna delibera assembleare in ipotesi di concordato preventivo con cessione dei beni (quale quello di riferimento nel caso di specie), ritenendo che, in sostanza, l’azione di responsabilità possa essere proposta ex novo dal nominato Liquidatore giudiziale della procedura di concordato preventivo con cessione dei beni in quanto, in assenza di patto contrario, ex art. 2740 c.c. è trasferito ai creditori l’intero patrimonio, comprensivo anche dei diritti risarcitori non ancora attualizzati al momento della domanda di concordato.
In altri termini il Liquidatore giudiziale del Concordato Preventivo non dovrebbe essere munito, per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, di alcuna autorizzazione assembleare poiché la stessa sarebbe direttamente attuativa, al pari del fallimento, della intrapresa procedura concorsuale.
Ritiene il Collegio che detta ricostruzione dottrinaria sia incompatibile con gli argomenti – giuridici e logici – evidenziati dalla ben più numerosa e non meno accreditata dottrina e più recente giurisprudenza di merito contraria, che qui si ritiene di condividere sulla base dei seguenti argomenti:
- innanzitutto appare non condivisibile l’equiparazione assiomatica della procedura di concordato preventivo (con cessione dei beni) al fallimento, atteso che – come noto – la procedura concordataria non comporta la perdita della capacità processuale e/o della legittimazione attiva o passiva dell’imprenditore, sicchè non può ravvisarsi in capo al Liquidatore giudiziale un potere analogo a quello che, nel fallimento, spetta al Curatore. In particolare non può essere posto nel nulla il principio tradizionale per cui “la procedura di concordato preventivo mediante cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma solo dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, con la conseguenza che il debitore cedente conserva il diritto di esercitare le azioni e di resistervi, nei confronti dei terzi, a tutela del proprio patrimonio”, e, “ solo quando il debitore ammesso al concordato con cessione dei beni sia convenuto in giudizio con azione di condanna, si è talora ritenuta necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti del liquidatore nominato dal Tribunale”, qualora la controversia investa lo scopo liquidatorio della procedura (Cass. 11520/2010; sui limiti della legittimazione degli organi della procedura concordataria e, specificamente, del liquidatore, quale mero mandatario per la liquidazione dei
beni oggetto della cessione, cfr. anche Cass. 5515/2006);
- il tutto in perfetta coerenza non solo con quanto sopra esposto in termini di necessità della previa delibera assembleare come condizione dell’azione, ma, correlativamente, anche con la previsione dell’art. 2394 bis c.c., che, in tema di legittimazione degli organi delle procedure concorsuali all’esercizio dell’azione di responsabilità, omette, per l’appunto, ogni riferimento al liquidatore giudiziale del concordato preventivo, doverosamente condividendosi, in ragione dell’eccezionalità della norma in questione (oltre che del disposto di cui all’art. 146 L.F.), anche l’esclusione di ogni suo possibile effetto estensivo (Trib. Milano 19.7.2011);
- è poi la stessa dottrina (parte di essa) citata da parte attrice a dover attribuire al diritto in questione la qualifica di credito meramente “latente”, con ogni conseguente effetto di critica sulla sua ricomprensione necessariamente implicita nel perimetro dei beni ceduto ai creditori nella relativa procedura di concordato preventivo;
- ed ancora ove, tuttavia, si dovesse ammettere che fra le attività cedute ai creditori in sede di concordato preventivo con cessione dei beni, rientri anche necessariamente ex art. 2740 c.c. anche l’azione di responsabilità sociale non ancora deliberata – al di là della formale esclusione del Liquidatore Giudiziale della procedura di concordato preventivo ex art. 2394 bis c.c. – dovrebbe allora riconoscersi che l’omessa valorizzazione nel piano concordatario della relativa posta, ovvero, comunque, della sua deduzione, dovrebbe essere sanzionata ai fini e per gli effetti di cui all’art. 173 L.F., quale atto di frode per sottrazione dell’attivo. Senonchè anche la dottrina richiamata da parte attrice esclude tale evenienza, concordando con la giurisprudenza di merito edita sul punto (Tribunale Bolzano 30.4.2015), secondo la quale, peraltro, non solo il mancato avvio dell’azione di responsabilità, ma anche la semplice omissione di notizie su possibili responsabilità degli amministratori, non costituisce, per l’appunto, causa legittima di interruzione della procedura ex art. 173 L.F.:
“non può dimenticarsi, infatti, che un attivo potenziale come quello che potrebbe derivare dall’esercizio dell’azione di responsabilità sociale, non può essere oggetto di occultamento, considerata l’assenza del previo accertamento di un danno effettivo che ne determini i profili di concretezza, di cui qualsiasi attivo, per essere oggetto di occultamento, deve essere connotato”, diversamente giungendosi al “controsenso di consentire da un lato all’organo amministrativo di una società in crisi di deliberare l’accesso allo strumento concordatario, con l’obbligo, dall’altro di auto-accusarsi, con potenziali ricadute sulla propria responsabilità, anche sotto il profilo penale ai sensi dell’art. 236 L.F.”;
- ma se così è occorre allora prendere atto che, con l’esercizio dell’azione di responsabilità sociale da parte del Liquidatore giudiziale della procedura di concordato preventivo, in assenza della delibera assembleare deputata al precisato accertamento, lo stesso esorbita dai poteri al medesimo attribuiti (V. supra) poiché esercitati su un oggetto estraneo al perimetro dei beni ceduti ai creditori con la domanda di ammissione alla procedura concordataria;
- né, di quanto in premessa, si dubitava fondamentalmente prima della novellazione dell’istituto in esame poiché, ora come allora, la disciplina del concordato preventivo ha sempre delegato al Commissario giudiziale, nell’ambito della sua fondamentale relazione di indagine e di controllo ex art. 172 L.F., anche con riferimento alle cause del dissesto, l’individuazione delle eventuali condotte di mala gestio dell’organo amministrativo (e/o di controllo), la cui enucleazione informativa prima era diretta in principalità al Tribunale, quale titolare del giudizio di meritevolezza all’epoca attribuitogli, ed ora è esclusivamente destinata al ceto creditorio, quale unico titolare dell’attuale e diverso giudizio di convenienza, che costituisce il perno fondante su cui gravita l’odierna procedura;
- si aggiunga a quanto in premessa che, diversamente dal fallimento – nell’ambito del quale l’art. 146 attribuisce al curatore la legittimazione autonoma all’esercizio cumulativo sia dell’azione di responsabilità sociale sia di quella, di natura extracontrattuale, dei creditori –, nel concordato preventivo i creditori conservano a sé quest’ultima azione (sull’argomento V., con ampia disanima, Trib. Piacenza 12.2.2015, condivisa dalla stessa dottrina richiamata da parte attrice);
- né, certamente, potrebbero trarsi argomenti (ma si tratta di aspetti neppure approfonditi dalla difesa attrice) dalla palesemente estranea equiparazione – nell’unica risalente pronuncia di merito citata agli atti (Trib. Roma 20.1.1996) – del concordato preventivo alla situazione di patologica crisi (peraltro non necessariamente) prefigurata dall’art. 2409 c.c. ovvero dalla legittimazione attribuita al Commissario giudiziale (nemmeno al Liquidatore) dall’art. 240 L.F., quale norma definita “extravagante” dalla stessa dottrina citata dagli attori e/o frutto al commissario giudiziale dell’abrogata procedura di amministrazione controllata.
- da ultimo: la tesi qui opposta comporterebbe per il Liquidatore della procedura di concordato preventivo prerogative anche maggiori rispetto allo stesso Curatore fallimentare, la cui legittimazione all’azione è comunque soggetta all’autorizzazione espressa del G.D.
Alla luce di tutte le superiori considerazioni appare, dunque, necessario concludere per l’assoluta non esperibilità dell’azione di responsabilità sociale da parte del Liquidatore della società in concordato preventivo in assenza di previa delibera assembleare.
La domanda va, dunque, dichiarata inammissibile.
Le spese di lite, nel rapporto fra attore e convenuti, si liquidano come in dispositivo secondo il principio di soccombenza.
Diversamente quanto alle spese di lite relativamente a , non già per l’irrilevanza della sua sottoposizione alla procedura di Liquidazione Coatta Amministrativa in epoca posteriore all’udienza di precisazione delle conclusioni, ma perché la pregressa chiamata in giudizio della stessa, attesa l’assoluta particolarità dei motivi posti a suo fondamento, non può essere valutata in termini di causalità rispetto alla domanda dell’attore, a cui carico non possono, dunque, essere poste le relative spese.
Nel rapporto fra chiamanti e chiamata, tuttavia, la stessa specificità del rapporto e la definizione in rito della vicenda impongono l’integrale compensazione delle spese di che trattasi.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:
- Dichiara l’inammissibilità della domanda attrice
Condanna S.R.L. IN LIQUIDAZIONE e IN CONCORDATO PREVENTIVO, in persona del Liquidatore Giudiziale di tale ultima procedura, alla rifusione, in favore dei convenuti, delle spese di lite, che liquida: quanto a , e in euro 50.000,00 per compensi professionali, oltre 15% spese generali, IVA e CPA come per legge.
Dichiara integralmente compensate le spese di lite fra e .
Così deciso in Bologna nella Camera di Consiglio della Sezione Specializzata Imprese in data 1.7.2016.
Il Presidente est.
dott. Anna Maria Drudi