Cass. 22.09.2016 n. 18561 (sulla transazione fiscale)
Questa settimana pubblichiamo sul sito dell’osservatorio la sentenza n. 18561 resa dalla Sez. I Civile della Corte di Cassazione in data 22.09.2016 (relatore Dott. Antonio Didone).
Il provvedimento offre un’esaustiva trattazione delle principali problematiche connesse all’utilizzo, nell’ambito della procedura di concordato preventivo, dello strumento della transazione fiscale.
La società ricorrente aveva infatti impugnato la sentenza che aveva pronunciato il proprio fallimento in conseguenza della declaratoria di inammissibilità della domanda di concordato preventivo, inammissibilità dovuta in special modo dall’aver previsto il pagamento dell’IVA in misura inferiore all’importo certificato dall’amministrazione finanziaria.
Con il primo motivo di impugnazione, quindi, la ricorrente censura la sentenza della Corte di Appello di Bologna nella parte in cui equipara il credito fiscale ancora sub iudice a quello non contestato o già accertato in via definitiva.
La Cassazione evidenzia che, con la transazione fiscale approvata, il debitore ottiene la cristallizzazione del debito tributario e l’estinzione delle liti fiscali pendenti per cessazione della materia del contendere. Di fronte a tali innegabili vantaggi, però, al proponente non è consentito rimettere in discussione la certificazione del credito proveniente dal concessionario alla riscossione, non potendo l’amministrazione (in virtù del principio di indisponibilità della pretesa tributaria) riconsiderare il proprio credito in una logica meramente transattiva.
Laddove, pertanto, il debitore si trovi in presenza di pretese finanziarie contestate, dovrà aver cura di non inserirle nell’ambito della transazione e di collocarle in apposita classe composta da crediti litigiosi in relazione ai quali proseguire la lite anche dopo l’omologa del concordato.
Con il secondo motivo di impugnazione, poi, la ricorrente censura la mancata considerazione dell’incapienza dei beni sui quali gravava il privilegio generale ex art. 2752 c.c. per i crediti IVA, incapienza che avrebbe consentito la falcidia del credito in questione.
Il Collegio, in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite sugli effetti della nota sentenza della Corte di Giustizia, osserva comunque come – in ogni caso – la scelta di avvalersi dello strumento della transazione fiscale imponga il rispetto della norma speciale di cui all’art. 182 ter L.F. che prevede, appunto, soltanto la possibilità di dilazionare il debito IVA.
In presenza di beni incapienti quindi, qualora sia intenzione del debitore proporre la falcidia del debito IVA, lo stesso dovrà necessariamente rinunciare ai benefici della transazione fiscale e rispettare quanto previsto dall’art. 160 comma 2 L.F., ivi compreso il necessario rispetto delle cause legittime di prelazione.
Buona lettura.
Simone Giugni
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPPI Aniello – Presidente -
Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere -
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere -
Dott. FERRO Massimo – Consigliere -
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 29333/2014 proposto da:
___________ S.R.L., IN LIQUIDAZIONE (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti ___________, ___________e ___________, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, via ___________;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO ___________S.R.L., IN LIQUIDAZIONE (C.F. (OMISSIS)), in persona del curatore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti ___________, ___________e ___________, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, via ___________;
- controricorrente -
e contro
___________S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore;
- intimata -
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 2255/2014, depositata il giorno 3 novembre 2014;
Sentita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 13 luglio 2016 dal Consigliere relatore dott. Antonio Didone;
udito l’avv. ___________e Avv. ___________ per la ricorrente e l’avv. ___________ e Avv. ___________per il controricorrente;
udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per il rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite della S.C. e, in subordine, per l’inammissibilità del ricorso.
___________s.r.l., in liquidazione, impugna la sentenza della Corte d’Appello di Bologna depositata il 3 novembre 2014, che respinse il reclamo interposto dalla stessa avverso la sentenza dichiarativa del suo fallimento resa dal Tribunale di Reggio Emilia, su istanza della ___________s.p.a., contestualmente alla pronuncia di inammissibilità del concordato preventivo, con transazione fiscale, proposto dalla medesima società.
Secondo la corte d’appello, correttamente il tribunale aveva dichiarato inammissibile la detta proposta di concordato, a causa della presenza di una transazione fiscale che prevedeva il pagamento dell’IVA in misura inferiore alle somme certificate dall’Amministrazione finanziaria, non potendo quest’ultima spontaneamente rinunciare ai crediti erariali.
Soggiunse la corte che la espressa previsione della L. Fall., art. 182 ter, che consentiva soltanto la dilazione del pagamento in sede di transazione fiscale, impediva di configurare una falcidia del credito IVA, anche nel caso di sicura incapienza dei beni su cui il credito privilegiato poteva trovare soddisfazione.
Il ricorso è affidato a due motivi, cui resiste con controricorso la curatela del fallimento della ___________s.r.l., in liquidazione. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. Fall., art. 182 ter, per avere la corte d’appello equiparato il credito fiscale ancora sub indice, al momento della formulazione di una proposta di transazione fiscale nell’ambito del concordato preventivo, a quello non contestato o già accertato in via definitiva.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 182 ter, e della L. Fall., art. 160, comma 2, per avere ritenuto la corte irrilevante, ai fini della formulazione della proposta di transazione fiscale, l’incapienza totale o parziale dei beni mobili su cui grava il privilegio IVA. 2. – Il primo motivo è infondato.
La L. Fall., art. 182 ter, nel testo introdotto dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, come novellato prima dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, poi dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, e infine dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, prevede la facoltà per il debitore di proporre, in seno ad una procedura di concordato preventivo, ovvero di accordo di ristrutturazione dei debiti, una transazione fiscale per i crediti tributari e previdenziali.
Caratteristica peculiare del sub procedimento disciplinato dalla norma citata, è la previsione dell’obbligo per il proponente di trasmettere il piano e la proposta di concordato all’Amministrazione finanziaria, nonchè al concessionario della riscossione, unitamente alle dichiarazioni fiscali per le quali non è pervenuto ancora l’esito dei controlli automatici; e ciò affinchè – entro i successivi trenta giorni – il concessionario della riscossione (per i crediti tributari iscritti a ruolo) e l’Amministrazione finanziaria (per quelli non ancora iscritti a ruolo, ovvero ancora non trasmessi per la riscossione), possano “certificare” l’esposizione debitoria complessiva del proponente, “al fine di consolidare il debito tributario” (L. Fall., art. 182 ter, comma 2).
Così, nel caso di omologa del concordato con transazione fiscale approvata, da un lato, il debitore ottiene la cristallizzazione del debito tributario (dovendosi ritenere che l’Amministrazione non possa più emettere atti impositivi nei confronti del contribuente in relazione ad obbligazioni tributarie precedenti al deposito della proposta di concordato) e, dall’altro, si estinguono tutte le liti fiscali pendenti per cessazione della materia del contendere (L. Fall., art. 182 ter, comma 5).
E’ chiaro, allora, come in forza della descritta disciplina, la “certificazione” del credito proveniente dal concessionario della riscossione, ovvero dall’Agenzia delle Entrate, non possa essere rimessa in discussione dal contribuente al momento della formulazione della proposta transazione fiscale, poichè ai sicuri benefici per il proponente discendenti dalla determinazione in via definitiva di tutte le pretese fiscali e dall’estinzione delle liti pendenti, non può che contrapporsi l’onere per il medesimo di prestare adesione alla quantificazione del debito certificata dall’Amministrazione finanziaria (vedi Cass. 4 novembre 2011, n. 22931).
Del resto, il principio di indisponibilità della pretesa tributaria, quale espressione del principio di legalità che permea l’intera materia, impone di ritenere che la pretesa fiscale non sia nella sua essenza negoziabile in una logica meramente “transattiva”, se non nei casi espressamente previsti dalla legge, come è accaduto con la L. n. 289 del 2002, art. 16, in tema di “chiusura delle liti fiscali pendenti” in una logica di definizione delle liti in corso tra contribuente ed amministrazione (vedi Cass. s.u. 17 febbraio 2010, n. 3675) e come accade anche con la L. Fall., art. 182 ter, dove i crediti “certificati” dall’Amministrazione, possono essere pagati in misura ridotta, ma entro precisi limiti (compreso quello della non falcidiabilità del credito IVA) fissati dalla medesima norma.
Va soggiunto che il proponente, il quale si trovi in presenza di talune pretese tributarie fondate su atti di accertamento, ovvero anche su riprese a tassazione già iscritte a ruolo, tempestivamente impugnati innanzi al giudice tributario, potrebbe senz’altro astenersi dall’inserire detti crediti in seno alla proposta di transazione fiscale, trattandosi di un sub procedimento che ha comunque l’effetto di estinguere le liti pendenti, presupponendo una sostanziale acquiescenza alla pretesa dell’Amministrazione.
Ma ciò soltanto a condizione che i detti crediti tributari, espressamente esclusi dal perimetro della L. Fall., art. 182 ter, siano collocati in apposita classe, composta da quei crediti litigiosi in relazione ai quali il contribuente ritenga necessario proseguire la lite anche dopo l’omologa del concordato; il che pacificamente non è avvenuto nella proposta di concordato avanzata dalla Predieri Metalli s.r.l..
3. – Anche il secondo motivo è infondato.
Invero, resta escluso che l’eventuale, totale o anche solo parziale, incapienza dei beni su cui grava il privilegio generale mobiliare, ex art. 2752 c.c., comma 3, previsto per i crediti IVA, possa giustificarne una loro falcidia pure nell’ambito di una proposta di transazione fiscale.
E’ vero che con sentenza del 7 aprile 2016 in causa C-546/14 la Corte di Giustizia UE ha dichiarato che l’art. 4, paragrafo 3, TUE nonchè l’art. 2, art. 250, paragrafo 1, e art. 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune dell’IVA, non ostano a una normativa nazionale – come la legge fallimentare italiana -, interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito dell’IVA “attestando, sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento”.
Tuttavia, per i concordati preventivi in seno ai quali il proponente abbia inteso innestare una proposta di transazione di tutti i crediti fiscali, il proponente, anche a ritenere il credito IVA integralmente degradato al chirografo per mancanza assoluta di beni su cui soddisfarsi, non potrebbe comunque offrirne il pagamento in misura falcidiata, ostandovi all’attualità il disposto del vigente L. Fall., art. 182 ter, comma 1, che ne consente la sola dilazione, con una previsione che ha superato il vaglio di costituzionalità, venendo a costituire “il limite massimo di espansione della procedura transattiva compatibile con il principio di indisponibilità del tributo” (Corte Cost. 23 giugno 2014, n 225).
Nella vicenda in esame, come visto, è incontroverso che ___________s.r.l. non intese affatto escludere dalla proposta di transazione fiscale i crediti IVA contestati, per poi inserirli in una apposita classe di privilegiati falcidiati, nè attivò il meccanismo previsto della L. Fall., art. 160, comma 2, che consente in linea generale la detta falcidia solo quando l’incapienza dei beni su cui grava il privilegio, sia attestata dalla relazione giurata di un professionista, in possesso dei requisiti previsti dalla L. Fall., art. 67, comma 3, lett. d), e sia previsto il soddisfacimento dei creditori di grado inferiore con l’intervento esclusivo della cd. “finanza esterna”.
Ne discende che resta qui irrilevante ogni approfondimento circa la facoltà di offrire un pagamento frazionato del credito IVA in seno al concordato preventivo senza transazione fiscale, ovvero al di fuori della stessa – su cui, all’attualità, si attende il pronunciamento delle Sezioni Unite di questa Corte -, per l’assorbente considerazione che nel concordato proposto dalla ricorrente è mancata la costituzione di una apposita classe di crediti privilegiati IVA, pure assoggettati a falcidia, al di fuori dalla proposta transazione fiscale, con le prescritte attestazioni e la previsioni del soddisfacimento dei creditori di rango inferiore a quello falcidiato, solo con liquidità estranea al patrimonio sociale.
Le spese seguono la soccombenza. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, che ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, liquidate in 12.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 luglio 2016.
Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2016