Corte Costituzionale n. 170/2013 del 1 luglio 2013 (sul privilegio erariale)
Sentenza N. 170 – Anno 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO INTALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Franco GALLO; Giudici: Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23, commi 37, ultimo periodo, e 40, del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, promosso dal giudice delegato presso la sezione fallimentare del Tribunale di Firenze, nel procedimento relativo al Fallimento _______________ S.r.l., con ordinanza del 17 luglio 2012, iscritta al n. 288 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udito nella camera di consiglio dell’8 maggio 2013 il Giudice relatore Marta Cartabia.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza emessa il 16 luglio 2012 e depositata il 17 luglio 2012 (iscritta al n. 288 del registro ordinanze 2012), il giudice delegato presso la sezione fallimentare del Tribunale di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2752, primo comma, del codice civile, “in combinato disposto coll’art. 23, commi 37 e 40” del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, per violazione degli artt. 3, primo e secondo comma, 117, primo comma, della Costituzione e 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e del Protocollo addizionale della convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), in seguito indicata come CEDU.
Il Giudice rimettente premette che, nella procedura concorsuale relativa al fallimento di ___________ S.r.l., a seguito di conforme istanza del creditore Equitalia Centro S.p.a., il curatore fallimentare ha chiesto che il giudice delegato autorizzasse la ricollocazione del privilegio del credito di euro 11.538,90, per sanzioni relative ad imposte dirette, già ammesso al chirografo all’udienza 5 marzo 2009 di verifica dello stato passivo, in quanto il credito risulta essere assistito da privilegio generale mobiliare ai sensi dell’art. 2752, primo comma, cod. civ., come modificato dall’art. 23, comma 37, del decreto-legge n. 98 del 2011, come successivamente convertito in legge.
Nel testo in vigore prima della modifica, l’art. 2752, primo comma, cod. civ., prevedeva che: “Hanno privilegio generale sui mobili del debitore i crediti dello Stato per l’imposta sul reddito delle persone fisiche, per l’imposta sul reddito delle persone giuridiche, per l’imposta regionale sulle attività produttive e per l’imposta locale sui redditi, diversi da quelli indicati nel primo comma dell’art. 2771, iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il concessionario del servizio riscossione procede o interviene nell’esecuzione e nell’anno precedente”.
L’art. 23, comma 37, del decreto-legge n. 98 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha stabilito che: <<Al comma 1 dell’articolo 2752 del codice civile, le parole: “per l’imposta sul reddito delle persone fisiche, per l’imposta sul reddito delle persone giuridiche, per l’imposta regionale sulle attività produttive e per l’imposta locale sui redditi, diversi da quelli indicati nel primo comma dell’art. 2771, iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il concessionario del servizio riscossione procede o interviene nell’esecuzione e nell’anno precedente” sono sostituite dalle seguenti: “per le imposte e le sanzioni dovute secondo le norme in materia di imposta sul reddito delle persone fisiche, imposta sul reddito delle persone giuridiche, imposta sul reddito delle società, imposta regionale sulle attività produttive ed imposta locale sui redditi”. La disposizione si osserva anche per i crediti sorti anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto>>.
L’art. 23, comma 40, del decreto-legge n. 98 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha poi previsto che: <<I titolari di crediti privilegiati, intervenuti nell’esecuzione o ammessi al passivo fallimentare in data anteriore alla data di entrata in vigore del presente decreto, possono contestare i crediti che, per effetto delle nuove norme di cui ai precedenti commi, sono stati anteposti ai loro crediti nel grado di privilegio, valendosi, in sede di distribuzione della somma ricavata, del rimedio di cui all’articolo 512 del codice di procedura civile, oppure proponendo l’impugnazione prevista dall’art. 98, comma 3, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nel termine di cui all’art. 99 dello stesso decreto>>.
Ha rilevato il giudice rimettente che, a seguito delle citate modifiche normative, il privilegio, che prima assisteva solo le imposte dovute per l’anno in corso al tempo del fallimento e per l’anno antecedente, è stato esteso anche all’IRES (imposta sui redditi di società) e alle sanzioni, senza limiti temporali e con applicazione relativa.
Il giudice delegato ha ritenuto di essere legittimato a sollevare la questione di legittimità costituzionale, in quanto organo dotato del potere decisorio di modifica dello stato passivo divenuto esecutivo, in conformità alle previsioni dell’art. 23, comma 40, del decreto-legge n. 98 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011.
Lo stesso giudice ha poi considerato rilevante la questione, posto che, in applicazione della norma impugnata, la ricorrente Equitalia Centro s.p.a. otterrebbe l’intera liquidazione del suo credito, anziché di una sua parte in concorso con gli altri creditori chirografari.
Il rimettente ha, quindi, ritenuto la questione manifestamente infondata, considerato che la retroattività della norma fondante il privilegio del credito erariale, originariamente chirografo, e l’appostazione in grado diverso e poziore di un credito già ammesso allo stato passivo dichiarato esecutivo, violerebbero l’art. 3 Cost. e l’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 6 della CEDU.
In particolare, il rimettente ha osservato che, in forza dei principi stabiliti dalla Corte costituzionale (sentenza n. 78 del 2012), la retroattività della legge, per essere legittima, deve trovare la propria giustificazione in difficoltà interpretative del testo o in motivi di interesse generale preminente: ciò anche in applicazione dell’art. 6 della CEDU come interpretata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Nel caso di specie, invece, la retroattività sarebbe giustificata esclusivamente dall’interesse economico dello Stato all’esazione fiscale e non sussisterebbero, quindi, i presupposti per considerare legittima l’applicazione retroattiva della disposizione fondante il privilegio.
Sotto altro profilo, il giudice ha rimarcato che l’intangibilità dei diritti quesiti e dei rapporti esauriti deve riconoscersi anche nel caso di diritti sorgenti da pronunce giurisdizionali assistite dalla irretrattabilità, qual è appunto l’accertamento del credito nello stato passivo dichiarato esecutivo. La circostanza, quindi, che l’art. 40, comma 1, della legge n. 111 del 2011 consenta di disattendere una decisione giurisdizionale con efficacia di giudicato, seppure “endo – fallimentare”, violerebbe il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e rappresenterebbe, altresì, un vulnus alla parità dei rapporti dei cittadini di fronte alla legge, ledendo la posizione dei creditori di grado inferiore e così violando il principio di uguaglianza sostanziale previsto dal medesimo art. 3 Cost.
Con atto depositato in data 22 gennaio 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto nel giudizio, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile o che vanga dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale.
Ad avviso dello Stato, infatti, la novità introdotta dalla legge impugnata consisterebbe nell’eliminazione del limite temporale di un anno, a decorrere dall’esecutività dei ruoli, originariamente previsto per il privilegio del credito erariale. Il legislatore si sarebbe, dunque, limitato ad eliminare questa discriminazione in negativo dei crediti erariali rispetto ad altri crediti privilegiati, tenendo conto della complessità delle procedure necessarie per portare ad esecuzione i crediti iscritti a ruolo. La norma transitoria, invece, non avrebbe precisato in alcun modo se la nuova disciplina si applichi ai crediti non ancora iscritti a ruolo o anche a quelli già iscritti da meno di un anno ovvero ancora ai crediti erariali già accertati con stato passivo dichiarato esecutivo.
Non essendo delimitato espressamente l’ambito di operatività della predetta norma transitoria, sarebbe quindi compito dell’interprete definirne la portata e, non avendo il rimettente esaminato le varie possibilità interpretative, il ricorso dovrebbe dichiararsi inammissibile per mancato esperimento di una interpretazione conforme a Costituzione.
Lo stesso giudice non avrebbe, poi, spiegato le ragioni per le quali la novità normativa dovrebbe superare anche il giudicato “endo – fallimentare” formatosi con l’approvazione dello stato passivo, con conseguente inammissibilità delle questioni sollevate per mancanza o insufficienza di motivazione sulla rilevanza.
La difesa dello Stato evidenzia che, in ogni caso, non potrebbe neppure parlarsi di una vera e propria valenza retroattiva delle disposizioni impugnate, in relazione alla loro applicazione alle procedure fallimentari nelle quali sia stato dichiarato esecutivo lo stato passivo, ma che siano in corso alla data di entrata in vigore della nuova normativa. Infatti, la procedura fallimentare consente di far valere eventuali sopravvenienze, anche normative, sino alla sua chiusura con la ripartizione dell’attivo.
Infine, anche se si volesse ritenere che le disposizioni oggetto della questione di legittimità costituzionale abbiano effetto retroattivo, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato sussisterebbero comunque a loro sostegno motivi imperativi di interesse generale, identificabili nella necessità di integrale riscossione dei crediti erariali per ottemperare agli impegni assunti in sede comunitaria (rectius, dell’Unione europea), come tali pienamente idonei a giustificare la predetta retroattività alla luce sia della giurisprudenza costituzionale, sia della giurisprudenza di Strasburgo.
Considerato in diritto
Il giudice delegato presso la sezione fallimentare del Tribunale di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2752, primo comma, del codice civile, <<in combinato disposto coll’art. 23, commi 37e 40>>, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, per violazione degli artt. 3, primo e secondo comma, 117, primo comma, della Costituzione e 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e del Protocollo addizionale della convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), in seguito indicata come CEDU.
Il giudice rimettente ritiene che le disposizioni impugnate, oltre ad innovare la disciplina del privilegio nell’ambito delle procedure fallimentari, prevedano anche l’applicazione retroattiva della stessa; ciò consentirebbe la ricollocazione in sede privilegiata dei crediti erariali derivanti sa sanzioni relative ad imposte dirette, già ammessi al chirografo nello stato passivo esecutivo divenuto definitivo, in violazione dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., oltre che dell’art. 6 della CEDU, come applicata dalla Corte europea.
In particolare, l’art. 23, comma 37, del decreto-legge n. 98 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha stabilito che: <<Al comma 1 dell’articolo 2752 del codice civile, le parole: “per l’imposta sul reddito delle persone fisiche, per l’imposta sul reddito delle persone giuridiche, per l’imposta regionale sulle attività produttive e per l’imposta locale sui redditi, diversi da quelli indicati nel primo comma dell’art. 2771, iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il concessionario del servizio riscossione procede o interviene nell’esecuzione e nell’anno precedente” sono sostituite dalle seguenti: “per le imposte e le sanzioni dovute secondo le norme in materia di imposta sul reddito delle persone fisiche, imposta sul reddito delle persone giuridiche, imposta sul reddito delle società, imposta regionale sulle attività produttive ed imposta locale sui redditi”. La disposizione si osserva anche per i crediti sorti anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto>>.
L’art. 23, comma 40, del medesimo decreto-legge n. 98 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha poi previsto che: <<I titolari di crediti privilegiati, intervenuti nell’esecuzione o ammessi al passivo fallimentare in data anteriore alla data di entrata in vigore del presente decreto, possono contestare i crediti che, per effetto delle nuove norme di cui ai precedenti commi, sono stati anteposti ai loro crediti nel grado di privilegio, valendosi, in sede di distribuzione della somma ricavata, del rimedio di cui all’articolo 512 del codice di procedura civile, oppure proponendo l’impugnazione prevista dall’art. 98, comma 3, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nel termine di cui all’art. 99 dello stesso decreto>>.
Occorre, in via preliminare, procedere ad una corretta identificazione del thema decidendum, alla luce di una lettura complessiva dell’ordinanza di rimessione (ex plurimis sentenze n. 25 del 2012, n. 128 del 2010 e n. 350 del 2007).
Nonostante il richiamo al <<combinato disposto coll’art. 2752>>, primo comma, cod. civ., il giudice dubita della legittimità costituzionale della sola portata retroattiva delle disposizioni impugnate. Non è invece censurata in sé e per sé l’estensione del privilegio ai crediti dello Stato da sanzioni tributarie, determinatasi per effetto della modifica legislativa introdotta dall’art. 23, comma 37, del decreto-legge n. 98 del 2011.
Il presente giudizio riguarda, dunque, esclusivamente l’art. 23, commi 37, ultimo periodo, e 40 del decreto –legge n. 98 del 2011, come successivamente convertito il legge, nella parte, cioè, in cui dispone l’applicazione retroattiva del nuovo testo dell’art. 2752, primo comma, cod. civ., che estende il privilegio ai crediti erariali derivanti dall’IRES (imposta sui redditi della società) e da sanzioni tributarie relative a determinate imposte dirette.
In effetti, l’intervento legislativo che viene in rilievo nel presente giudizio si articola in diverse previsioni: anzitutto, il citato art. 23, comma 37, ha novellato il testo dell’art. 2752, comma 1, cod. civ., ampliando il novero dei crediti erariali assistiti da privilegio nelle procedure concorsuali. Questa norma – come già si è osservato – non è contestata in sé dal giudice remittente, il quale appunta le proprie censure sulla disciplina degli effetti temporali di tale modifica normativa, contenuta nell’ultimo periodo del medesimo art. 23, comma 37, che testualmente recita: <<La disposizione si osserva anche per i crediti sorti anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto >>. Inoltre, sempre in ordine agli effetti nel tempo della modifica legislativa, il giudice ha impugnato anche l’art. 23, comma 40, del medesimo testo normativo, ove si prevede che i creditori privilegiati già ammessi al passivo fallimentare possano contestare i crediti che, per effetto delle nuove disposizioni di cui all’art. 23, comma 37, sono stati anteposti ai loro nel grado del privilegio.
Dalla lettura congiunta delle due previsioni da ultimo menzionate – art. 23, comma 37, ultimo periodo, e comma 40 – si evince che l’estensione del privilegio, disposta dal primo periodo del comma 37, esplica effetti retroattivi, fino ad influire sullo stato passivo esecutivo già divenuto definitivo, superando così anche il limite del giudicato “endo – fallimentare”.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nel giudizio, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile, per mancata sperimentazione di una interpretazione conforme e per insufficiente motivazione sulla rilevanza.
Le eccezioni non sono fondate.
Al riguardo deve anzitutto osservarsi che la disposizione di cui all’art. 23, comma 37, ultima parte – secondo cui l’estensione del privilegio <<si osserva anche per i crediti sorti anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto>> – non può avere altro significato che quello di consentire la ricollocazione in sede privilegiata di un credito ammesso al chirografo in uno stato passivo esecutivo già divenuto definitivo.
Infatti, secondo i principi generali delle procedure fallimentari, l’introduzione di un nuovo privilegio da parte del legislatore deve sempre ricevere immediata applicazione da parte del giudice delegato, dal momento che le norme processuali sulla gradazione del crediti si individuano avendo riguardo al momento in cui il credito viene fatto valere. Dunque, una previsione come quella contenuta nel comma 37, non può avere altro significato che quello di estendere retroattivamente l’applicabilità della nuova regola, oltre ai casi consentiti in base ai principi generai e cioè a quelli in cui lo stato passivo esecutivo è già definitivo.
Anche in passato, del resto, analoghe disposizioni, che prevedevano l’applicazione di un nuovo privilegio ai crediti anteriormente sorti, sono sempre state univocamente e pacificamente interpretate nel senso che con esse si intendesse estendere la possibilità di riconoscere il privilegio anche ai crediti ammessi come chirografi con provvedimenti definitivi, purché non si fosse già proceduto al riparto dell’attivo. Ciò è avvenuto, in particolare, con riferimento alle disposizioni dell’art. 15 della legge 29 luglio 1975, n. 426 (Modificazioni al codice civile e alla legge 30 aprile 1963, n. 153, in materia di privilegi) che introdusse la nuova sistematica del privilegi: l’univoco e pacifico orientamento espresso dalla Corte di cassazione civile al riguardo (sentenza n. 235 del 1980) è stato nel senso che il significato della disposizione fosse quello di superare in cosiddetto “giudicato endo – fallimentare” e di tale orientamento ha preso atto anche questa Corte, con sentenza n. 325 del 1983, considerandolo <<diritto vivente>>. Né tale linea interpretativa risulta essere mai stata disattesa successivamente.
Concorre a determinare la portata retroattiva della normativa in esame anche il comma 40 dell’art. 23, secondo cui, come si è detto, i creditori privilegiati già ammessi al passivo fallimentare possono contestare i crediti che, per effetto delle nuove disposizioni, sono stati loro anteposti. Tale previsione, infatti, non ha solo l’effetto di una rimessione in termini per proporre opposizione allo stato passivo dichiarato esecutivo, ma conferma che la portata temporale del nuovo e più ampio privilegio accordato ai crediti erariali si estende retroattivamente fino a comprendere i casi in cui lo stato passivo esecutivo si divenuto definitivo.
Infatti, per i casi in cui lo stato passivo non sia ancora definitivo prima della ricollocazione del credito erariale in sede privilegiata, il citato art. 23, comma 40, sarebbe superfluo, giacché il creditore privilegiato già ammesso avrebbe la possibilità di opporsi alla ricollocazione del credito erariale in forza della generale disposizione di cui all’art. 98 del regio decreto 16 marzo 1942 n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), entro il termine di cui all’art. 99 dello stesso regio decreto (trenta giorni dalla comunicazione dell’esecutività o dalla successiva notizia dell’ammissione). Viceversa, dopo lo spirare di tale termine, lo stato passivo diviene definitivo e l’opposizione sarebbe inammissibile, dato che, per giurisprudenza costante, ogni modifica relativa al rango del credito già ammesso (chirografario o privilegiato) è <<preclusa al di fuori dei rimedi previsti dagli artt. 98 e seguenti della legge fallimentare >> cioè dell’indicato regio decreto (sentenza della Corte di cassazione n. 17888 del 2004), ed è perciò <<esclusa la proponibilità di ogni altra questione relativa all’esistenza, qualità e quantità dei crediti e dei privilegi>>, posto che tali questioni <<devono essere proposte con la forma dell’opposizione allo stato passivo ex art. 98 legge fall.>> (sentenze della Corte di cassazione civile n, 13289 del 2012 e n. 12732 del 20119. Pertanto, si deve ritenere che la previsione contenuta nel citato art. 40 valga proprio per i casi in cui lo stato passivo si sia originariamente formato collocando i crediti erariali per l’IRES e le sanzioni tributarie in sede chirografaria e, in tale conformazione, sia divenuto definitivo, essendo ormai trascorso il termine per l’opposizione ai sensi degli art. 98 e 99 della legge fallimentare (r.d. n. 267 del 1942).
In tale ipotesi il creditore privilegiato non avrebbe ragione di impugnare lo stato passivo nella pendenza del termine di cui all’art. 99 della legge fallimentare, posto che il credito erariale per le sanzioni e per l’IRES è stato ammesso come chirografo: l’interesse all’impugnazione, pertanto, sopravviene solo al momento della modifica dello stato passivo definitivo, resa possibile dalla novella legislativa qui impugnata, quando viene disposta la ricollocazione in sede privilegiata del credito per le sanzioni tributarie e per l’IRES, prima ammesso come chirografo. In questi casi, a tutelare gli interessi dei creditori privilegiati diversi dallo Stato, soccorre la revisione del citato art. 23, comma 40, il cui significato è proprio quello di consentire loro di opporsi alla modifica dello stato passivo esecutivo divenuto definitivo, per tutelare la propria posizione che, in base alle regole generali, non avrebbe altrimenti rimedio,
In altre parole, per effetto del menzionato art. 23, comma 40, i titolari di crediti privilegiati, ammessi al passivo fallimentare divenuto definitivo in data anteriore a quella di entrata in vigore del decreto-legge, possono proporre l’impugnazione (prevista dall’art. 98, terzo comma, della legge fallimentare) dei crediti che, per effetto delle nuove norme, si trovino anteposti ai loro nel grado di privilegio, nel termine di cui all’art. 99 della stessa legge fallimentare, decorrente dalla data del riconoscimento “tardivo” della nuova posizione del credito erariale derivante da sanzioni tributarie, consentito dalle disposizioni impugnate.
Il citato art. 23. Comma 40, dunque, pur non contenendo una esplicita previsione di diritto intertemporale, presuppone l’estensione del privilegio ai crediti erariali si applichi retroattivamente, superando la preclusione processuale dovuta al giudicato “endo – fallimentare”, che si determina quando lo stato passivo diviene definitivo.
Alla luce delle precedenti considerazioni risultano destituite di fondamento le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato, aventi riguardo sia all’insufficiente motivazione sulla retroattività delle disposizioni oggetto del presente giudizio, sia alla mancata sperimentazione di una interpretazione conforme.
Nessuna possibilità di interpretazione sembra, infatti, potersi evincere dal testo degli impugnati commi 37 3 40 dell’art. 23 del decreto-legge n. 98 del 2011 diversa da quella illustrata al punto precedente, che consente di ricollocare in sede privilegiata i crediti erariali per l’IRES e per le sanzioni tributarie, superando la preclusione “endo – procedimentale” che consegue alla formazione del cosiddetto giudicato fallimentare.
Devesi, dunque, ritenere che il giudice remittente abbia correttamente argomentato in ordine alla rilevanza della prospettata questione di legittimità, connessa all’applicazione retroattiva nuovo art. 2752, primo comma, cod. civ., e abbia altresì assolto l’obbligo di saggiare la possibilità di un’interpretazione conforme a Costituzione e alla CEDU: tale canone interpretativo, infatti, incontra sempre e comunque un limite nell’univoco tenore della disposizione impugnata e nell’impossibilità di attribuire alla stessa un significato diverso da quello sospettato di illegittimità (ex plurimis sentenza n. 26del 2010), impossibilità che si verifica, appunto, nel caso di specie.
Nel merito, la questione è fondata.
La disciplina censurata, come emerge dall’esposizione di cui ai punti precedenti, consente di applicare il nuovo regime dei privilegi erariali anche nelle procedure fallimentari in cui lo stato passivo esecutivo sia già divenuto definitivo, superando il cosiddetto giudicato “endo – fallimentare”. Di conseguenza essa non solo ha una portata retroattiva, ma altera altresì i rapporti con i creditori, già accertati con provvedimento del giudice ormai consolidato dall’intervenuta preclusione processuale, favorendo le pretese economiche dello Stato a detrimento delle concorrenti aspettative delle parti private.
Tali essendo gli effetti della disciplina impugnata, occorre esaminare la questione di legittimità portata all’esame di questa Corte alla luce della giurisprudenza costituzionale e sovranazionale sviluppatasi in materia di leggi retroattive, rispettivamente in riferimento all’art. 3 Cost. e all’art. 6 della CEDU, come richiamato dall’art. 117, primo comma, Cost., che costituiscono i parametri del presente giudizio.
I profili di illegittimità costituzionale prospettati dal giudice rimettente debbono essere esaminati congiuntamente, in modo che l’art. 6 CEDU, come applicato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, sia letto in rapporto alle altre disposizioni costituzionali e, nella specie, l’art. 3 Cost., secondo gli orientamenti seguiti dalla giurisprudenza costituzionale in tema di efficacia delle norme della CEDU, sin dalle sentenze n. 348 e 349 del 2007. Infatti, questa Corte ha affermato che <<la norma CEDU, nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell’art. 117 Cost., come norma interposta, diviene oggetto di bilanciamento, secondo le ordinarie operazioni cui questa Corte è chiamata in tutti i giudizi di sua competenza>>, affinché si realizzi la necessaria <<integrazione delle tutele>> (sentenza n. 264 del 2012), che spetta a questa Corte assicurare nello svolgimento del proprio infungibile ruolo. Pertanto, anche quando vengono in rilievo ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost., norme della CEDU, la valutazione di legittimità costituzionale <<deve essere operata con riferimento al sistema, e non a singole norme, isolatamente considerate>>, in quanto <<un’interpretazione frammentaria delle disposizioni normative (…) rischia di condurre, in molti casi, ad esiti paradossali, che finirebbero per contraddire le stesse loro finalità di tutela >> (sentenza n. 1 del 2013). Altrimenti detto, questa Corte opera una valutazione <<sistemica e non frazionata>> dei diritti coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata, effettuando il necessario bilanciamento in modo da assicurare <<la massima espansione delle garanzie>> di tutti i diritti e i principi rilevanti, costituzionali e sovranazionali, complessivamente considerati, che sempre si trovano in rapporto di integrazione reciproca (sentenze n. 85 del 2013 e n. 264 del 2012).
Con riferimento al caso in esame, i principi di cui sopra portano a rilevare, anzitutto, che <<il divieto di retroattività della legge (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale), pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve dall’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost.>>, riservata alla materia penale, con la conseguenza che <<il legislatore – nel rispetto di tale previsione – può emanare norme con efficacia retroattiva, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti <<motivi imperativi di interesse generale>>, ai sensi della CEDU (ex plurimis sentenza n. 78 del 2012).
Tuttavia, occorre che la retroattività non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente protetti Ex plurimis sentenze nn. 93 e 41 del 2011) e, pertanto, questa Corte ha individuato una serie di limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali e di altri valori di civiltà giuridica, tra i quali sono ricompresi <<il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nello divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario>> (ex multis sentenze n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010).
In particolare, in situazioni paragonabili al caso in esame, la Corte ha già avuto modo di precisare che la norma retroattiva non può tradire l’affidamento del privato, specie se maturato con il consolidamento di situazioni sostanziali, pur se la disposizione retroattiva sia dettata dalla necessità di contenere la spesa pubblica o di far fronte ad evenienze eccezionali (ex plurimis, sentenze n. 24 del 2009, n. 374 del 2002 e n. 419 del 2000.
Del tutto affini sono i principi in tema di leggi retroattive sviluppati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in riferimento all’art. 6 della CEDU, i quali trovano applicazione anche nell’ambito delle procedure concorsuali, come è attestato da specifiche pronunce della Corte europea riguardanti l’Italia (…).
La Corte di Strasburgo, infatti, ha ripetutamente affermato, con specifico riguardo a leggi retroattive del nostro ordinamento, che in linea di principio non è vietato al potere legislativo di stabilire in materia civile una regolamentazione innovativa a portata retroattiva dei diritti derivanti da leggi in vigore, ma il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo sanciti dall’art. 6 della CEDU, ostano, salvo che per motivi di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia (…). La Corte di Strasburgo ha altresì rimarcato che le circostanze addotte per giustificare misure retroattive devono essere intese in senso restrittivo (…) e che il solo interesse finanziario dello Stato non consente di giustificare l’intervento retroattivo (…).
Viceversa, lo stato del giudizio e il grado di consolidamento dell’accertamento, l’imprevedibilità dell’intervento legislativo e la circostanza che lo Stato sia parte in senso stretto della controversia, sono tutti elementi considerati dalla Corte europea per verificare se una legge retroattiva determini una violazione dell’art. 6 della CEDU: (…). Le sentenze da ultimo citate, pur non essendo direttamente rivolte all’Italia, contengono affermazioni generali, che la stessa Corte europea ritiene applicabili oltre il caso specifico e che questa Corte considera vincolanti anche per l’ordinamento italiano.
Nella specie, oggetto di giudizio è, come si è detto, una normativa che, ampliando il novero dei crediti erariali assistiti dal privilegio nell’ambito della procedure fallimentari, regola rapporti di natura privata tra creditori concorrenti di uno stesso debitore, con effetti retroattivi, fino ad influire sullo stato passivo esecutivo già divenuto definitivo, superando così anche il limite del giudicato “endo – fallimentare”.
Tali essendo i contenuti della norma impugnata, i principi giurisdizionali sopra esposti, sviluppati tanto da questa Corte, quanto dalla Corte europea, impongono una declaratoria di illegittimità costituzionale, dovendosi attribuire un adeguato rilievo alle seguenti circostanze: il consolidamento, conseguito con il cosiddetto giudicato “endo – fallimentare”, delle aspettative dei creditori incise dalla disposizione retroattiva; l’imprevedibilità dell’innovazione legislativa; l’alterazione a favore dello Stato – parte della procedura concorsuale – del rapporto tra creditori concorrenti, determinata dalle norme in discussione; l’assenza di adeguati motivi che giustifichino la retroattività della legge.
In ordine a quest’ultimo aspetto, è opportuno sottolineare che, a differenza di altre discipline retroattive recentemente scrutinate dalla Corte costituzionale (sentenza n. 264 del 2012), le disposizioni censurate non sono volte a perseguire interessi di rango costituzionale, che possono giustificarne la retroattività. L’unico interesse è rappresentato da quello economico dello Stato, parte del procedimento concorsuale. Tuttavia, un simile interesse è inidoneo di per sé, nel caso di specie, a legittimare un intervento normativo come quello in esame, che determina una disparità di trattamento, a scapito dei creditori concorrenti con lo Stato, i quali vedono ingiustificatamente frustrate le aspettative di riparto del credito che essi avevano legittimamente maturato.
Pertanto, la disciplina impugnata palesa la sua illegittimità sia per violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., sia per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU, in considerazione del pregiudizio che essa arreca alla tutela dell’affidamento legittimo e della certezza delle situazioni giuridiche, in assenza di motivi imperativi di interesse generale costituzionalmente rilevanti.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 37, ultimo periodo, e comma 40, del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nei sensi di cui in motivazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’1 luglio 2013.